New York aspetta Obama
Pubblichiamo il primo di cinque reportage sulle presidenziali Usa che MicroMega ospiterà nel corso del mese di agosto.
di Emiliano Sbaraglia, da New York
A tre mesi esatti dalla “decision”, come viene chiamata sulla prima tv locale la rubrica dedicata alle prossime elezioni americane, New York è una città che attende l’esito finale del voto consapevole dell’importanza che potrebbe avere per il futuro non soltanto del paese, ma del mondo intero.
Osservando come il duello tra Barack Obama e John Mc Cain viene raccontato dai vari strumenti di comunicazione, è facile intuire come, anche stavolta, la partita si giocherà sul filo di lana. Proprio in queste ore, un nuovo sondaggio indica infatti una forbice appena dell’un per cento tra i due contendenti, (45-44); dunque l’offensiva del senatore repubblicano, nel tentativo di screditare l’immagine del suo avversario, sembra cominciare a dare i suoi frutti. In particolare, due esempi tratti rispettivamente da Tv e giornali possono offrire un quadro della situazione.
Dopo la polemica impostata sul presunto profilo da star del senatore dell’Illinois (accostato a Paris Hilton e Britney Spears), lo staff di Mc Cain ha deciso di inondare le televisioni locali newyorkesi con una serie di spot che propongono una sorta di Obama-Mosè, attraverso spezzoni di immagini tratte dal film “I dieci comandamenti” (con Charlton Heston nel ruolo di protagonista), accostati ad alcuni passaggi di recenti discorsi del candidato democratico, sapientemente calibrati alla causa attraverso la cosiddetta tecnica del “cut-up”, che in realtà riporta alla memoria la genialità assoluta di un americano di ben altra specie, William Burroughs, guru indiscusso e indiscutibile della stagione della beat-generation.
Nel numero dello scorso 21 luglio, lo storico settimanale “The New Yorker” ha proposto una copertina del suo disegnatore Barry Blitt, dal titolo “La politica della paura”, che ha fatto discutere molto soprattutto all’interno del mondo giornalistico internazionale per la sua audacia. Blitt rappresenta Obama in tradizionale tenuta musulmana, che batte il pugno contro quello della moglie Michelle (classico gesto di saluto della comunità “black power”), a sua volta con un mitra al collo, e lo sguardo tanto complice quanto combattivo, rivolto verso lo sposo. Nel caminetto della stanza dove sono collocati i due personaggi brucia una bandiera americana.
All’interno del numero, un lungo articolo di approfondimento contenuto nella rubrica “Voci della città” scritto da Hendrik Hertzberg, una delle firme più autorevoli delle pagine politiche del “New Yorker” da molti anni, già “speech writing” di Jimmy Carter nel corso del decennio Settanta.
Nel suo pezzo, dal titolo “Flip flop flap”, il giornalista sottolinea con una certa puntigliosità il cambiamento sostanziale della strategia elettorale di Obama, in pratica avvenuto subito dopo la faticosa nomination ottenuta ai danni di Hillary Clinton, soffermandosi su alcuni punti quali la politica da sostenere rispetto alla missione dei soldati statunitensi in Iraq; la posizione riguardante il tema dell’aborto; il basso profilo mantenuto al momento del recente risveglio dell’attenzione pubblica del paese sulla pena di morte; infine, la questione economica, intesa come finanziamenti pubblici e più in generale la crisi finanziaria che coinvolge gli interi States. Eppure, soltanto poco più di un anno fa, in un’intervista rilasciata al suo collega Paul Morton, lo stesso Hertzberg aveva parlato di Obama come dell’uomo politico che sperava si aggiudicasse le primarie democratiche, per poi diventare presidente, giudicando l’America pronta ad essere guidata da un “black man”. Un “flip flop”, quello di Obama, secondo Hertzberg determinato dalla corsa al voto moderato che potrebbe risultare decisivo nella sfida, ma che al contempo lascia scoperta l’ala sinistra del candidato, come una piccola contestazione subita lo scorso venerdi’ a St. Petersburg, in Florida, lascerebbe intendere. Nel corso del suo intervento, tre ragazzi neri hanno alzato uno striscione con su scritto: “What about the Black community, Obama?”
Inutile rilevare che proprio la questione razziale è “la” questione, che più di altre viene discussa tra i cittadini di New York, oltre che essere tornata fortemente al centro del dibattito politico dei due candidati, per calcolata scelta tattica proprio di Mc Cain, intento a farla passare come l’ultima carta che Obama può giocarsi nel tentativo di conquistare la vittoria finale. Una carta che pero’, come pochi giorni fa riportava un editoriale del “New York Times”, in realtà viene utilizzata con una certa cautela dai contendenti, visto che potrebbe “bruciacchiarli entrambi”, e non poco.
Nel mercato di Union Square, tra frutta e verdura, capita di incontrare anche bancarelle con t-shirt e spillette raffiguranti Barack Obama, spesso accanto al volto di Martin Luther King. Uno dei venditori, un giovane grande grosso e di pelle nerissima, non puo’ avere nessun tipo di dubbio: “Vincerà Obama, qui a New York siamo tutti con lui”. Meno convinto, ma comunque ottimista, un altro venditore dei gadget del potenziale futuro presidente americano. Si chiama Larry, ed è bianco: “New York è una città di Obama, l’ottanta per cento dei cittadini aventi diritto voterà per lui”, ci dice. Gli obiettiamo che uno dei punti dirimenti delle elezioni americane resta sempre il fatto che circa la metà degli aventi diritto si reca poi effettivamente a votare. “Proprio questo è il suo segreto -risponde Larry-, Obama sta muovendo quella parte di cittadini americani che solitamente non va a votare, specialmente la comunità nera e gli studenti americani. Se contasse solo il voto di N.Y.C., vincerebbe a mani basse”.
Appunto, se ci fosse solo New York: ma l’America è anche molto altro, e molto altro di diverso.
(5 agosto 2008)
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