Omaggio alla carnalità. Walter Malosti al Valle

Anna Maria Bruni

Questo potrebbe essere il titolo delle tre serate che il regista ha messo in scena al Teatro Valle di Roma. Con maestria consumata sia nella regia che nell’interpretazione, Malosti ha saputo ridare senso all’attrazione erotica, tanto vitale quanto mortificata in questo frangente storico.

Che sia Testori o che sia Shakespeare, è Walter Malosti che sorprende. Parliamo delle tre serate andate in scena al Teatro Valle di Roma, da lunedì 7 a mercoledì 9 marzo, cominciate con un omaggio al drammaturgo Giovanni Testori, passate per un omaggio a Fellini attraverso un “Giulietta Vox”, per approdare ad una riscrittura del poemetto shakespeariano “Venere e Adone”, dove è lui stesso in scena.

“Passio Laetitiae et Felicitatis”, l’opera di Testori che ha aperto la serata di lunedì, è una messa in scena dei corpi, del sangue, del sudore e delle lacrime, cui dà vita il linguaggio testoriano intriso di erotismo, e a cui si prestano con un bell’equilibrio fra abbandono e misura Laura Marinoni e Silvia Altrui. È la vicenda di Suor Félicita, che non a caso ribattezza se stessa Felicità, e della sua disperata ricerca d’amore, che senza pudore ma con molto candore si allunga sul fratello, volge al Cristo quando questi muore, per perdersi poi nell’attrazione della giovane Letizia, anche lei altrettanto candida e appassionata nel restituire l’amore in tutta la sua gioia e sofferenza.

Tanta la vita infusa in queste parti, da togliere l’aspetto tombale al cimitero messo in scena. Una vibrazione proseguita poi nella stessa sera attraverso la fusione di voci immagini e suoni della “Maddalene, da Giotto a Bacon”. Un viaggio che Giovanni Testori ha compiuto sulla figura di Maddalena nella storia dell’arte, e che Malosti ci ha restituito impreziosito delle vibrazioni al violoncello di Lamberto Curtoni, in sintonia con la voce narrante del regista per suoni, stridori e modulazioni. Una ricerca di armonia disarmonica, si potrebbe dire, che ha restituito anche qui la carnalità che contraddistingue l’opera testoriana, primo segreto che Walter Malosti ha saputo disvelare in scena, prima ancora del testo stesso.

Un’operazione perfettamente replicata con “Venere e Adone”, dove gli echi ruccelliani, persino la calata napoletana, non hanno fatto altro che accentuare questi aspetti, impregnandoli di umori e languori, ridipingendo in scena quella passione per il giovane Adone che una Venere molto transex cavalca come vivesse un coito. Frenate e riprese, urti e carezze, avvinghiamenti e pause-sigaretta. E’ così che il dominus di Venere divora un giovane Adone completamente nelle sue mani, fino a che non lo perde. E anche qui, ancora una volta, la musica. A sottolineare le stesse frenate e riprese, urti e carezze, avvinghiamenti e pause. E controcanto. Un amalgama mirabile dentro il quale si cela tutto il movimento della scena, che al contrario costringe i corpi su un carrello mobile, impedendo il loro racconto, tutto affidato all’affabulazione. Ma inutile dire, su questo Walter Malosti è maestro.

(10 marzo 2011)

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