Ombre e veleni. A proposito dell’articolo di D’Avanzo su Travaglio

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

Su La Repubblica di mercoledì 14 maggio, Giuseppe D’Avanzo, a proposito del “caso Travaglio”, ha scritto un articolo che è un capolavoro dell’"adombrare senza dire", dimostrando di conoscere assai bene la raffinata tecnica di manipolazione del lettore di cui vorrebbe accusare il collega (in corsivo le citazioni dall’articolo di D’Avanzo, ndr):

Non so che cosa davvero pensassero dell’allievo gli eccellenti maestri di Marco Travaglio (però, che irriconoscenza trascurare le istruzioni del direttore de il Borghese)…

L’articolo comincia subito lasciando intendere che Travaglio è un ingrato, perché dimentica uno dei suoi “eccellenti maestri”, che è un opportunista, perché non cita a bella posta il direttore de il Borghese tra i suoi ispiratori, e soprattutto che Travaglio ha delle cose da nascondere, perché così facendo non ha detto “tutta la verità” ai suoi lettori sulle “istruzioni” ricevute. E’ da notare che la presunta “stoccata” non viene lanciata alla luce del sole, ma come messaggio traverso, incomprensibile ai più, che restano con la sensazione che D’Avanzo sappia delle cose sul giornalista che loro non sanno.

Di questo si parla, infatti, cari lettori – che siate o meno ammiratori di Travaglio; che siate entusiasti, incazzatissimi contro ogni rilievo che gli si può opporre o soltanto curiosi di capire.

Poi D’Avanzo se la prende con gli ammiratori di Travaglio, che lui immagina, almeno in buona parte, come “incazzatissimi contro ogni rilievo che gli si può opporre”: come dire che chi stima Travaglio non lo fa perchè si è costruita un’opinione su di lui seguendo il suo lavoro, leggendo i suoi articoli e i suoi libri, apprezzando il suo stile giornalistico, ma perché “tifa” per lui come un ottuso fan, con una sorta di fede acritica dovuta al fascino esercitato dal personaggio (e quanta irritazione trapela da quel “cari lettori…” più volte ripetuto nell’articolo)

Certo, nasce un interrogativo che dovrebbe convincere Travaglio ad abbandonare, per qualche tempo, le piazze del Vaffanculo, il salotto di Annozero, i teatri plaudenti e andarsene in Sicilia ad approfondire il solco già aperto pazientemente dalle inchieste di Repubblica…

Qui il veleno scola direttamente sull’immagine pubblica di Travaglio: evidentemente, per D’Avanzo, un giornalista che lavori in una trasmissione televisiva (guarda caso d’informazione), che partecipi a iniziative di cui condivide le finalità (non da tutti altrettanto condivisibili, ma senz’altro non estranee al suo lavoro, visto che ha scritto fior di libri sul malaffare in politica e sul giornalismo genuflesso) e che ha persino l’ardire di andare nei teatri a raccontare quello che per la maggior parte dei media è oggetto di un’amnesia generalizzata (lo spettacolo non a caso si intitola “Promemoria”), è un frivolo vanesio che cerca applausi e visibilità a tutti i costi, anziché svolgere seriamente il proprio lavoro. Interessante l’uso delle espressioni, “salotto di Annozero” e “teatri plaudenti”, che evocano le subdole immagini spesso utilizzate per trasformare le persone impegnate in “radical chic”, cioè gente che predica da un Olimpo di agiatezza, alla faccia di quelli che stanno in trincea e scavano “pazientemente il solco”.

Afferra un "fatto" controverso (ne è consapevole, perché non è fesso). Con la complicità della potenza della tv – e dell’impotenza della Rai, di un inerme Fazio – lo getta in faccia agli spettatori lasciandosi dietro una secrezione velenosa che lascia credere: "Anche la seconda carica dello Stato è un mafioso…".

Primo: è paradossale parlare di “potenza della TV e impotenza della Rai” riferendosi ad un’azienda che ha cacciato in quattro e quattr’otto personaggi “scomodi” come Biagi, Santoro, Guzzanti e altri (che sono l’esempio più vistoso, ma sotto c’era e c’è un enorme iceberg di gente meno nota a cui non viene dato lavoro, che non fa carriera o che è costretta a “conformarsi”). Un’azienda che ha già messo al bando Travaglio una volta (ingiustamente, come ha dimostrato l’esito processuale) e che, lo sappiamo tutti, userà questo pretesto per toglierselo definitivamente dai piedi (e sappiamo tutti che, anche in questo caso, se ci sarà qualche strascico giudiziario, Travaglio ne uscirà a testa alta, ma intanto la “normalizzazione” avrà già dato i suoi frutti, e non solo sul giornalista).
Secondo: rivolgo un accorato appello: per favore, gettateci in faccia altri fatti controversi! Quello che per D’Avanzo è una “secrezione velenosa” in altri paesi si chiama portare alla luce (e all’attenzione dei cittadini) tutto quello che riguarda la vita pubblica, a partire dal presente e dal passato delle persone chiamate a ricoprire incarichi e cariche. E adoperarsi perché, “nel bene e nel male”, venga sciolto ogni dubbio su di loro.

E’ un paradigma professionale che, sulla spinta di motivazioni esclusivamente commerciali (non civiche, non professionali, non politiche), può distruggere chiunque abbia la sventura di essere scelto come target (gli obiettivi vengono scelti con cura tra i più esposti, a destra come a sinistra).

Prima di arrivare all’agguato finale, en passant D’Avanzo svela il vero scopo di Travaglio e del suo “paradigma professionale”: il giornalista infatti sceglie con cura gli obiettivi da distruggere “tra i più esposti a destra come a sinistra […] sulla spinta di motivazioni esclusivamente commerciali – non civiche, non professionali, non politiche”. Cioè Travaglio è uno che si finge sinceramente impegnato come cittadino e come giornalista, ma che in realtà mira solo ai soldi.

Ditemi ora chi può essere tanto grossolano o vile da attribuire all’integrità di Marco Travaglio un’ombra, una colpa, addirittura un accordo fraudolento con il mafioso e il suo complice?
Davvero qualcuno, tra i suoi fiduciosi lettori o tra i suoi antipatizzanti, può credere che Travaglio debba delle spiegazioni soltanto perché ha avuto la malasorte di farsi piacere un tipo (Giuseppe Ciuro) che soltanto dopo si scoprirà essere un infedele manutengolo?

Infine il pezzo forte: più che una “secrezione velenosa”, una vera bombetta puzzolente.
Con un perfetto triplo salto carpiato, D’Avanzo lancia un’accusa obliqua a Travaglio, facendo finta di farlo per far capire come Travaglio lanci accuse oblique facendo finta di niente. (A proposito, “caro giornalista”, pensi che noi lettori siamo così fessi da non accorgerci della manovra?).
Dice D’Avanzo: “Ditemi ora chi può essere tanto grossolano o vile da attribuire all’integrità di Marco Travaglio un’ombra, una colpa, addirittura un accordo fraudolento con il mafioso e il suo complice?” Sarebbe come scrivere in un articolo “Ditemi ora chi può essere tanto meschino da riportare su un giornale che Travaglio mercoledì scorso all’ora tale è stato visto spalancare l’impermeabile davanti alle allieve della scuola elementare Tal dei tali?”

Il grande Ro
bert McKee nel suo saggio sulla sceneggiatura contrappone ad ogni valore positivo che guida una storia, tre gradi negativi, che portano il conflitto fino alle estreme conseguenze: ad esempio se il valore in gioco è “l’amore”, le sue forze antagoniste partono dal “contrastante”, l’indifferenza, per arrivare al suo “contrario”, l’odio, fino a raggiungere il livello più estremo, il “doppio negativo”: l’odio mascherato da amore.
Nel nostro caso direi che se il valore in gioco è “la libertà di stampa”, il suo contrastante è “l’opportunismo” di chi la esercita solo quando gli conviene (o quando non lo danneggia), il suo contrario è “la censura”, il doppio negativo è la censura mascherata da difesa della libertà di stampa. E anche: il contrario è la censura esercitata dal potere costituito, e il doppio negativo è la censura esercitata dagli stessi colleghi giornalisti…

… io penso (ripeto) che la sana, necessaria critica alla classe politico-istituzionale
meriti onesto giornalismo e fiducia nel destino comune. Non un qualunquismo
antipolitico alimentato, per interesse particolare, da un linciaggio continuo e irrefrenabile
che può contaminare la credibilità di ogni istituzione e la rispettabilità di chiunque

Io non so se il “qualunquismo antipolitico” di Travaglio possa “contaminare la credibilità di ogni istituzione e la rispettabilità di chiunque”. So solo che l’articolo di D’Avanzo, per quanto mi riguarda, ha sicuramente intaccato la mia credibilità in La Repubblica e la “rispettabilità giornalistica” di Giuseppe D’Avanzo.

Anna Maria Bianchi, una “cara lettrice”

(16 maggio 2008)



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