No alle Olimpiadi di sangue
Da , in edicola dal 25 marzo 2008:
l popolo del Tibet si è ribellato, una volta di più. I morti si contano a decine, il primo giorno. Quando il numero sarà nelle mani dei lettori, il bilancio sarà certamente più grave. E con la rivolta e la repressione, è scattato puntuale l’inverecondo balletto della falsa solidarietà al popolo tibetano, quella che non costa nulla.
A parole, tutti condannano la repressione delle autorità cinesi. Ma queste ultime, oggi come oggi, una sola cosa temono davvero. Che l’Occidente ponga l’aut aut: se la repressione non cessa immediatamente, non parteciperemo alle Olimpiadi di Pechino. Esattamente quello che l’ipocrisia occidentale si guarderà bene dal fare. Le argomentazioni non mancheranno, ammantate di nobiltà e ragionevolezza, per scegliere una strada da sepolcri imbiancati.
Si dirà che il boicottaggio non risolve nulla, potrebbe anzi danneggiare il popolo cinese e in particolare i gruppi dissidenti, spingendo le autorità infuriate a nuovi giri di vite. Che in Cina le libertà si faranno strada, anche se lentamente, proprio moltiplicando gli scambi di ogni genere, dunque anche sportivi, oltre che economici. E via ricamando, e accompagnando il tutto con altisonanti riaffermazioni dei valori universali della democrazia e dei diritti inalienabili dell’uomo e del cittadino.
La verità è ben diversa e la conoscono anche i sassi. Agli establishment occidentali non importa un bel nulla dei valori e dei princìpi, se rischiano di mettere in discussione il principio di tutti i princìpi e il valore di tutti i valori: Mammona, l’unico Dio che adorino, e la quotazione in borsa, suo unico riconosciuto profeta.
Il profitto viene prima, il danaro viene prima, questo proclama a squarciagola la giaculatoria interminabile delle giustificazioni e dei silenzi, l’olimpiade della doppiezza in cui i governi occidentali si sono subito impegnati con zelo agonistico, forti di un antico e mai interrotto allenamento. Del resto, con il tempismo profetico di chi ha dichiarato di parlare direttamente con Gesù, Bush aveva tolto la Cina dalla lista dei paesi che commettono violazioni gravi dei diritti umani, proprio alla vigilia della repressione che ha colpito i sudditi tibetani.
Vorremmo poter sperare nell’Europa. Vorremmo poter immaginare che quando questo numero sarà uscito, il parlamento europeo avrà già dichiarato, alto e forte, che nessun paese del vecchio continente parteciperà a Olimpiadi di sangue. Che i dirigenti cinesi, se non avranno rinunciato alla repressione, dovranno pagare un prezzo, il fallimento di quelle Olimpiadi che nelle attese del regime postmaoista dovrebbero invece celebrare il trionfo internazionale – e internazionalmente riconosciuto – della superpotenza capitalistico-comunista cinese.
Vorremmo credere che governi e schieramenti che si definiscono liberali, e per soprammercato sbandierano magari come irrinunciabili le radici cristiane dell’Europa, insegneranno ai loro concorrenti di sinistra l’intransigenza in fatto di libertà, e il loro ultimatum non negoziabile ai dirigenti cinesi obbedirà a quel «il tuo dire sia sì sì, no no, perché il di più viene dal demonio» che è la cifra inequivocabile di chi prende sul serio il Vangelo.
Vorremmo sperare che governi e schieramenti che si definiscono di sinistra sapranno tenere alte le bandiere di libertà abbandonate dalla borghesia, come si diceva ai tempi del comunismo europeo «riformista», dimostrando con ciò di essere i soli eredi legittimi delle istanze universalistiche dell’Illuminismo e delle rivoluzioni liberali.
Vorremmo sperare che se anche nulla di tutto questo accadrà in Europa, accadrà almeno in Italia, dove c’è pur sempre un papa, pur sempre obbedito dai politici di destra e di sinistra, e pur sempre disposto a sussurrare il dovere mondiale della pace e della giustizia, che della pace è l’altro nome, come possiamo leggere in infinite encicliche.
Infine, vorremmo poter aggrapparci almeno ad una speranza minimalista. Che il «non possumus» dell’Italia di fronte alle Olimpiadi di sangue sappia prometterlo, anche a costo del più completo isolamento, Walter Veltroni, che l’isolamento ha dimostrato di non temere e ha voluto invece trasformarlo in una risorsa.
Vorremmo.
Ma poiché sappiamo bene come di pie illusioni democratiche siano lastricate le autostrade dei successi totalitari, contiamo solo sui cittadini. E in particolare su quei cittadini che hanno il privilegio dell’accesso ai mass-media, gli opinion-makers, gli intellettuali, le personalità dello spettacolo, gli sportivi. Il loro no alle Olimpiadi di sangue è l’unica solidarietà concreta per i democratici del Tibet e della Cina.
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