«Oggi la mia lotta è per l’ambiente». Intervista al teologo della Liberazione Leonardo Boff

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di Vittorio Bonanni, da Liberazione, 27 settembre 2008

Sperare è un diritto, senza la speranza il futuro degli uomini e delle donne, intesi sia come singoli che come entità collettiva, viene completamente meno. E mai come adesso il destino dell’intero pianeta, e dunque la speranza in un mondo migliore, sembra essere legato alla questione ambientale, che mette al centro la mancanza di attenzione per la Terra, per le sue risorse, oggetto da decenni di una vera e propria rapina. Per tutte queste ragioni Leonardo Boff, teologo brasiliano, uno dei più importanti esponenti della Teologia della liberazione insieme a suo fratello Clodovis e al peruviano Gustavo Gutierrez, amico e consigliere del presidente del Paraguay Fernando Lugo, invitato a "Torino Spiritualità", la cui edizione 2008 è dedicata appunto alla speranza, ha affrontato nella sua lectio magistralis il tema dei cambiamenti climatici e delle continue aggressioni agli ecosistemi. Abbiamo colto l’occasione della sua presenza nel capoluogo piemontese per affrontare con lui questo nodo così delicato.

Professor Boff, nella sinistra si discute da decenni quale sia la contraddizione principale, quella che può funzionare come leva per il cambiamento. Una volta era quella capitale-lavoro, poi è subentrata appunto quella tra l’uomo e l’ambiente, senza dimenticare che anche quella tra i sessi è un altro elemento importante, senza il quale è difficile pensare ad un "altro mondo". E’ lecito pensare ad una gerarchia tra questi tre elementi o ce n’è uno che prevale?
Queste tre contraddizioni che lei ha citato sono tutte vere, ma è anche vero che sono tutte strettamente connesse tra di loro. Credo tuttavia che adesso la grande contraddizione, quella principale, per rispondere alla sua domanda, è tra una forma di produzione e di consumo che implica una devastazione delle risorse della terra, una minaccia all’equilibrio del pianeta e a tutte le forme di vita, e un’altra forma di produzione che non metta al centro l’accumulazione ma la sostenibilità di tutte le forme di vita. Scrive Edward Wilson, uno dei più noti biologi viventi, nel suo libro Creazione: come salvare la vita nella Terra: «Negli ultimi secoli, gli esseri umani, nel loro affanno di dominare la natura e conquistare tutto il mondo, hanno aggredito tutti gli ecosistemi con tanta intensità da provocare l’inizio della sesta estinzione di massa». Io credo che queste due visioni del mondo siano in contraddizione tra loro: una vede la terra come oggetto, che non ha spirito, che si può sfruttare senza limiti, un approccio che ha prodotto il riscaldamento del pianeta. E un’altra visione della Terra, più antica, tipica dei popoli originari e fatta propria da alcuni pensatori moderni, astrofisici e biologi, che vedono il nostro pianeta come un superorganismo altamente complesso. La prima visione vede insomma la Terra come un baule pieno di cose da prendere, di risorse illimitate da sfruttare, la seconda invece come un essere vivente da rispettare, Gaia o Pacha Mama, come la chiamano le popolazioni andine. La prima ha prodotto la crisi attuale, la seconda può portare ad una soluzione globale, ad una produzione capace di non danneggiare il capitale comune. E’ questa la contraddizione principale. Per avere un’idea più chiara basta immaginare il Titanic che affonda, la priorità è salvarsi, le altre esigenze vengono dopo.

Resta il fatto che i governi, ma anche le popolazioni, in particolare nel mondo ricco, occidentale, non riescono o non vogliono prendere atto di questo scenario. La partita sembra insomma complicatissima. A quali soggetti ci si deve rivolgere?
Serve certamente, come la definisco io, un’Alleanza per la vita, una Casa comune. Anche perché gli Stati-nazione non sono più strutture adeguate per poter affrontare tutto e non c’è abbastanza saggezza che consenta di capire tutto ed agire. Tutti devono essere coinvolti, industriali, chiese, per poter arrivare ad una sorta di "coscienza comune". E credo che le scienze e le religioni possano lavorare insieme per evitare la tragedia e trasformarla in una crisi di mutamento verso un altro paradigma civilizzatore più amichevole nei riguardi della natura e più rispettoso della Terra. Per arrivare a questo è necessario porre però quattro precondizioni: come ho già detto, un’altra visione del nostro pianeta, inteso appunto come Gaia; il superamento dell’antropocentrismo; una ridefinizione dell’essere umano dinanzi alla Terra ed infine il recupero della razionalità sensibile e della ragione cordiale.

Che cosa intende per superamento dell’antropocentrismo?
Se prendiamo come punto di partenza la necessità di considerare la Terra come un essere vivente appare chiaro che l’essere umano non può più essere collocato al centro della creazione, come un re o una regina che domina e sottomette tutto. La Terra non gli appartiene, è lui che appartiene alla Terra. L’essere umano è solo un membro di una grande comunità con un’unica differenza. E’ un essere etico, che ha un senso dell’etica, che sta dentro la natura ma nello stesso tempo sta fuori e che dunque può essere, contemporaneamente, angelo custode del pianeta ma anche un satana. Oggi, se vuole sopravvivere, ha il compito di diventare guardiano della creazione e di trasmettere questa creazione, conservata e arricchita, alle future generazioni. Come recita la Carta della Terra, un documento sulla tutela del pianeta che l’Unesco ha fatto proprio perché venisse divulgato in tutte le scuole: «Lo spirito di solidarietà umana e di parentela con tutte le forme di vita viene rafforzato quando viviamo con rispetto il mistero dell’esistenza, con gratitudine e umiltà il dono della vita».

Lei ha parlato del recupero di una razionalità sensibile. E’ una critica al dominio della scienza, del "logos" insomma, su altri aspetti della natura umana?
Certamente tutta la nostra cultura è stata costruita basandosi troppo su una razionalità strumentale ed analitica. La quale indubbiamente ci ha portato grandi vantaggi ma anche potenzialità distruttive enormi e ha messo nell’angolo l’altro aspetto dell’essere umano, quel "pathos" che vuole dire affettività, sensibilità e sentimenti. Oggi siamo coscienti che le strutture ultime dell’essere umano sono fatte di desideri, di affetti, di sogni e di utopie. Come sostengono filosofi come Daniel Goleman negli Stati Uniti, Michel Maffesoli in Francia o Adela Cortina in Spagna, la sensibilità e la cordialità sono forme di comunione con la realtà, dalla quali nasce il nostro sentimento di appartenenza. E oggi se non leghiamo la ragione analitica ad una dimensione di cordialità e di sensibilità difficilmente possiamo attivarci per salvare la Terra.

Bisogna lavorare per costruire una nuova moralità, non crede?
Che deve partire recuperando un’"etica della cura", la quale, come ha dimostrato Martin Heidegger, è l’essenza dell’essere umano, senza la quale la stessa esistenza sarebbe impossibile. Ora è arrivato il momento di prendersi cura delle cose e della Terra. L’espressione orientale della cura è la "compassione", forse il maggior contributo che il buddismo ha offerto all’umanità. E questo è il secondo punto di una nuova etica planetaria. La compassione non è un sentimento minore di "pietà". La compassione, come la intende il buddismo, comporta due dimensioni: la prima riguarda il rispetto per l’altro, l’obbligo di non invadere il suo spazio e di non dominarlo. La seconda significa condividere la passione dell’altro, soffr
ire insieme a lui, rallegrarsi con lui, camminare insieme e costruire la vita in sinergia con lui. Questo atteggiamento deve essere vissuto nei confronti della natura, della Terra e di quei milioni di affamati che soffrono nel mondo della globalizzazione. Il terzo punto riguarda l’etica del rispetto e della venerazione nei confronti di ogni essere della natura e il quarto l’etica della responsabilità universale. Tutti dobbiamo assumere la responsabilità del sistema-vita. Il filosofo tedesco Hans Jonas, nel suo libro Principio Responsabilità ha così definito l’intenzione di questa etica: «Agisci con tanta responsabilità che le tue azioni siano buone per tutte le forme di vita».

Professor Boff, siamo a Torino in un’iniziativa dedicata appunto alla Spiritualità. Come si può legare questa dimensione ai temi che abbiamo finora affrontato?
Bisogna innanzitutto sottolineare che la spiritualità non è monopolio delle religioni. E’ la dimensione del profondo umano, con lo stesso spirito di cittadinanza dell’amore, del sesso, del potere e dell’intelligenza. Lo spirito è quel momento della coscienza in cui l’essere umano si sente parte e particella del tutto. Che appare quando ci domandiamo: da dove vengo? Verso dove vado? Quale è il senso della mia vita? Che posso sperare oltre la morte? Queste domande che stanno sempre nell’agenda di ognuno di noi, rivelano la dimensione spirituale dell’essere umano che ci consente di percepire i messaggi che vengono dall’universo e dalle cose e di capire che un cordone ombelicale ci unisce alla Terra.

(29 settembre 2008)



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