Next Generation UE e sfide green: l’Italia al bivio futuro-passato
Edoardo Zanchini
Legambiente e Forum disuguaglianze e diversità hanno stilato un documento di dieci punti sulle “sfide green che non possiamo perdere” per disegnare un futuro oltre questa crisi attraverso “scelte capaci di intervenire su problemi e ritardi che ci portiamo dietro da tempo”.
, vicepresidente nazionale di Legambiente
I 209 miliardi di euro di investimenti previsti per il nostro Paese dal nuovo programma Next Generation UE di uscita dalla crisi sanitaria ed economica del Covid hanno monopolizzato da tempo l’attenzione politica. Dopo lo storico accordo trovato a Bruxelles a luglio, che ha segnato una radicale discontinuità con le politiche di austerità introdotte dopo la crisi del 2008, si è aperta nei ministeri una corsa a presentare progetti pena, viene detto, il rischio di perdere opportunità stroardinarie di rilancio del Paese. Le risorse a cui potremmo accedere sono in effetti rilevanti, con 85 miliardi di euro per interventi diretti e 124 attraverso prestiti, a cui si aggiungono circa quaranta miliardi per i fondi di coesione. Per cui davvero sembra motivata l’urgenza di far partire quanto prima i progetti capaci di rilanciare l’economia.
Ma davvero l’Unione Europea ci sta chiedendo di muoverci in questo modo? In realtà se si va a leggere i testi approvati da Commissione europea e Consiglio, se si guarda anche a quanto stanno facendo gli altri Paesi, il quadro che ne esce fuori è molto diverso. Il processo prenderà ancora alcuni mesi per essere definito completamente e soprattutto non è un elenco di progetti che ci viene chiesto ma piuttosto di presentare, entro aprile 2021, un Piano di ripresa e resilienza con un quadro coerente di priorità, riforme e interventi per dare gambe alla transizione verde e digitale dell’Europa.
È importante sottolineare che non tutto potrà essere finanziato, in quanto l’obiettivo è di “build back better”: ossia ricostruire meglio e in modo diverso, con innovazione, sostenibilità, attenzione al disagio sociale cresciuto in questi anni.
Legambiente e Forum disuguaglianze e diversità hanno intrapreso un lavoro comune con l’obiettivo di contribuire alla costruzione del Piano italiano. Occorre infatti cogliere queste opportunità per disegnare un futuro oltre questa crisi attraverso scelte capaci di intervenire su problemi e ritardi che ci portiamo dietro da tempo. La sfida che l’Europa ci pone è infatti di immaginare il Paese tra dieci anni e la discussione che si dovrebbe aprire è come fare in modo che nel 2030 si sia finalmente rientrati nella media europea per il numero di bambini che accedono alle scuole d’infanzia, per l’abbandono scolastico, per l’accesso all’università e per gli investimenti in ricerca o nei dati per la diffusione della banda larga. Un futuro non troppo lontano nel quale finalmente si sarà messo mano agli oltre 200mila ettari di terreni inquinati ancora in attesa di bonifica e alle perdite incredibili degli acquedotti, alle migliaia di scuole in attesa di riqualificazione e messa in sicurezza.
Queste idee e proposte sono state fissate in un documento, presentato a fine settembre, con le “Dieci sfide green” che il nostro Paese deve assumere per un Piano di ripresa e resilienza capace di cambiare il futuro. Oggi la chiave ambientale può davvero accelerare il percorso di rilancio del Paese, non solo perché questi interventi dovranno essere prioritari negli investimenti – pari ad almeno il 37 per cento -, ma soprattutto perché possono diventare una leva di innovazione dell’economia e di rigenerazione e rilancio dei territori, da coordinare con le altre politiche di finanziamento previste per rilanciare il sistema sanitario, sociale e per la digitalizzazione. Tutto questo potrà avvenire se saremo stati capaci di incrociare gli obiettivi ambientali strategici – sviluppo delle rinnovabili, efficienza energetica, mobilità sostenibile, economia circolare, ecc. – con i ritardi e i problemi delle diverse città e parti del Paese. Ad esempio, oggi sarebbe possibile puntare su impianti eolici in mare di grandi dimensioni, ma il valore aggiunto per il Paese sarà raggiunto se quell’energia diventerà un’opportunità per rilanciare e riqualificare aree industriali dismesse o in dismissione in Sardegna e in Sicilia, dove realizzare impianti di stoccaggio dell’energia e per la produzione di idrogeno verde. Allo stesso modo, il solare in Italia ha potenzialità straordinarie per i prezzi sempre più bassi, ma abbiamo migliaia di ettari di aree dismesse in attesa di una bonifica su cui questi impianti non riescono ad atterrare. Per non parlare delle opportunità che oggi si aprono per una mobilità elettrica, ciclabile e in sharing per rilanciare le città e ridurre finalmente inquinamento e congestione.
Uno scenario di scelte di questa portata non sarà semplice da gestire per una maggioranza che fino ad oggi ha avuto difficoltà a trovare una sintesi su questioni che non andassero oltre l’agenda ordinaria o delle emergenze. Il Governo Conte ha però tutto il tempo per definire un Piano in grado di rispondere alla visione di cambiamento e di rilancio coerente con Next Generation UE, ma dovrà stare attento a non compiere alcuni errori. Il primo è di presentarsi con idee e interventi strampalati come purtroppo si trovano nell’elenco di 557 progetti poi ridotti a 100 circolato in queste settimane. Si dovranno fissare dei chiari paletti alle richieste di chi vorrebbe finanziare progetti che sono del tutto incoerenti con la visione di NextGenerationUE, come autostrade o inceneritori, impianti per la produzione di Idrogeno da fonti fossili o di stoccaggio dell’anidride carbonica, come Eni vuole realizzare al largo di Ravenna.
Inoltre, sarà indispensabile dare una direzione più efficace alle politiche ambientali già in campo. Ad esempio, Il ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli, ha annunciato che sarà finanziata con i fondi europei la proroga degli incentivi del 110% per la riqualificazione energetica degli edifici fino al 2024, senza che sia stato chiarito come applicare gli incentivi più generosi al mondo laddove sarebbe più urgente, dove purtroppo i cantieri sono fermi. Ossia gli edifici della cattiva edilizia delle periferie costruire nel secondo dopoguerra e dell’edilizia residenziale pubblica, in cui vivono milioni di persone in difficoltà, le scuole e gli ospedali. E ancora, leggendo l’elenco dei progetti colpisce una macroscopica dimenticanza: le città. Eppure, è nelle aree urbane che oggi si concentrano non solo le maggiori condizioni di disagio sociale, aggravate con la crisi del covid, ma anche le più importanti opportunità di rilancio e di intervento in forme innovative. Per cui è evidente che dovrà essere aperto un passaggio di confronto pubblico sul Piano, per correggere errori ma anche per accogliere progetti che potrebbero risultare più efficaci di quelli presentati dai Ministeri o dalle grandi imprese controllate dallo Stato.
Di sicuro, la definizione del piano non è una questione che il Governo può pensare di gestire senza un confronto pubblico, magari con trattative per la spartizione delle risorse tra Ministeri, Regioni e grandi imprese
. Il nostro Paese potrà uscire dalla crisi e rilanciarsi, recuperando la distanza tra cittadini e politica, se sarà capace di presentare una visione del futuro e di costruire un percorso partecipato e trasparente di definizione delle scelte da presentare a Bruxelles.
Le dieci sfide green che possono cambiare il futuro
1.Un salto di scala industriale, territoriale e comunitario per le fonti rinnovabili: una nuova missione di strategia industriale basata su impianti eolici offshore e solari a terra in aree dismesse e comunità energetiche e autoproduzione da fonti rinnovabili. Per cui le riforme indispensabili sono la semplificazione delle procedure e l’eliminazione dei sussidi alle fonti fossili nella produzione e consumo di energia.
2.Dimezzare i consumi energetici del patrimonio edilizio pubblico e privato: con la proroga del superbonus al 2025 con revisione dei criteri in modo da spingere l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili in sostituzione de gli impianti a gas e l’introduzione di un fondo per l’accesso al credito da parte delle famiglie per gli interventi di efficienza energetica. Le riforme indispensabili sono l’accelerazione e programmazione degli interventi di efficienza energetica sul patrimonio edilizio pubblico di scuole, ospedali, uffici pubblici, edilizia sociale; la semplificazione degli interventi di riqualificazione energetica e sostituzione di edifici con prestazioni di Classe A.
3.Innovazione e giusta transizione nei territori della rivoluzione industriale: con le prossime chiusure di numerose centrali a carbone e olio combustibile e di tante imprese che dovranno ripensare le produzioni industriali in un contesto di forte innovazione, occorrerà aiutare la riconversione del sistema e creare opportunità di riqualificazione e rilancio delle attività. Le missioni strategiche sono finanziare con le risorse del Just transition fund gli interventi di rigenerazione ambientale e rilancio economico, culturale e industriale delle aree della transizione energetica e della dismissione produttiva. Fare di Taranto e Brindisi il distretto dell’innovazione industriale green.
4.Accelerare l’economia circolare rafforzando le filiere territoriali: occorre completare l’impiantistica per chiudere il ciclo della materia e accelerare la creazione di un mercato delle materie prime seconde e di materiali provenienti da recupero e riuso. Le missioni strategiche sono applicare i criteri del green public procurement a tutte le procedure di acquisto di beni e servizi, lavori pubblici; accelerare la realizzazione di impianti per la chiusura del ciclo dei rifiuti. Le riforme indispensabili sono semplificare la normativa end of west per la cessazione della qualifica di rifiuto; rivedere la fiscalità per spingere l’economica circolare.
5.Accelerare la transizione industriale green: attraverso la definizione di una strategia nazionale per gli investimenti nei settori industriali strategici della decarbonizzazione su cui convogliare le risorse del recovery plan con priorità a automotive, batterie, idrogeno verde, elettrificazione e digitalizzazione dei porti e del trasporto pubblico locale. E attraverso il prolungamento degli incentivi Industria 4.0 al 2025 allargandoli agli interventi green.
6.Ridurre il gap nell’accesso alla mobilità sostenibile tra i territori e nelle periferie: creare opportunità per i territori e le periferie ignorati dalle politiche ordinarie. Le missioni strategiche su cui impegnare le risorse sono completare l’elettrificazione delle linee ferroviarie e l’installazione del sistema di controllo e sicurezza al Sud, nelle isole, nelle linee nazionali e regionali ancora sprovviste; acquistare treni con standard ad alta velocità al sud e lanciare una gara per aumentare l’offerta di servizio; realizzare un progetto di rilancio delle infrastrutture di mobilità sostenibile nelle aree urbane italiane. L’obiettivo deve essere di realizzare entro il 2030 almeno 200km metro, 250 km di tram, 5.000 km di percorsi ciclabili. Le riforme indispensabili sono una più forte regia delle scelte infrastrutturali e di servizio; la revisione della tassazione sui combustibili per renderla proporzionale alle emissioni e eliminare i sussidi all’olio di palma.
7.Rigenerazione delle aree urbane: attraverso politiche che affrontino finalmente la situazione delle periferie, riqualifichino gli spazi pubblici e la mobilità, riducano i problemi di accesso alla casa e di degrado del patrimonio edilizio esistente. Le riforme indispensabili sono la semplificazione degli interventi di rigenerazione urbane e una regia nazionale e coordinamento delle politiche di supporto agli Enti Locali nella progettazione, finanziamento, attuazione e monitoraggio degli interventi.
8.Ridurre i ritardi e i divari digitali: l’accesso alla connettività è un diritto da garantire a tutti i cittadini e per questo è fondamentale accelerare i lavori per la banda ultralarga, investire in infrastrutture di cloud computing e intelligenza artificiale, realizzare nelle città metropolitane piattaforme digitali pubbliche a servizio delle politiche di mobilità e di adattamento ai cambiamenti climatici, accelerare nel dispiegamento del 5G garantendo informazione ai cittadini e applicazione di standard di esposizione a tutela della salute e la definizione di regolamenti comunali per localizzare le stazioni radio base.
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9.Sicurezza e adattamento al clima dei territori: nel territorio italiano stanno accelerando i fenomeni meteorologici estremi che provocano danni nei territori e vittime: dal 2010 vi sono stati quasi 600 eventi che hanno provocato danni rilevanti in 350 Comuni. Le missioni strategiche sono finanziare piani e interventi di adattamento climatico nelle aree urbane a maggior rischio; rafforzare le attività di monitoraggio degli impatti sanitari dei cambiamenti climatici. Le riforme indispensabili sono l’approvazione del piano nazionale di adattamento al clima, in cui definire le priorità di intervento nelle città e nei territori; la revisione della normativa di tutela del territorio e rafforzare i controlli, per scongiurare la costruzione nei territori a rischio idrogeologico.
(12 ottobre 2020)
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