“Né completamente vivi, né completamente meccanici”
"Calder. Scultore dell’aria". Per la prima volta a Roma, un’ampia retrospettiva documenta il percorso creativo di uno degli artisti più amati e sorprendenti del Novecento. Sognare con i piedi per terra: la bellezza ideale è di questo mondo.
di Mariasole Garacci
“Del mare, Valéry diceva che ricomincia sempre. Un oggetto di Calder è simile al mare e ammaliante come lui: sempre ripetuto, sempre nuovo”. Con queste parole di un saggio celeberrimo contenuto nel catalogo della mostra parigina del 1946 dedicata a Calder, Jean-Paul Sartre non suggeriva solo la meravigliosa ed infinita imprevedibilità dell’aspetto formale di un mobile dell’artista americano. Indicava la condizione essenziale per l’osservazione e la comprensione di un’arte che non può essere interpretata, ma va intuita attraverso l’empatia con il movimento e con la natura organica di queste “creature”, entrando nella loro intima vita segreta. Uno sguardo non coglierebbe che la grazia e l’equilibrio di deliziosi disegni aerei: è necessario instaurare un rapporto prolungato per scoprirne la poetica e, se il termine può essere usato per un’arte libera e anti-rappresentativa come questa, il significato.
Calder, si può dire, riafferma e reinterpreta a modo suo il concetto di durata e tempo nell’arte. Da un’osservazione continuata emerge il valore “contrappuntistico” del movimento, generato dall’armonia di rapporti e insiemi, che più che alla musica lascia pensare alle leggi fisiche del mondo naturale, al moto impercettibile delle piante che si dispiegano al sole, a ciuffi d’alghe mossi dalle correnti, ai neri disegni in cielo degli stormi di uccelli migranti a sud, o alle sottili gambe di un ragno. Un mobile non somiglia ad uno di questi oggetti come potrebbe farlo il prodotto di una mimesis artistica: ne rivive e condivide l’innato, naturale funzionamento, il movimento vero, liberato dalle mani dell’artefice. Il controllo dell’artista, di più, l’onniscienza da parte dell’artista delle forme, degli effetti, della vita della sua creazione è definitivamente abbandonata, e la creazione diventa creatura. “Né completamente vivi, né completamente meccanici”, così Sartre definiva i mobiles di Calder.
Pregio dell’esposizione romana – curata da Alexander S.C. Rower, nipote dell’artista e presidente della Fondazione Calder di New York – è di ben illustrare un percorso stilistico sempre omogeneo nella sua evoluzione e nelle diverse declinazioni tecniche, tanto da potere a ragione farsi iniziare dalle piccole sculture, Dog e Duck, realizzate nel 1909 dall’artista undicenne come regalo di Natale per i genitori, semplici animaletti in lamina d’ottone ripiegata in forme elementari di sintetica icasticità, in cui è già tutto il talento dell’artista.
E’ illustrato lo sviluppo delle sculture cinetiche – fu Duchamp a chiamarle mobiles nel 1932 – dall’origine “astratta”, pure composizioni astrali di pesi e di forze nelle prime sculture non oggettive degli anni ‘30 – Small Feathers, Objet with Red Ball e Croisière (1931), Small Sphere and Heavy Spere (1932) -, alle prime suggestioni naturalistiche di Spider e Little Spider (1940) e alla soluzione della poetica calderiana nei lavori più maturi, dagli anni ’40 in poi, fino a White Ordinary del 1976; sono esposti i dipinti: i sintetici e vivaci Animal Sketches, le gouache, le sperimentazioni pittoriche tra astrattismo e surrealismo, e quegli ingannevoli anfibi che ricordano così da vicino Mirò, White Panel (1936) e Red Panel (1938); i sistemi cristallini impazziti delle Constellations e poi le sorprendenti wire sculptures, da Romulus and Remus e l’intricato, irrisolto disegno aereo dell’ambizioso Hercules and the Lion (1928), ai meravigliosi ritratti, sfida alla scultura intesa come modellazione della massa solida, anzi al principio stesso di scultura: il volume delle figure è plasmato nello spazio, con lo spazio, convertendo il vuoto in materia plastica sorprendentemente tridimensionale. Questo il senso esatto della definizione “scultore dell’aria” per Calder, più che una malintesa leggerezza di sogno attribuita alla tutta apparente naïveté dei suoi calibrati congegni di fisica applicata.
In mostra anche un’importante selezione di fotografie di Ugo Mulas, legato da amicizia ad Alexander Calder e il più penetrante interprete delle sue opere, che seppe tradurre con tatto e raffinata intelligenza i valori plastici e poetici di questi oggetti in un impeccabile, sensibilissimo bianco e nero.
Calder. Scultore dell’aria
23 ottobre 2009 – 14 febbraio 2010
Roma – Palazzo delle Esposizioni, via Nazionale 194
Orari: martedì, mercoledì e giovedì 10.00 – 20.00; venerdì e sabato 10.00 – 22.30; domenica 10.00 – 20.00. Chiuso il lunedì.
www.palazzoesposizioni.it
(3 novembre 2009)
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