“Non c’era posto per loro”
Raffaele Garofalo
, prete
Un Natale al giorno migliorerebbe il mondo. Nel vecchio “sussidiario” dei tempi andati, anche “l’uomo cattivo” (come il personaggio di Christmas Carol) scendeva dalla montagna per partecipare alla Messa di mezzanotte e liberarsi delle sue colpe.
Il Natale non è solo la festa dei bambini, non è la sagra delle luci, dell’albero, del presepe, soprattutto dei regali, spesso superflui. Si festeggia la venuta al mondo di Uno la cui vita ebbe inizio col “rifiuto” da parte degli altri, con la persecuzione, per finire con una condanna a morte, tra malfattori, come ribelle e “sobillatore”. Quest’uomo religioso vestiva senza contrassegni, frequentava le strade della Palestina, luoghi della sua predicazione e teatro delle sue opere, lontano dalle chiese ufficiali.
Fin dalla nascita cominciò a disturbare gli uomini di potere e coloro che avevano fatto le proprie fortune sul sudore degli altri. Nel Vangelo leggiamo che “Il re Erode fu turbato e tutta Gerusalemme con lui”. Era nato un bambino il cui destino era quello di “turbare” le coscienze dei malvagi, come Erode, ma anche dei buoni, dei benpensanti di Gerusalemme, di coloro che, di fronte all’ingiustizia, volgono lo sguardo altrove, per non inimicarsi il potente di turno.
La nascita di Cristo viene a sfidare anche i cristiani di oggi, ci invita a non cercare Dio oltre le nuvole, ma in chi ci sta davanti, nel prossimo svantaggiato, perfino in quello odioso. Spinto dalla sete di potere, e nel timore di perderlo, Erode non si fece scrupolo di perseguitare un bambino inerme, lo costrinse a diventare un “rifugiato politico” in terra di Egitto e, nella speranza di eliminarlo, ordinò la strage di tanti altri piccoli innocenti. Quel fanciullo era venuto a predicare che il potere è un servizio, non un dominio. Perciò di Lui hanno paura i despoti di tutti i tempi, i quali governano con l’arroganza, con l’inganno, col ricatto. E’ la logica degli Erode di sempre che abitano in ogni luogo, dentro l’uomo stesso.
Anche “tutta Gerusalemme” fu turbata da quel bambino. Un despota trova sempre chi lo serve, per interesse o per paura, gente disposta a vendere anche la propria anima. La politica attuale ce ne offre, scandalosamente, quotidiani esempi. Il Natale deve parlare agli uomini del nostro tempo. La cronaca giornaliera ci racconta di chi assiste indifferente alla sopraffazione e agli inganni subiti da cittadini cui vengono negati i diritti, alla violenza contro persone indifese, agli abusi sulle donne, compiuti soprattutto tra le mura domestiche.
Gesù venne al mondo e “i suoi non lo riconobbero”, racconta il Vangelo. Tante “famiglie di Nazareth” sbarcano sulle nostre coste, costrette a fuggire dall’Erode del luogo, dalla persecuzione politica, dalla guerra, dalla fame. E’ stato raccontato loro che siamo bravi cristiani che frequentano le chiese, per questo aperti alla solidarietà e alla condivisione. Giuseppe, Maria e il bambino vengono da noi sperando di essere accolti, ma noi “non li riconosciamo”… Da anni dei fuggiaschi annegano nel Mediterraneo, il mare della nostra indifferenza. Milioni di bambini vengono uccisi dalla fame, dalla sete e dalle malattie, per loro non versiamo una lacrima, la riserviamo al grazioso bambinello “di gesso”, la notte di Natale, felici di portarlo in processione nelle nostre chiese. Ci lasciamo commuovere dalla religione dello spettacolo, dei sentimenti scontati. La società ricca recita molto bene la parte del nuovo Erode e della sua Gerusalemme. Le politiche dell’ Europa “dalle radici cristiane” e del nostro cattolicissimo Paese non sono impostate sul riconoscimento dei diritti di ogni uomo, sull’accoglienza del fratello “diverso” ma sulla paura e sul suo “respingimento”. Abbiamo tradotto in una legge nazionale discriminatoria, disumana la nostra paura dello “straniero”. Così Cristo è destinato a nascere perennemente in una stalla, nessuno vuole occuparsi della famiglia che fugge da Erode. Manca il coraggio di liberare il mondo dai despoti, anzi, i nostri politici fanno patti indegni con loro per sbarazzarsi di tutte le “sacre famiglie” che bussano alle nostre porte.
Le Scritture che ascoltiamo a Natale ci invitano a piantare il seme della giustizia e della pace, ma non sembra che le “nazioni cristiane” stiano camminando verso la “nuova Gerusalemme”, non stanno dalla parte del Bambino. Anche a Betlemme c’era gente “buona come noi” e l’oste della nota poesia natalizia sarà stato assalito dagli stessi dubbi che occupano la nostra mente alla vista del “forestiero”: “Sarà un delinquente, un ladro, uno che non ha voglia di lavorare. Un uomo di una certa età che va in giro di notte, con una ragazzina incinta, deve essere un poco di buono, forse uno sfruttatore, uno spacciatore che viene dalla Galilea, avrà commesso qualche crimine. Da quelle parti sono tutti così”. Questo ha pensato il padrone dell’albergo di Betlemme.
Blaise Pascal diceva: “Non si fa mai tanto male come quando lo si fa per motivi religiosi”. Anche il cristiano sa trovare tutte le ragioni per essere razzista. Si rifiuta Cristo in nome di Dio stesso. Non lo riconosciamo nel Bambino che bussa alla nostra porta con la mano di una giovane donna incinta e denutrita. Lo respingiamo nella stalla, mandiamo quel Bambino a nascere altrove. Forse a morire nel deserto della Libia, per mano di Erode… E di “tutta Gerusalemme con lui”.
(20 dicembre 2010)
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