Ora di religione nei crediti formativi, verso nuove discriminazioni

Maria Mantello

Dal Ministero dell’Istruzione al Consiglio di Stato, ritornano i tentativi di dare credito all’insegnamento della religione cattolica. Resta il baluardo delle sentenze della Corte Costituzionale.



Rieccoci a doverci occupare, nostro malgrado, ancora della questione dell’insegnamento della religione cattolica (Irc), impartita nelle scuole della nostra Repubblica da docenti scelti dalla curia vaticana, ma pagati dallo Stato italiano con uno stipendio per giunta più alto di chi insegna italiano, storia, matematica… Insomma le materie obbligatorie per tutti, a differenza dell’Irc che è materia facoltativa. La scelta di avvalersi o non avvalersi dell’Irc, infatti, è il presupposto che ne permette la presenza nella Scuola della Repubblica. Una scelta che garantisce la libertà di religione, compresa la libertà di non professare ed esercitare alcuna fede. Come ha ricordato la Corte Costituzionale, affermando anche che unica alternativa all’Irc è uno stato di non obbligo (cfr. sentenze: 203/1989; 13/1991).

Tuttavia, gli sforzi per indirizzare alla scelta dell’Irc, non sono mai mancati, soprattutto cercando di quantificare il giudizio dell’insegnante di religione cattolica in sede di valutazione e di scrutinio. Ma poiché un fatto di coscienza e di fede non può andare a punti, il giudizio sulla religione continua a restare una «nota a parte», fuori dalla pagella. La particolarità e delicatezza del rispetto della sfera della libertà di religione e dalla religione ha come conseguenza che, chi la insegna, pur partecipando alle operazioni di scrutinio e di delibera, non possa determinare mai la promozione o la bocciatura di uno studente. Pena l’annullamento dello scrutinio stesso.

Questo sistema, che pur tra non poche difficoltà, aveva trovato una certa stabilità, è stato incrinato dalle Ordinanze del Ministero dell’Istruzione, che si sono susseguite dal 1999 ad oggi, e che hanno individuato nel sistema del credito scolastico introdotto con i nuovi esami di maturità, l’opportunità di ridare ossigeno ad una materia, la religione cattolica, in calo alle superiori, e nelle grandi città.

Il credito scolastico viene attribuito dai professori agli alunni del triennio. Al termine di ciascuno degli ultimi 3 anni delle superiori il ragazzo consegue un punteggio, risultante dalla media dei voti nelle materie obbligatorie e del voto in condotta. L’intero consiglio di classe delibera, compreso l’insegnante di religione cattolica per gli studenti che hanno scelto il suo insegnamento. Questo punteggio colloca ogni alunno all’interno di una così detta “banda di oscillazione”, che consente eventualmente ai docenti l’arrotondamento di 1 punto in relazione a impegno, interesse e profitto per aver svolto ulteriori attività offerte dalla scuola o anche da strutture esterne in orario extrascolastico.

Questo “premio” – non è affatto poco, visto che nello sviluppo dei voti d’esame potrebbe fare la differenza per aspirare all’agognato 100 – viene deliberato da tutti i professori, compreso quello di Irc. Il giudizio di quest’ultimo, però, secondo le Ordinanze Ministeriali sulla regolamentazione degli scrutini finali, dovrebbe incidere numericamente su questa parte di credito. Una operazione di accredito, questa della religione cattolica, che il Tar del Lazio, con la sentenza n. 7076 del 17 luglio 2009 aveva bloccato, ma che una decisione del Consiglio di Stato del 7 maggio 2010 ha rimesso in gioco, asserendo che, una volta scelto, l’Irc è obbligatorio, e pertanto giudicabile in termini di profitto da quantificare nel credito.

Scrivono i giudici della sesta sezione del Consiglio di Stato: «l’insegnamento della religione è facoltativo solo nel senso che di esso si ci può non avvalere, ma una volta esercitato il diritto di avvalersi diviene un insegnamento obbligatorio. Nasce cioè l’obbligo scolastico di seguirlo, ed è allora ragionevole che il titolare di quell’insegnamento (a quel punto divenuto obbligatorio) possa partecipare alla valutazione sull’adempimento dell’obbligo scolastico».
Ma questo adempimento, come abbiamo detto, l’insegnante di religione cattolica lo assolve già, stilando la sua “nota a parte”, che non può entrare in pagella.

Quindi, l’automatismo tra scelta e privilegio numerico che il giudizio in Irc adesso dovrebbe dare nel credito, consentirebbe una posizione di vantaggio alla religione, incentivando a sceglierla, ma discriminando chi non la frequenta. Ma secondo i giudici questo problema non ci sarebbe, perché si legge nella sentenza del Consiglio di Stato: «lo studente non avvalentisi che sia comunque meritevole in tutte le altre materie può raggiungere il massimo punteggio in sede di credito scolastico». Come dire: chi non fa religione, arrivi con le sue forze; per chi la fa, un aiutino non guasta. In fondo, le vie del Signore non sono infinite?

Il Consiglio di Stato si preoccupa anche di sollecitare il Ministro dell’Istruzione a disincentivare l’uscita da scuola di quanti non si avvalgono della religione, imponendo alle scuole l’attivazione di insegnamenti alternativi. Facoltativi (ovviamente), ma visto che la rincorsa al punto è aperta ci sarà pure qualcuno che dirà: o faccio religione, o faccio un’altra cosa, ma almeno anche io avrò il mio punticino. Un punto a tutti. Contenti tutti! Che bella educazione!

Ma a guastar la festa, per fortuna, restano le sentenze della Corte Costituzionale sulla libertà di scelta, di non obbligo e di non discriminazione (n°203, 1989; n° 13/1991).

(14 maggio 2010)

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