Moriremo tutti berlusconiani?
“Gli imprenditori hanno successo perché possono comprare un’organizzazione, creare la loro macchina elettorale e finanziarsela da soli”; “un imprenditore, se ha successo in un regime di legalità e di libera concorrenza e senza traffici loschi o privilegi monopolistici, crea lavoro e ricchezza. E i suoi successi si riflettono sulla ricchezza”. Chi l’ha detto? Feltri? Belpietro? Cicchitto? Bondi o Bonaiuti? O forse Berlusconi stesso? No, la prima dichiarazione viene da Kevin Casa-Zamora (ex vicepresidente della Costa Rica), la seconda da Mario Vargas Losa, peruviano e simpatizzante di Piñera, presidente del Cile. Nel 2009 Ricardo Martinelli ha ampiamente vinto le presidenziali di Panama; Martinelli è il proprietario di Supermercados99 (la più grande catena di supermercati del paese), possiede uno zuccherificio, una fabbrica di materiali plastici e Direct Tv. Maurizio Macri, sindaco di Buenos Aires, spera di ottenere un successo simile alle presidenziali del 2011. Figlio di un noto imprenditore, è stato presidente del Boca Juniors, è amico di Piñera ed è stato tra i primi a telefonargli per congratularsi con lui. Macri e Piñera sono spesso paragonati a Berlusconi (Silvio).
Il settimanale colombiano “Cambio”, da sempre critico verso Álvaro Uribe e il suo governo, diventerà un mensile. Alcuni commentatori sostengono che non sia un caso che questa metamorfosi avvenga durante un anno di elezioni e molti giornalisti sostengono che la scomparsa di Cambio come rivista d’opinione costituisca un precedente preoccupante per la libertà d’espressione. La giornalista di Maria Jimena, del settimanale Semana (anch’esso colombiano) commenta così: “Con la chiusura di Cambio non solo si mette a tacere una voce che stava rivelando delle verità scomode sul presidente Uribe. Ma si dimostra che il giornalismo che pone dubbi e fa domande è una minaccia per il paese. Molti diranno che non è censura. È più corretto definirla autocensura?”. Cosa ricorda questo?
Gli stessi che proclamano a gran voce la fine di Berlusconi (che pare ancora lontana) come la fine del berlusconismo, mettendo pur in guardia verso plausibili colpi di coda, non si rendono conto che il berlusconismo è vivo e vegeto e lotta insieme a noi e che si è esteso in tutto il Paese, e anche oltre. Dal Pd, alla CEI, dalla protezione civile a qualsiasi grigio funzionario che abbia coscienza e fedina penale sporche.
Come ho già avuto occasione di sottolineare, uno degli effetti più devastanti del quasi-ventennio del Caimano arcoriano, riguarda lo stravolgimento linguistico. Cambiando il modo di parlare, si cambia il modo di pensare, e almeno tre generazioni sono state vittime di questa costante e metodica operazione. E le giovani generazioni, programmate in questo modo, avranno a loro volta dei figli, e questa è una delle mille ragioni per cui una guerra culturale è di fondamentale importanza.
Ma il mito dell’uomo di successo, che si butta in politica per il bene del proprio popolo (altro termine svuotato e svilito) non riguarda solo il nostro Paese, oltrepassa confini e Oceani.
È da diverso tempo che sono convinto che il modello berlusconiano stia diventando sempre più popolare, e poi leggo queste parole, sul numero 834 di “Internazionale” (19/25 febbraio 2010) che invito vivamente a leggere.
Berlusconi ha comprato una televisione spagnola (“di sinistra”) e mediaset controlla direttamente e indirettamente il 50% di una stazione televisiva che viene vista in tutto il Magreb; in Francia è stato eletto Sarkozy, l’uomo forte, “con le palle”, che è un buzzurro affarista (anche se in confronto al nostro appare come un gentiluomo).
I tempi sono maturi per la dittatura soft, il modello dell’uomo forte, di successo, che sa cosa fare per il bene della gente.
E il tanto osannato Obama ha aspetti che non si discostano molto da questo prototipo di leader del nuovo millennio: sempre in televisione, bello, con la moglie (la coppia felice) e intervistati sempre dalla solita e onnipresente Opra (che oramai ne è la portavoce ufficiale, a dimostrazione dello strapotere della televisione), caccia la Fox tv accusandola di essere una televisione-partito (verissimo, ma avrebbe fatto un bel gesto proprio per questo ad accettarla; mi ha ricordato molto il nostro) e possiede un gusto populista non secondario (che sembra piacere molto agli americani).
Berlusconi, nonostante il baratro in cui siamo già, crea con le sue televisioni Raiset un mondo artificiale, che non esiste. Una realtà illusoria edulcorata, dove tutti sono ricchi e belli e dove tutti hanno la possibilità di diventarlo. Ma prima di essere un magnate dei media (il cittadino Kane al confronto era solo un pivello ed è meglio non aprire il capitolo del tentacolare Murdoch), prima di essere un palazzinaro e un assicuratore, è un pubblicitario. E la pubblicità, si sa, crea bisogni e necessità inesistenti. Berlusconi offre il prodotto Berlusconi. E la gente lo vuole. Lo compra. Colui che compra tutto e tutti, si vende; d’altra parte non è forse uno dei più grandi venditori della Storia? La televisione annebbia le menti, riplasma la realtà. Berlusconi non esiste e (purtroppo) esiste. Berlusconi piace e non solo in Italia, ma anche all’estero dove però non lo si ammette. E se Berlsuconi è sempre più radicato in Italia, e si sta radicando pure all’estero, è anche colpa del Parlamento Europeo, pronto a criticarlo ma altrettanto pronto ad accogliere personaggi del calibro di Dell’Utri come compagni di banco. Ad Haider non venne concesso di governare il suo paese dopo aver vinto democraticamente le elezioni (calpestando così ogni forma di Diritto Internazionale che vogliamo imporre ai paesi “canaglia” con le bombe) ma ai leghisti che gridano “negri”, “musulmani di merda”, “bingo bongo” e altre piacevolezze del genere spalancano le porte.
Ritornando all’inizio di questo mio sfogo: Berlusconi ha creato un modello per le democrazie (?) sudamericane, perché Berlusconi ha preso molto dal populismo sudamericano. Il Berlusconi politico e il Berlusconi con Patrizia D’Addario (altro bel personaggino) o con le vallette-candidate sono la stesso persona. Berlusconi ha trasferito il Parlamento ad Arcore (o a Villa Grazioli, Villa Certosa…) perché non esiste, di fatto, alcuna distinzione tra il Berlusconi politico e il Berlusconi privato, in mutande: tipico dei dittatori. E la gente lo ammira per questo. Perché è un furbo, che disprezza le leggi, la legalità e pensa a sé stesso. Tutte caratteristiche ampiamente diffuse nel “Bel Paese”, da nord a sud: e le conseguenze si vedono. Sempre sullo stesso numero di Internazionale nell’editoriale di Giovanni De Mauro, che prende spunto dai “nuovi scandali” della Protezione (in)Civile si legge, “politici e imprenditori corrotti sanno che rischiano di essere intercettati, eppure continuano a parlare e a comportarsi come se non potesse mai succedere. Non fanno nulla per nascondere i loro traffici […] perché sanno che comunque la faranno franca. Hanno capito che metà del paese li ammira, e l’altra metà è così sfinita da non avere più la forza di aprire bocca”. Cosa c’entra con Berlusconi? C’entra centra. È il modello del “ghe pensi mi” ducesco e affarista. Modello che l’ubiquo Bertolaso ha assimilato a dovere: sempre in divisa (orribile) per farsi ben riconoscere (addestramento pavloviano), che accusa magistrati e opposizione di complotto (chi ci ricorda?) e pronto a pontificare in televisione.
Non dimentichiamoci, infine, che la figlia prediletta
, Marina, è pronta a succedergli, nonostante dicano che “mai e poi mai” scenderà in campo. Anzi, proprio per questo: abbiamo capito che quando Berlusconi e i suoi dichiarano solennemente “non faremo mai …” vuol dire che sono pronti a fare proprio quella cosa, qualunque essa sia.
Moriremo tutti berlusconiani.
Francesco Viaro
(14 marzo 2011)
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