Orlando: “Liberare i comuni dal patto di stabilità”

Daniele Nalbone

Dopo , e e MicroMega ha intervistato Leoluca Orlando. Il sindaco di Palermo sottolinea il senso di responsabilità mostrato dai comuni nella fase uno dell’emergenza sanitaria: «Immaginate cosa sarebbe successo se ottomila sindaci avessero preso ognuno decisioni diverse». Nonostante ciò «la mancanza di chiarezza ha creato contrasti e ci siamo ritrovati a dover seguire indicazioni di presidenti di regione arrivate all’ultimo secondo». Per ripartire, secondo Orlando, è necessario «liberare i comuni dai vincoli del patto di stabilità: l’Ue lo ha sospeso ormai da due mesi, ma noi abbiamo ancora in vigore le leggi che rendono esecutivo quel patto».
intervista a Leoluca Orlando
Lo stato d’emergenza ha compresso lo spazio decisionale: tutti i poteri sono nelle mani del governo, dei commissari straordinari e dei presidenti di regione. Così i comuni, primi enti di prossimità, si ritrovano senza liquidità e i sindaci sono stati, di fatto, esautorati. La loro funzione politica e di governance è stata annullata. In questa serie di interviste su MicroMega sei sindaci ragionano sul futuro delle amministrazioni locali e del ruolo dei comuni.

Sindaco, come giudica la gestione della “fase uno” da parte del governo?

Partiamo dall’inizio: i sindaci hanno dimostrato tutta la propria responsabilità in questa crisi. Quando è iniziata l’azione di contrasto all’emergenza sanitaria abbiamo accettato di essere privati del potere di ordinanza, convinti della necessità di evitare il caos. Immaginate cosa sarebbe successo se ottomila sindaci avessero preso decisioni diverse per ogni comune. Certo, c’è stato chi ha affidato la salvezza dei propri cittadini al Santissimo Salvatore o alla Madonna (ride, ndr). Nonostante ciò la situazione non è stata gestita – diciamo così – in maniera chiara. Un esempio: per settimane siamo stati a sentirci dire che il 18 maggio si sarebbe riaperto tutto, ma le disposizioni di sicurezza ai quali i cittadini avrebbero dovuto attenersi da quella data sono state pubblicate in Gazzetta Ufficiale alle 14 del giorno stesso. Ora, che un sindaco debba vivere attaccato alla Gazzetta Ufficiale è tristemente normale, ma un cittadino non può fare la stessa cosa. Ricordate tutte le polemiche sugli assembramenti non appena entrata in vigore la riapertura? Le regole, di fatto, non c’erano. O meglio, erano in vigore da poche ore e, ovviamente, non erano conosciute da tutta la popolazione. Il risultato è stato che siamo stati costretti, ancora una volta, a gridare. Io ho passato due mesi e mezzo gridando e supplicando di rispettare i divieti per difendere la salute. Ora, però, la “movida” di Palermo – come la chiamano i giornali – o la gestione della spiaggia di Mondello sono uno spot positivo di come vivere le città e le coste al tempo del Coronavirus.

Ora però chiedete che quei poteri consegnati al governo vi vengano restituiti.

Ogni mattina mi sveglio e per prima cosa valuto se tornare a gridare. Palermo è una città al momento sicura dal punto di vista sanitario, ma non è detto che dalla fase due si passi alla fase tre. Il rischio di tornare alla fase uno è concreto. Giovedì 28 maggio in un incontro con il Presidente del Consiglio abbiamo chiesto regole certe e tempestive ma, soprattutto, espresso una dura critica sul comportamento di quel circo di virologi allo sbaraglio che sono stati, e sono ancora oggi, molti presidenti di regione. Abbiamo chiesto responsabilità, poche, chiare. E regole da seguire e modulare territorio per territorio. La mancanza di chiarezza ha creato contrasti e ci siamo ritrovati a dover seguire indicazioni di presidenti di regione arrivate all’ultimo secondo.

Anche lei, quindi, si associa a chi, come i sindaci de Magistris, Decaro o Nardella, chiede una riforma dei poteri, con un intervento soprattutto nei confronti dei governatori?

Ripeto: i sindaci hanno mostrato una forte dignità istituzionale che il governo nazionale ha, in alcuni casi, mortificato. Io ricordo solo una cosa: i comuni hanno due limiti, non battono moneta e non hanno un esercito. Non c’è settore che non intrecci le competenze di un sindaco. Ecco, in questo scenario credo che destinare a ottomila comuni tre miliardi di euro e stanziare la stessa cifra per Alitalia sia stata una provocazione. Il problema è che ora potrebbe essere troppo tardi. Il governo ha sottovalutato il problema dei comuni a livello economico ma noi stiamo portando a “Roma” una questione politica: rivogliamo i poteri di ordinanza, vogliamo tornare ad assumerci le nostre responsabilità e chiediamo solo di sapere quali sono i limiti minimi da rispettare. Soprattutto, non vogliamo finire nel tritacarne dei virologi da strapazzo.

E le regioni?

Le regioni hanno potere legislativo e di programmazione. A quello devono limitarsi. Anzi, mi auguro che inizino a esercitare le loro funzioni visto che, fino a oggi, molti presidenti di regione sono stati più davanti alle telecamere che nei loro uffici a lavorare.

La ripresa dell’Italia, quindi, deve ripartire dai comuni?

Vorrei farvi leggere le discussioni che ho con i miei colleghi sulla chat “dei sindaci metropolitani”. Decine e decine di messaggi ogni giorno, siamo in contatto in tempo reale su qualsiasi questione. Se la leggeste, chiamereste uno psicologo per farci seguire. Da settimane ci sono poi confronti incrociati tra assessori. È una consultazione continua. E lo stesso accade con tutti i sindaci siciliani. In questa fase l’Anci ha dimostrato di essere una straordinaria esperienza di condivisione per gestire il distanziamento fisico – io lo chiamo così, fisico e non sociale. Tutti noi abbiamo lo stesso obiettivo: far cambiare passo alle nostre città. Sappiamo in tempo reale quante persone ci sono in ogni luogo che abbiamo riaperto, faccio solo un esempio: uno dei posti più a rischio “assembramento” di Palermo è il mercato ortofrutticolo. Ebbene, sin dalla riapertura abbiamo approntato un sistema di prenotazione online per fasce orarie: si accede con un qr code, sappiamo quando entra e quando esce ogni persona. Abbiamo poi messo in sicurezza i mercatini rionali, riaprendone 10 su 23 in pochi giorni. Il nostro lavoro, in questa fase, è stato di far recuperare ai palermitani il rispetto del tempo: chiediamo una programmazione per evitare inutili assembramenti. E lo stesso vale per il settore turistico, che il governo fino a oggi ha abbandonato: Palermo a gennaio era la quarta città italiana per incremento di visitatori. Abbiamo migliaia di bed and breakfast i cui titolari, oggi, sono i “nuovi poveri”, così come le guide turistiche, i ristoratori o i collaboratori sportivi che tenevano corsi nelle palestre. Stiamo creando le basi per la ripresa, una ripresa che sia “all’aperto”. Abbiamo tante proposte in materia. Servirebbe, però, qualcuno che le ascoltasse.

Si riferisce, immagino, al governo.

Anche qui faccio un esempio: personalmente ho proposto una piccola disposizione normativa per garantire alle aziende in difficoltà di riaprire pagando solo la retribuzione dei propri dipendenti e lasciando in carico all’Inps la contribuzione. Sarebbe un modo per far risparmiare l’istituto di previdenza, visto che gli importi da versare con la Cassa integrazione è ben più alta dei semplici contributi, e che consentirebbe anche in un momento di difficoltà come quello attuale a un datore di lavoro di lasciare intatto il suo personale. È una delle tante proposte di buonsenso che arrivano dai sindaci, da chi conosce il territorio, che sfugge a chi non parla ogni giorno con i cittadini.

Veniamo al tema delle risorse per la ripresa. Com’è la situazione?


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Non voglio parlare di Palermo, o almeno solo di Palermo. Faccio un discorso generale: i comuni in Italia hanno perso 8 miliardi e 500 milioni di incassi. Tra questi, il crollo dell’imposta di soggiorno che per alcune città turistiche, penso a Roma, Firenze, Venezia, Palermo, eccetera, è una voce fondamentale. Ebbene, a fronte dei 571 milioni di euro persi dallo stato, a oggi, ne torneranno indietro circa cento. Se non ci sono risorse, c’è un’unica strada: eliminare il patto di stabilità. L’Europa lo ha sospeso ormai da due mesi, ma noi abbiamo ancora in vigore le leggi che rendono esecutivo quel patto. È assurdo: l’Ue ci dice che non abbiamo limiti di spesa; l’Italia invece ci dice che li abbiamo. Noi abbiamo somme in cassa che non possiamo spendere perché superano il limite di spesa e dobbiamo bloccarle per il “fondo crediti dubbia esigibilità” per gli avanzi dell’amministrazione. Per Palermo sono oltre 230 milioni. Sarebbe una mossa che allo stato non costerebbe nulla, ma a volte abbiamo la sensazione che qualche dirigente, attento alla contabilità e disattento all’emergenza, si impunti su una posizione che, ripeto, in Europa non c’è più. E poi ce la prendiamo con l’Ue…

In questo scenario – parlando di “soldi” – le responsabilità regionali però non sono da poco.

Il vero problema sono le procedure in ambito di programmazione regionale. La cosa assurda è che per alcune risorse europee, poche in realtà, siamo un organismo intermedio, e abbiamo rendicontato – di fatto, “usato” – il 99,8 per cento degli stanziamenti. Per le risorse che passano dalla regione invece la rendicontazione è a percentuali molto basse. Il problema è tutto lì: se l’iter dipende da un sindaco, i soldi arrivano e vengono utilizzati; se dipende da un organo iper-burocratico come le regioni il discorso cambia radicalmente.

Qual è, quindi, la strada da seguire?

I comuni, almeno quelli delle aree metropolitane, dovrebbero contare di più in sede Ue. Sarebbe bello se i fondi vedessero i sindaci come organismo intermedio. Senza entrare in discussioni complicate, dovrebbero semplicemente lasciarci fare. Ovviamente io parlo a nome del mio partito, che è Palermo. Sarebbe bello se anche i governatori considerassero come proprio partito la regione che amministrano.

(10 giugno 2020)




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