“Noi Siamo Chiesa”: Dalla CEI nessuna proposta di organi indipendenti nelle diocesi per l’ascolto delle vittime di pedofilia

Noi Siamo Chiesa

L’annuale assemblea dei vescovi italiani, nel programma già predisposto come nelle attese dell’opinione pubblica cattolica e non, doveva affrontare soprattutto il problema degli abusi sessuali sui minori da parte del clero. Sarebbe interessante avere informazioni precise sul dibattito, ma, come è noto, esse non vengono diffuse. Riflettiamo quindi sui documenti ufficiali in merito a questo problema, riservandoci in seguito di intervenire sugli Orientamenti Pastorali per il prossimo decennio, l’altro argomento che è stato discusso.

Il Card. Angelo Bagnasco, nella sua ampia prolusione, ha rivolto,  per la prima volta in modo così preoccupato, attenzione alla condizione delle vittime. Di ciò bisogna dargli atto. Il Presidente della CEI ha poi sostanzialmente assolto l’episcopato italiano da particolari responsabilità, perché esso avrebbe seguito prontamente tutte le “direttive chiare e incalzanti della S. Sede”, e ha fatto grandi elogi delle prese di posizione più recenti di Benedetto XVI. Ha infine accreditato la “Guida alle procedure di base riguardo alle accuse di abusi sessuali” (1), documento pubblicato in inglese sul sito del Vaticano il 10 di aprile senza firma e senza data, che appare privo di credibilità perché con ogni probabilità scritto poco prima di essere diffuso, sotto la pressione dello scandalo.

Nel suo intervento Bagnasco accetta in toto e giustifica il sistema istituzionale che, partendo dalla “Crimen Sollicitationis” (1962) e poi dalla “De Delictis gravioribus”(2001), ha consentito la prassi che ha portato preti e istituzioni della Chiesa cattolica ai crimini ben noti, o sotto il profilo degli abusi sessuali o sotto quello della copertura degli stessi.

Tutto ciò premesso, ci pare che fosse del tutto scontata la dichiarata volontà di Bagnasco di voler occuparsi seriamente della questione, dietro le sollecitazioni del Papa e dell’opinione pubblica. Da questo punto di vista c’è, comunque, un passo in avanti da quando nel 2002 la CEI definiva il fenomeno in Italia “talmente minoritario da non meritare un’attenzione specifica”, così come è un passo in avanti il riconoscimento, in conferenza stampa, da parte dello stesso Bagnasco che ci possano essere stati dei casi di copertura da parte dei vescovi nell’ambito  dei circa cento casi di abusi sessuali da parte di preti negli ultimi dieci anni. Il Presidente della CEI non poteva non prendere atto di situazioni di insabbiamento e di trasferimento ad altre funzioni ministeriali di preti condannati, ormai denunciate dalla stampa e da tempo sotto gli occhi di tutti.

Ciò che lascia sconcertati nella prolusione del presidente della CEI  è l’assenza di qualsiasi proposta di intervento sul modello di quanto messo in atto in queste settimane, con qualche efficacia, da tutte le Conferenze episcopali del Nord Europa (commissioni indipendenti, referenti diocesani, ecc…). Tanto meno vi è l’esplicita indicazione di rivolgersi alle autorità civili o alla magistratura; ciò sarebbe stato opportuno e necessario, anche tenendo conto della preoccupazione per la situazione italiana espressa, in un’intervista del 13 marzo all’Avvenire, da Mons. Charles J. Scicluna, promotore di giustizia presso la Congregazione per la dottrina della fede, con queste parole: “c’è in Italia una certa cultura del silenzio che vedo ancora troppo diffusa”.

Numerosi interventi dei vescovi, a quanto risulta dal comunicato finale, hanno ribadito “la necessità di una vera penitenza e conversione, unita al coraggio della verità”; è stata inoltre sottolineata “la centralità della formazione nei seminari”. Nient’altro, nessuna indicazione per l’istituzione di sedi “vere” a cui le vittime possano rivolgersi ad integrazione di quanto tralasciato da Bagnasco. Se la discussione c’è stata, non ne è rimasta traccia nei documenti diffusi e negli impegni delle singole diocesi. Rimangono invece nel testo finale parole di enfasi insolita: “i nostri sacerdoti sono la gloria della nostra Chiesa” e ci troviamo di fronte al “luminoso impegno che il clero italiano nel suo complesso, da tempo immemore, svolge in ogni angolo del paese”.

Nessun cenno è stato poi fatto sulla necessità di modificare un sistema ecclesiastico rivelatosi, aldilà delle colpe individuali, poco adatto, nella formazione del clero, allo sviluppo di un rapporto equilibrato con la sessualità e propizio invece all’esercizio del potere nella Chiesa in modo autoritario e, a volte, prevaricatore. Noi riteniamo che, per andare alla radice del problema emerso con gli abusi sessuali del clero sui minori, la Chiesa dovrebbe, rilanciare l’iniziativa riformatrice inaugurata dal Concilio, in particolare nella direzione di una visione più positiva della sessualità ed anche di una organizzazione interna meno verticista e autoritaria, più trasparente e solidale”.

Nella conferenza stampa conclusiva, il Card. Bagnasco, a domanda, indica i vescovi come i soggetti a cui rivolgersi nel caso di abusi; essi sarebbero sempre disponibili (ma – obiettiamo noi – la loro affidabilità agli occhi delle vittime sembra essere ora ben scarsa). Le conclusioni dell’assemblea ci fanno consapevoli, ancora una volta, della distanza delle strutture ecclesiastiche di vertice dal legittimo sentire dell’opinione pubblica, a partire da quella cattolica. Infatti non c’è nessuna indicazione su qualche iniziativa che affronti il problema in proporzione della sua gravità (per esempio, qualche significativa richiesta di perdono o qualche iniziativa di aiuto e di accoglienza nei confronti delle vittime accertate di abuso). Vengono indirettamente avvallate le manifestazioni del 19 aprile e del 16 maggio a piazza S.Pietro, la cui ispirazione era stata peraltro suggerita dalla stessa CEI: adunate di sapore trionfalista e motivate dalla tesi – che non condividiamo – del “complotto” contro la Chiesa e il Papa, a  cui bisognava rispondere con un gesto di massa e di sicuro impatto mediatico.

Il 31 marzo “Noi Siamo Chiesa” ha diffuso un documento, che è stato inviato ai vescovi. In esso, facendoci portavoce di un’opinione largamente condivisa e dopo un approfondito esame di tutto il problema, il nostro movimento proponeva che in ogni Conferenza episcopale regionale si istituisse un “Collegio per l’ascolto e la trasparenza”, indipendente dalla gerarchia, con il compito “di ricevere le lagnanze e/o le segnalazioni relative a questioni che riguardino casi di abusi sui minori avvenuti in ambito ecclesiastico”. La nostra proposta è rimasta senza alcun seguito: nessun vescovo ha risposto, nessun dibattito, a quanto ci risulta, si è aperto anche su altre ipotesi. Altrove, le cose vanno diversamente: nella chiesa di S. Stefano, cattedrale di Vienna, lo scorso 31 marzo il Card. Christoph Schönborn ha presieduto una liturgia penitenziale per chiedere perdono delle colpe della Chiesa nei confronti delle vittime degli abusi; insieme e a lato, vi erano gli esponenti di “Wir Sind Kirche” (sezione austriaca del Movimento Internazionale Noi Siamo Chiesa-We Are Church), come portavoci della “base” della Chiesa cattolica.

La nostra amarezza per questa pesante estraneità dei nostri Pastori ai loro doveri è intrecciata con la consapevolezza che il futuro costringerà la CEI a riesaminare in radice la situazione. Speriamo che, sull’esempio del vescovo di Bolzano-Bressanone Karl Golse
r, qualcuno dei 237 vescovi presenti all’assemblea prenda qualche iniziativa di buon senso che rompa l’attuale imbarazzato silenzio delle nostre diocesi.
 
(1) In italiano il documento è disponibile al http://www.vatican.va/resources/resources_guide-CDF-procedures_it.html.

(2 giugno 2010)

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