“Noi, insegnanti polacchi, contro la legge revisionista sulla Shoah”

Sebastian Matuszewski

e Piotr Laskowski

Cari Alunni,
Ci rivolgiamo a voi, studentesse e studenti del nostro liceo e alle vostre compagne e compagni di altre scuole. Anche se ci occupiamo della storia della seconda guerra mondiale come ricercatori, questa lettera non rientra nella categoria né di ipotesi, né di dibattito scientifico. Non si tratta neanche di un intervento artistico [1]. Ci rivolgiamo a voi e alle vostre coetanee e coetanei come insegnanti.

Sicuramente sapete ciò di cui i media parlano da una settimana: una nuova legge è in attesa della firma del presidente della Repubblica. Il suo contenuto può essere riassunto brevemente come segue: chiunque attribuisca alla nazione polacca o allo Stato polacco la corresponsabilità di qualsiasi reato che costituisce un crimine contro la pace, un crimine contro l’umanità, o un crimine di guerra, sarà soggetto a sanzioni.  In questa lettera, così come in futuro, intendiamo infrangere questa legge.

Il concetto di “nazione polacca” e le istituzioni dello stato polacco (così come tutte le altre “nazioni” e altri stati) sono corresponsabili dei delitti che costituiscono crimini contro l’umanità, contro la pace e crimini di guerra.

“La nazione” è un incantesimo che ha il potere di trasformare le persone senza inclinazioni a fare del male agli altri in assassini spietati convinti della propria rettitudine morale. Alle origini, all’inizio del diciannovesimo secolo, la parola “nazione” conteneva una promessa: la liberazione dei popoli dal potere dei tiranni, il riconoscimento delle differenze tra le culture e le lingue, una lotta comune per la libertà. Ma quando il concetto trionfante  della nazione è stato associato allo Stato, quando dallo slogan della ribellione è diventato l’ideologia del potere, nulla è rimasto di questa promessa. Lo Stato nazionale basa il proprio potere sulla creazione delle barriere tra le persone e sulla distinzione incessante tra chi appartiene alla comunità nazionale immaginaria e si trova sotto la sua protezione e chi ne è escluso e quindi indifeso. Lo Stato nazionale usa il concetto di “nazione” per consentire ai propri funzionari di esercitare il controllo sulla vita dei suoi sudditi   esponendo alla morte coloro che vengono esclusi.

Questa è la lezione che la storia ci insegna, compresa quella della Polonia.

Fu proprio lo stato polacco, quello della Seconda Repubblica, che nel 1938 organizzò un campo a Zbąszyń dove furono imprigionati alcune migliaia di cittadini ebrei polacchi espulsi dalla Germania nazista  e privati  in un tempo record della loro cittadinanza dal parlamento polacco. Era lo stato polacco, nella persona del ministro delle Confessioni Religiose e della Pubblica Istruzione, che nel 1937 aveva sanzionato il “ghetto dei banchi”, dividendo così gli studenti nelle aule universitarie sulla base degli stessi criteri che presto sarebbero stati usati per separare le persone dalle mura dei ghetti nazisti.
   
Durante la guerra, lo stato polacco, ossia il governo in esilio a Londra, per oltre due anni, fino a giugno 1942, fu incapace di condannare i crimini contro gli ebrei, né alla radio, né sulla stampa dello Stato Polacco Clandestino. Lo Stato Polacco si astenne dal pubblicare un appello esplicito e perentorio ai polacchi affinché impedissero lo Sterminio degli  Ebrei , malgrado le deportazioni di massa nei campi della morte e nonostante le suppliche di Shmuel Zygielbojm e Ignacy Schwarzbard, membri del Consiglio Nazionale presso il Presidente della Repubblica Polacca in esilio. Nel marzo del 1943, poche settimane prima dell’insurrezione nel ghetto di Varsavia, quando due milioni di ebrei erano già stati sterminati nelle terre polacche, Schwarzbard, disperato, fece appello al Consiglio: “Provo rancore nei confronti  del Ministero degli Interni, provo rancore perché non si è ancora rivolto, in nome del destino comune[…], alla società polacca affinché,  in questo terribile disastro, in questa terribile tragedia, nei limiti del possibile e con i mezzi che ancora hanno a loro disposizione, sostengano moralmente e materialmente gli ebrei polacchi che stanno morendo “.
   
Oggi, le istituzioni dello stato polacco impediscono alle persone di dire la verità su quello che è successo durante la Seconda Guerra Mondiale. Gli abitanti di molte città, paesi e villaggi sono consapevoli degli omicidi e dei saccheggi commessi dai polacchi ai danni dei loro vicini ebrei e vogliono esprimere questo senso di colpa. Ma l’ideologia della nazione che aveva ispirato i crimini viene ora utilizzata per imporre il silenzio. E’ vero quindi l’esatto contrario di quanto ci dicano numerosi uomini politici e commentatori per i quali c’era una nazione innocente e singole atrocità commesse da individui. È vero il contrario: non la nazione innocente e gli individui criminali, ma gli individui dal comportamento nobile o infame e la “nazione” come giustificazione del crimine.
    
Stiamo scrivendo questa lettera venerdì 2 febbraio. I media hanno diffuso la notizia di 90 migranti che cercavano di raggiungere l’Europa, annegati al largo della costa libica. Sono state le istituzioni statali a costringere queste persone ad intraprendere una traversata illegale, sono state proprio queste istituzioni ad imprigionare migliaia di altri in campi molto simili a quello di Zbąszyń.  Anche tutto ciò è il risultato dell’egoismo nazionale e del concetto di “nazione”; la politica dello stato polacco che pretende di “proteggere” la nazione dagli “estranei” ha la sua parte anche in questo crimine.
   
Non c’era alcun destino comune con i condannati a morte nel quale Schwarzbard si sforzava di credere. Non c’è un destino comune con coloro che muoiono in mare e oggi soffrono nei campi. È la nazione che costituisce la barriera che rende questa comunanza di destini irraggiungibile.
   
La nazione è ciò che le autorità polacche continuano a stipare nelle nostre teste e a farci ingoiare. Nel nuovo curriculum di storia per le scuole superiori, che non si distinguono particolarmente da quelli precedenti, in un’unica pagina che descrive gli “obiettivi educativi” dell’insegnamento di storia, la parola “nazione” figura 6 volte, la parola “patria” , con un solo riferimento alle “altre” nazioni e stati.
A parte la nazione e lo stato, in questo tipo di storia insegnata nelle scuole non c’è spazio per nient’altro: nessun riferimento alle persone oppresse dalla nazione, né alle loro vite o al loro lavoro, né alle ricerche di altre forme di vita, ad altri tipi di comunità, di altre vie verso la felicità.
 
I governanti usano il concetto di “nazione” per proporre un falso “orgoglio”, una falsa comunità e una falsa “sicurezza” a chi è spesso infelice, privo di speranza, stanco del lavoro o oppresso da un mutuo da pagare; per risvegliare in lui il disprezzo, la sfiducia e l’ostilità verso gli “estranei”, per sancire il “sacro” egoismo, per giustificare l’insensibilità e la parzialità delle opinioni, per sopprimere la ricerca della verità.

Lo vedete quotidianamente osservando i politici e ascoltando i loro discorsi infantili, avvilenti e troppo spesso infami, d
estinati a suscitare in voi l’ostilità verso le persone con cui volete e siete capaci di collaborare, creare, fare amicizia. Ma siete voi ad avere ragione; non permettete a nessuno di convincervi del contrario: ciascuna e ciascuno di voi è una persona che pensa e sente, state affrontando il futuro che dovete inventare e costruire insieme, e che deve essere migliore di quello che vi circonda.

* Insegnanti della scuola multiculturale J. Kuroń. Membri del gruppo di curatori dell’edizione completa dell’Archivio Ringelblum.

[1] Il riferimento al lavoro scientifico o artistico è dovuto al fatto che la nuova legge esime dalla responsabilità queste due categorie di attività. Secondo il viceministro della giustizia Jaki si tratta di un “gesto” nei confronti di Israele (nota del trad.)
 
(traduzione di Lucyna Gebert)

(11 febbraio 2018)



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