Obama e Berlusconi chiedano al governo turco di riconoscere il genocidio armeno

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di Gianni Rossi, da Articolo 21

La memoria storica a volte fa fatica a diventare anche "memoria ufficiale" degli stati. E’ già capitato con la Shoah ebraica, e stenta ad affermarsi per altri genocidi di comunità umane, diverse per religione, cultura e "radici razziali" in varie parti del mondo (si pensi alle stragi di milioni di persone nelle guerre civili intestine in Africa tra gli Hutu e i Tutsi, o in Darfur nel Sudan). A volte, le resistenze sono dovute alle "opportunità diplomatiche", agli interessi economici, alla geopolitica.

E così tocca agli storici indipendenti, agli intellettuali, agli scrittori, spesso, ricordare quelle stragi che hanno insanguinato e angosciato il "secolo breve" del Novecento, quel secolo che ha stravolto la vita dell’umanità con le sue scoperte scientifiche, tecnologiche e mediche, ma che ha anche evidenziato come non mai nel passato la natura violenta degli esseri umani, se a prevalere è il "sonno della ragione".

Le ultime vicende di politica estera, che vedono protagonista il presidente degli USA, Barak Obama, offrono lo spunto a ripercorrere le tappe della memoria storica che tende da quasi 100 anni ad obliare il genocidio armeno.

Le recenti posizioni di Obama a favore dell’ingresso repentino della Turchia nell’Unione europea, senza che Ankara faccia i conti con la sua storia, senza che continui nel negazionismo sul genocidio armeno, stonano gravemente con le sue posizioni filo-armene espresse, invece, durante la sua campagna elettorale per le presidenziali. Da un anno e mezzo, gli Stati Uniti (Risoluzione H106 della Commissione esteri del Congresso) hanno riconosciuto formalmente che oltre alla Shoah degli ebrei, allo sterminio dei 6 milioni di "figli di Israele" da parte dei nazi-fascisti, c’è stato anche un altro genocidio: quello del popolo cristiano armeno, tra il 1915 e il 1916, ad opera dei turchi, mentre in Europa infuriava la Prima guerra mondiale. In termini percentuali, quello armeno fu uno sterminio ancora più tragico, se si possono fare raffronti in questo orrendo conteggio: 1,5 milioni di morti su meno di 2 milioni di persone.

L’Unione Europea aveva riconosciuto a sua volta nel 1999 questo genocidio del popolo armeno e nel 2000 lo stesso ha fatto il Parlamento italiano. E così, da qualche anno, anche nel nostro paese si commemora quest’altra Shoah il 24 aprile, seppure non in forma ufficiale. Ma non ancora per tutta l’Europa, dove appunto la comunità armena ha trovato scampo nella sua "diaspora" di inizio Novecento. Nonostante queste prese d’atto, però, gli Stati Uniti, anche con la nuova presidenza Obama, ritardano a riconoscere sia in Congresso e sia come "atto presidenziale" il genocidio armeno come "fatto storico" incontrovertibile. Il 24 aprile del 1915, il governo turco fece arrestare e decapitare circa 600 fra le personalità di spicco della comunità armena di Costantinopoli, la moderna Istanbul: medici, avvocati, deputati, scrittori, prelati, poeti, insomma il "cervello" del popolo armeno, mal visto più che per la loro religione, per la propria indipendenza culturale e politica e l’influenza socio-economica.

Lo sterminio, però, era iniziato già alcuni anni addietro, durante l’ultimo periodo dell’Impero ottomano. Tra il 1894 e il 1896, Abdul Hamid, soprannominato il "sultano rosso", aveva già ucciso 300 mila armeni. Da allora in poi, ci fu una serie di massacri durata per 30 anni (nel 1909 c’è un’atroce prova generale ai danni di 30 mila armeni della Cilicia, sterminati sotto l’occhio indifferente delle altre potenze, con solo la Chiesa cattolica a protestare), anche durante la costruzione della moderna repubblica turca ad opera del movimento dei "Giovani turchi", guidato da "padre della patria" Kemal Ataturk. Il Metz Yeghern, cioè il "Grande Male", come lo definiscono gli armeni, è proseguito fino al 1923.Allo scoppio della Prima guerra mondiale, nel 1914, la Turchia, alleata dei tedeschi e degli austro-ungarici, subisce una disfatta sul fronte caucasico, dove gli armeni, che conoscono meglio il territorio, sono in maggioranza. In seguito, però, i soldati armeni arruolati nell’esercito ottomano, ritenuti possibili traditori e collaborazionisti con la nuova Repubblica sovietica di cui fa parte la neonata Repubblica di Armenia, vengono disarmati e sottoposti a immani fatiche, fino a stremarli, per poi fucilarli in gruppi di 100. Alla fine della guerra non ci saranno più armeni nella parte turca del Caucaso!

Fu, stando agli studi più recenti degli storici, una specie di "prova generale" delle tecniche di sterminio poi attuate dai nazisti, cui si ispirò lo stesso Hitler, come lui stesso sostenne. Non a caso, in Turchia allora erano presenti massicciamente ufficiali prussiani come consiglieri delle forze armate ottomane, in quanto alleati storici di Istanbul, anche per la sua posizione di potenza bellica avversaria degli anglo-francesi ed italiani.

I pochi che riuscirono a scampare alle "marce della morte" nel deserto siriano, agli stupri, alle torture quotidiane, si rifugiarono prima nel Libano e a Venezia, poi in Francia e quindi negli Stati Uniti, dando vita ad una diaspora che ancora dura tutt’oggi (sarebbero 8 milioni gli esuli nel mondo) e che ha dato tanto lustro a questa etnia con artisti, storici, intellettuali, registi e cantanti (si pensi solo a Elia Kazan e Charles Aznavour), che tutto il mondo apprezza. E fu proprio per volontà di Ataturk che furono bloccati i processi contro i primi responsabili delle stragi, tutti militari appartenenti al suo movimento, poi prosciolti e molti di loro reintegrati nei posti di potere al suo fianco. Da allora, nei libri di storia turchi è scritto solo di massacri di turchi ad opera degli armeni e ancora oggi parlare della strage degli armeni equivale ad un "insulto all’identità turca» secondo l’articolo 301 del codice penale turco.

Ma perché la Turchia non vuole ancora riconoscere il genocidio armeno?
La risposta l’ha data uno storico turco, Taner Akçam: "è il nazionalismo della Turchia a non permetterle di riconoscere il proprio passato. La Turchia di oggi, quella rifondata da Kemal Ataturk, non può e non vuole riconoscere che la fondazione del proprio stato sia sporcata da una così grande macchia di sangue. Ataturk è stato il primo negazionista: ha "salvato" molti responsabili dell’eccidio e lo ha cancellato dai libri di scuola, ha riscritto la storia. I turchi oggi imparano che sono stati gli armeni a massacrare i loro antenati".

E solo l’impegno per contrastare il "negazionismo", per squarciare il velo dell’oblio storico e ufficiale sul genocidio armeno, può portare ancora oggi alla morte in Turchia. Il 19 gennaio del 2007, il giornalista armeno Hrant Dink, fondatore della rivista bilingue turco-armena Agos, è stato assassinato a Istanbul, per aver parlato appunto del genocidio.Un altro caso emblematico è quello dello scrittore Orhan Pamuk (premio Nobel 2006 per la letteratura), nel dicembre del 2005 finito sotto processo per "aver offeso l’identità turca". Pamuk, autore di romanzi tradotti in venti lingue come Neve e Il mio nome è rosso, vincitore alla Fiera del Libro di Francoforte del Premio della Pace 2005, è stato denunciato da alcune autorità locali turche per le sue prese di posizione sul massacro degli armeni e le vessazioni contro i curdi.

Da Francoforte, Pamuk, riferendosi all’ultima campagna elettorale tedesca che aveva mostrato atteggiamenti spiccatamente contrari all’entrata della Turchia in Europa, ha precisato: "Una cosa
è criticare lo stato turco per i suoi deficit di democrazia e un’altra cosa è umiliare tutta la cultura turca e i turchi che vivono in Germania in condizioni molto più difficili dei tedeschi". Secondo l’intellettuale, l’antieuropeismo nei confronti della Turchia non potrà che finire per incoraggiare quelle espressioni più integraliste e retrive del nazionalismo turco antieuropeo. "Chi crede nell’Unione europea – ha concluso Pamuk – deve riconoscere che qui si tratta dell’alternativa fra la pace e il nazionalismo. Una Turchia che trovasse la sua forza solo nella religione, proprio come un’Europa che si appoggiasse solo al suo cristianesimo, sarebbe una fortezza che riconosce solo le realtà del passato e non quelle del futuro".

Pamuk ora vive negli Stati Uniti, colpito da una "fatwa", una condanna degli integralisti turchi, che per le sue posizioni anti-negazionistiche lo hanno condannato a morte.Certo è che la questione armena rischia di bloccare l’accettazione della Turchia nell’Unione europea. Finora, sola la Francia e la Germania hanno posto una dura opposizione all’ingresso della Turchia moderna nell’Unione Europea, se prima il governo, lo stato e la potente lobby militare turca non riconosceranno le proprie responsabilità storiche per quel genocidio. Come spiega Aldo Ferrari, docente esperto di Caucaso e collaboratore dell’Ispi, un osservatorio di geopolitica internazionale che ha sede a Milano: "Per l’Armenia, l’apertura dei negoziati tra l’Unione europea e la Turchia ha una grande rilevanza. Tra i due paesi pesano il genocidio armeno del 1915, che il governo di Ankara rifiuta di riconoscere, e la chiusura da parte turca delle frontiere con l’Armenia dal 1994, in seguito alla guerra del Nagorno Karabah. Il presidente armeno Robert Kocharian ha subito chiesto, infatti, che l’UE imponga alla Turchia la riapertura frontaliera, ritenendo inaccettabile che un paese che sta trattando il suo ingresso in Europa mantenga chiusa la frontiera con un altro stato che fa parte della Politica europea di Vicinato".

Nel luglio del 2003, infatti, la nomina di un rappresentante speciale dell’Unione europea per il Caucaso meridionale e l’inclusione (giugno 2004) del Caucaso meridionale nella Politica europea di Vicinato hanno ufficialmente sancito l’interesse dell’Europa per questa regione, con il grande allargamento verso Est compiuto nel 2004 e la prospettiva di spostare le frontiere europee direttamente fino al Caucaso, appunto con la Georgia e l’Armenia ex-sovietiche. Per gli Usa e per l’Eruopa, la Turchia è da sempre considerata l’ultimo baluardo occidentale, un moderno "Vallo di Adriano", a difesa dalla crescente marea dell’integralismo islamico medio-orientale. In Turchia ci sono le più attrezzate basi militari della NATO ( da sempre Ankara fa parte dell’alleanza) e degli Stati Uniti. Da qui partono gli aerei con truppe e rifornimenti strategici per le guerre in Iraq e in Afghanistan.

La Turchia ha sempre goduto di una "strabica benevolenza" dall’Occidente per i suoi "affari interni". Basti pensare all’aggressione militare di Cipro negli anni Settanta e alla presenza di suoi militari in quell’isola ancora oggi, nonostante la parte greca sia entrata a far parte dell’Unione europea!C’è poi il "problema" dell’integrazione europea di quasi 6 milioni di turchi immigrati nel nostro continente, la maggior parte in Germania, oltre agli sforzi di quel paese di restare ancorato agli stili di vita occidentali, senza farsi risucchiare dalle "sirene" dell’integralismo islamico, nonostante al governo e a capo della Repubblica ci siano oggi esponenti di un forte partito confessionale. Il popolo tedesco da sempre, e subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, ha preso atto delle sue responsabilità a vari livelli nel genocidio degli ebrei. E’ ora che anche il popolo turco faccia altrettanto e che la Comunità europea ne chieda conto, prima di affrontare definitivamente il suo ingresso nell’Unione, previsto entro il 2014. Non si possono praticare "scoricatoie" storiche e politiche, come sembrano fare il governo Usa con Obama e quello italiano con un Berlusconi addirittura "mediatore", per far entrare la Turchia nell’Unione europea.

Ci vuole un pronunciamento politico e culturale di tutta l’Europa, perchè la "questione turco-armena" sia risolta con trasparenza. Anche perchè ne andrebbe dei rapporti geopolitici tra la stessa europa e il turbolento Medio Oriente, con l’irrisolta situazione della convivenza tra lo stato d’Israele e i territori palestinesi. Uno degli argomenti delle prossime elezioni europee del 4 e 7 giugno dovrebbe, dunque, essere proprio il riconoscimento del genocidio armeno da parte della Turchia. Non solo, ma i movimenti democratici europei (intellettuali, storici, scrittori, artisti, politici) dovrebbero proprio per questa "comunanza storica" tra i due popoli sterminati, ebrei ed armeni, battersi affinché anche lo stato di Israele, l’unica democrazia occidentale in Medio Oriente, entri a buon diritto nell’Unione Europea, rompendo così l’accerchiamento in cui viene antistoricamente isolato. Sarebbe questa una mossa diplomatica, e non solo, per costringere gli stessi governanti di Tel Aviv ad assumere comportamenti meno belligeranti nei confronti dei palestinesi e difendere così questo stato dall’aggressione dei fondametalisti islamici e dei paesi arabi più oltranzisti, come Siria ed Iran.

In questa stagione di rinnovato vigore internazionale per la difesa dei diritti fondamentali dell’uomo e dei popoli e di riscoperta delle nostre radici storiche, come europei, come eredi di un Novecento travagliato e, comunque, ricco di fermenti innovatori, vorremmo che anche in Italia si facesse qualche atto concreto per far conoscere ad un’ampia opinione pubblica la follia di quel genocidio, decretando ufficialmente il 24 aprile "giornata nazionale della memoria del genocidio armeno". Il Novecento verrà ricordato anche come il secolo dei totalitarismi. Gli albori del Duemila ci stanno spingendo, purtroppo, verso nuove forme di intolleranza, verso un Medio Evo altamente tecnologizzato, globalizzato, ma altrettanto intollerante e culturalmente sensibile ad un nuovo razzismo, che non risparmierà né i perseguitati di ieri, come gli ebrei e gli armeni, né i nuovi "dannati" della terra, ovunque siano: in Africa, in Asia e dentro la stessa Europa.

(7 aprile 2009)



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