Nucleare iraniano, decenni di lavoro diplomatico e tecnico vanificati

Massimo Zucchetti


Nella questione internazionale del nucleare bellico, l’Iran ha sempre occupato una posizione peculiare, fra gli Stati che hanno ratificato il Trattato di non proliferazione (TNP). Anche prima delle rivelazioni sull’esistenza di un sospetto programma nucleare clandestino (nel 2002) e del Rapporto dell’Agenzia Atomica Internazionale (IAEA) del 2003, le relazioni internazionali tra l’Iran e i paesi occidentali erano su questo punto piuttosto tese. Ma dopo molti anni di difficili negoziati e di lenta costruzione della fiducia, si è arrivati a un importante accordo nucleare nel luglio 2015 (denominato JCPOA, piano d’azione globale congiunto), tra l’Iran e i “P5+1” (cioè, Cina, Francia, Germania, Russia, Regno Unito, Stati Uniti, più l’Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza): esso ha rappresentato un passo importante nella lotta contro la proliferazione delle armi di distruzione di massa. Si tratta di un accordo scientificamente attendibile, transazionale e verificabile, con un "equilibrio" proporzionale di obblighi e concessioni: il JPCOA insiste sull’importanza dei meccanismi di verifica delle attività condotte in conformità con l’accordo stesso, e combina la parte tecnico/scientifica con le istanze diplomatiche e politiche. Mira ad essere una soluzione duratura alla questione nucleare iraniana.
Due punti rilevanti:
•    Innanzi tutto, l’accordo ha evitato di etichettare l’Iran come uno "Stato canaglia" o come uno stato in un "apartheid nucleare", attraverso la privazione del suo diritto di perseguire le attività pacifiche dell’energia nucleare. A tale riguardo, i cambiamenti nella politica estera degli Stati Uniti sotto l’Amministrazione Obama e il coinvolgimento dell’UE sono stati cruciali. Il passaggio-chiave dell’amministrazione Obama, rispetto a quelli precedenti, ha allontanato il rischio di cadere in azioni militari temporanee, volte alla distruzione di tutte le infrastrutture nucleari critiche iraniane: con il JPCOA si può effettivamente impedire all’Iran di diventare un prossimo "stato armato nucleare".
•    Il coinvolgimento attivo del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti (DoE) e dell’Organizzazione per l’Energia Atomica dell’Iran (AEOI) ha dato una definitiva spinta quando sembrava che i negoziati si arenassero. Seguendo il vecchio adagio del presidente Reagan "fiducia, ma verificando", gli Stati Uniti hanno invitato il DoE a fornire i consigli tecnici necessari, al fine di verificare l’efficacia, la completezza e l’integrità del sistema di monitoraggio e verifica dell’IAEA, in modo da consentire la rapida individuazione di attività e ricerche relative alle armi nucleari iraniane proibite. Questo lavoro congiunto del DoE e dell’AEOI ha portato i negoziati a buon fine, ed è un eccellente esempio concreto della cosiddetta "scienza della non proliferazione per la diplomazia".
L’Accordo è stato un esempio significativo di diplomazia scientifica "in azione"; se correttamente implementato e rispettato dall’Iran, garantisce la natura pacifica del programma nucleare iraniano, mirando alla normalizzazione delle relazioni internazionali con l’Iran, aprendo anche nuovi canali di cooperazione tra Iran, UE e USA e contribuendo a stabilizzare l’area del Medio Oriente.
Il JPCOA prevede un percorso a piccoli passi a date successive, con verifiche stringenti, che l’Iran deve seguire: ad esempio, nel dicembre 2015 il Consiglio dei governatori dell’IAEA ha esaminato la valutazione finale del direttore generale e ha adottato una risoluzione con la quale archivia il fascicolo sulle attività nucleari del passato dell’Iran. Nel 2016, l’IAEA ha pubblicato un rapporto che conferma che l’Iran ha completato le necessarie fasi per l’attuazione del piano d’azione congiunto. Il traguardo finale, chiamato “Termination Day”, potrà venire raggiunto – se l’Iran “si comporterà bene” seguendo tutti gli obblighi – nel 2023, con la chiusura positiva e definitiva del pluridecennale “affare Iran”.
Il JCPOA pone l’onere della prova sull’Iran e insiste su un regime rafforzato di verifica e monitoraggio da parte dell’IAEA. I principali doveri dell’Iran, andando per poche righe sulle questioni tecniche, sono:

•    la riduzione del numero delle sue centrifughe operative;
•    la conversione dell’impianto di arricchimento dell’uranio di Fordow in un centro di ricerca e sviluppo civile;
•    la riprogettazione del reattore ad acqua pesante Arak al fine di ridurre drasticamente la produzione di plutonio;
•    la rinuncia permanente alla costruzione di un impianto di ritrattamento del combustibile nucleare;
•    la rimozione dal paese di quasi tutte le sue scorte attuali di uranio arricchito;

•    l’implementazione del Protocollo addizionale del IAEA, con l’accettazione di livelli potenziati di monitoraggio dell’ IAEA e misure di rafforzamento della fiducia.
In sostanza, il JCPOA pone restrizioni fisiche alla capacità dell’Iran di produrre, nei suoi impianti, i due tipi di materiali fissili (plutonio e uranio altamente arricchito), necessari per fabbricare armi nucleari.
Come contropartita ad una serie di doveri così pesanti, ci sono per l’Iran una serie di vantaggi. Gli Stati Uniti sospendono alcune sanzioni, tra cui figurano: il divieto di transazioni finanziarie e bancarie con banche e istituzioni finanziarie iraniane, tra cui la Banca centrale dell’Iran e determinati individui e entità; il divieto di trasferire le banconote statunitensi al governo iraniano; i blocchi commerciali su petrolio, prodotti petrolchimici e gas naturale dall’Iran; il divieto di transazioni con il settore energetico, automobilistico, marittimo e navale; le restrizioni per il commercio di oro e altri metalli preziosi; il blocco alla vendita di aerei passeggeri commerciali e relative parti e servizi all’Iran.
A completamento del percorso, il resto delle sanzioni statunitensi avrebbero dovuto terminare, nonché quelle dell’UE. È prevista la risoluzione delle disposizioni relative ai servizi di messaggistica finanziaria e le sanzioni restanti su metalli e software. Invece, le misure restrittive su individui ed entità collegate all’abuso dell’Iran in materia di diritti umani e controlli generali sulle esportazioni di prodotti a duplice uso militare e civile non sono affrontate dal JCPOA e rimangono in vigore.
L’amministrazione Trump non è più quella di Obama. Dopo il calo della tensione fra le due Coree, l’attenzione degli USA si è subito rivolta contro l’Iran: con una decisione brutale e unilaterale, gli Stati Uniti hanno deciso di uscire unilateralmente dall’accordo JPCOA.

Subito, l’IAEA ha ancora una volta assicurato che Teheran non ha mancato di rispettare gli impegni assunti nell’ambito del Patto. Come definire in altro modo questa decisione, se non una violazione del diritto internazionale da parte di Washington?

Il direttore generale dell’IAEA, il giapponese Yukiya Amano, ha infatti confermato che l’Agenzia sta monitorando da vicino i progressi compiuti sotto l’accordo nucleare dall’Iran: come richiesto dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, l’IAEA verifica e monitora l’attuazione da parte dell’Iran degli impegni sanciti nell’accordo. Amano ha ricordato che l’Iran è soggetto al regime di verifica più rigido al mondo in termini nucleari, proprio attraverso il JCPOA.
Noi abbiamo, nel nostro piccolissimo, contribuito alla buona riuscita del JPCOA dal punto di vista tecnico [1]: si è trattato di un rarissimo esempio di “happy end”, o perlomeno di visione – in un prossimo futuro – di una conclusione pacifica di una diatriba internazionale sul nucleare militare. Vedere ora il rischio che gli sforzi di centinaia di tecnici e diplomatici siano vanificati dalla decisione muscolare di una amministrazione bellicista guidata da un fanatico ci riempie di amarezza e sgomento. Chi scrive è stato per un biennio professore aggiunto all’Università di Shiraz, e quindi aggiunge ai sentimenti citati anche una certa vergogna nei confronti dei colleghi iraniani. Sugli ovvi pericoli per la pace nel settore mediorientale e nel mondo, già altri si sono pronunciati e non possiamo che condividerne le preoccupazioni. Crediamo anche – imitando una moda molto in voga negli USA – che una “class action” in cui centinaia di tecnici che hanno lavorato per molti anni ad un accordo cancellato con un tratto di penna sarebbe necessaria: chiediamo al signor Trump alcuni miliardi di dollari di danni morali?

L’Unione Europea ha – sembra –manifestato segnali di ribellione alla decisione unilaterale degli USA: se la roadmap verrà mantenuta, l’Iran ha dichiarato di ritenere il rilascio delle sanzioni da parte degli altri membri oltre gli USA come un fatto sufficiente a continuare nella buona strada fin qui rispettata senza deviazioni. Sta poi alla Russia ed alla Cina chiedere conto, in sede di Consiglio di Sicurezza, del comportamento degli USA: la decisione della amministrazione Trump, se accolta con una dovuta presa di distanze dagli altri partner, potrebbe ritorcersi contro gli stessi Stati Uniti, contribuendo al loro progressivo isolamento internazionale, già in corso con la rescissione di altri trattati e associazioni (si ricordi il caso dell’UNESCO). L’Iran giustamente rifiuta il ruolo di vittima sacrificale, ma ironicamente questi recenti sviluppi potrebbero aumentare – e non diminuire – le simpatie dell’occidente nei suoi confronti.

[1] Maurizio Martellini, Massimo Zucchetti, The Iranian Nuclear Agreement: a Scientifically Reliable, Transactional and Verifiable Joint Comprehensive Plan of Action. In: Jonathan Black-Branch and Dieter Fleck (eds.), Nuclear Non-Proliferation in International Law, Volume III: Legal Aspects of the Use of Nuclear Energy for Peaceful Purposes. Springer, November 2016, pp.471-488.
(18 maggio 2018)





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