Pacchetto sicurezza, un anno dopo
Stefano Femminis
In parte inapplicabile, in parte inutilmente vessatoria, molto efficace nel creare paura tra gli stranieri: a dodici mesi dall’entrata in vigore di una legge contestata, l’unica vera sicurezza è la bocciatura da parte della società civile e degli stessi immigrati.
, da Popoli, agosto-settembre 2010
Se questa, politicamente parlando, è l’estate delle intercettazioni, il tormentone del 2009 è stato indubbiamente il cosiddetto «pacchetto sicurezza». Una legge fortemente voluta dalla maggioranza, Lega nord in testa, e altrettanto fortemente osteggiata dall’opposizione. Un provvedimento articolato, che riunisce sotto il capitolo «sicurezza» questioni molto diverse: dall’immigrazione alla criminalità organizzata, dalle ronde ai clochard, dal decoro urbano ai buttafuori delle discoteche.
«Sono molto contento per il lavoro fatto – dichiarò il giorno dell’ok del Parlamento un raggiante Roberto Maroni, ministro dell’Interno -. Invece, chi ha votato contro questo provvedimento non ha fatto un buon servizio alla lotta all’immigrazione clandestina». «Le misure del governo in realtà accresceranno l’insicurezza», replicò l’allora segretario del Partito democratico, Dario Franceschini, aggiungendo che la legge gettava sull’Italia «l’ombra della xenofobia». In un Paese in cui le polemiche politiche surriscaldano il clima per mesi, per poi essere accantonate appena fa capolino una nuova «emergenza», viene da chiedersi come siano andate le cose in un anno di applicazione della legge, entrata in vigore l’8 agosto 2009. Proviamo a farlo, concentrando l’attenzione sulle norme relative all’immigrazione.
LA FACCIA CATTIVA
Il reato di clandestinità, più precisamente di «ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato», è indubbiamente il «cuore» della legge n. 94 del 15 luglio 2009, Disposizioni in materia di sicurezza pubblica. La pena prevista è un’ammenda da 5 a 10mila euro, oltre che l’espulsione dal nostro Paese.
I primi mesi di applicazione della legge hanno evidenziato alcune contraddizioni. Lo spiega bene Enzo Cosentino, avvocato di Varese, legale dell’Anolf (associazione che si occupa di immigrazione promossa dalla Cisl): «Si attribuisce l’intervento ai giudici di pace, che in alcune zone del Paese sono pochi e oberati di lavoro e che, oltretutto, avrebbero compiti conciliativi, diversi da quelli per cui sono chiamati in causa da questa legge. Per quanto riguarda poi l’ammenda prevista, pensiamo non ai criminali di lungo corso ma agli immigrati irregolari "normali", la badante, il raccoglitore di pomodori, il venditore ambulante: quanti hanno a disposizione una cifra così alta? Ancora: nel corso del processo andrebbe accertato il "luogo del commesso delitto", cioè dove si è verificato l’ingresso o la permanenza illegale in Italia, operazione in molti casi impossibile. Insomma, si tratta di una norma incoerente e inapplicabile. Non per nulla, dai dati che abbiamo, su 3mila immigrati irregolari fermati, solo il 5% sono stati espulsi, e in un anno si sono celebrati pochissimi processi».
Ma le perplessità di Cosentino vanno oltre gli aspetti meramente tecnici: «Il reato di clandestinità è un passo indietro della nostra civiltà giuridica. Più che un delitto si punisce uno status, cioè la mancanza di alcuni documenti». Un giudizio condiviso da un altro avvocato esperto di legislazione sull’immigrazione: Silvia Balestro, consulente della Cisl di Milano, punta il dito in particolare contro le norme relative ai minori. «Il legislatore ha abbandonato un principio guida della legislazione sull’immigrazione, cioè che il minore è un soggetto da tutelare. L’articolo 10bis della legge 94 non esclude che il reato di clandestinità possa essere commesso da minori. In teoria anche un bambino può essere denunciato ed espulso. Per fortuna, però, il pacchetto sicurezza non ha modificato altre norme della legislazione italiana e internazionale che tutelano anche i minori irregolari. La stessa legge Bossi-Fini afferma che i minori non possono essere espulsi. Dunque è praticamente impossibile che un processo si concluda con la condanna di un minore per clandestinità. Restano alcuni problemi pratici, ad esempio in ambito scolastico. So di scuole che non accettano l’iscrizione di irregolari maggiori di 16 anni. E ci sono stati alcuni Comuni (ad esempio quello commissariato di Bologna) che rifiutavano l’iscrizione nei nidi e nelle scuole materne a piccoli figli di "clandestini". Il ministero ha chiarito attraverso alcune circolari che il diritto all’istruzione prevale su qualunque altra considerazione. Ma la sensazione è che la legge 94 metta i minori stranieri irregolari in condizione di debolezza».
PAURA DI CURARSI
«Panico», «paura a uscire di casa», «sensazione di essere braccati»: non usano mezze misure gli operatori della società civile e gli stessi immigrati per descrivere il clima creatosi durante e dopo la discussione della legge. A rendere particolarmente minaccioso il quadro era stato, durante il dibattito parlamentare, l’emendamento sui «medici spia» presentato dalla Lega nord, che prevedeva l’obbligo di denuncia dei «clandestini», in aperta contraddizione con i principi deontologici e costituzionali che tutelano il diritto universale alla salute e alle cure essenziali. L’emendamento è stato poi bocciato. Tuttavia, se da un lato la legge 94 non obbliga alla denuncia, dall’altro non esplicita il divieto: si limita a dire che alcune categorie (tra cui i medici) non sono tenute a denunciare il «clandestino». È stata così necessaria una circolare ministeriale, a novembre, per chiarire che il medico di una struttura sanitaria pubblica ha il divieto di denunciare un paziente straniero irregolare. Alcune Regioni, non tutte, hanno ribadito il principio con alcune loro circolari.
Problema risolto? Tutt’altro. «Conosco donne sudamericane che non avevano fatto nulla di male ma sono tornate al proprio Paese con i figli per paura di essere denunciate – spiega Karina Scorzelli, mediatrice culturale italo-cilena della cooperativa Crinali, che a Milano si occupa della salute delle donne immigrate -. L’idea diffusa nelle comunità straniere era che fosse rischioso entrare in qualunque ufficio pubblico. Ora la situazione si è un po’ normalizzata, ma c’è ancora tanta disinformazione».
Un timore che ha contagiato anche le associazioni di volontariato che offrono assistenza sanitaria. «Anche noi abbiamo notato una flessione durante i mesi di discussione della legge e poi una risalita – racconta Tommaso De Filippo, dell’Assistenza sanitaria San Fedele, sempre a Milano -. C’è da dire però che noi non siamo un ente "istituzionale": mi chiedo se uno straniero irregolare vada in ospedale con la stessa tranquillità con cui frequenta le associazioni del non-profit o piuttosto preferisca rinunciare». «A Roma – conferma Oliviero Forti, della Caritas italiana – la diminuzione degli accessi ai pronto soccorso e agli ambulatori, anche del non profit, è stata drastica, poi si è avuto un riassestamento. Ma in generale registriamo ancora un timore diffuso tra gli stranieri quando devono farsi curare».
Situazione simile a Torino, come ha dimostrato un’approfondita ricerca svolta a inizio 2010 dall
‘associazione Il nostro pianeta e finanziata da Ires Piemonte. Dopo sei mesi dall’approvazione della legge si era avuta una ripresa di accessi per il pronto soccorso, mentre per gli altri presidi pubblici veniva ancora rilevata una diminuzione degli interventi di diagnosi precoce, prevenzione e per la cura di patologie infettive.
Uno sguardo nazionale è quello del Gris (Gruppo immigrazione e salute), che riunisce varie realtà del privato sociale diffuse sul territorio italiano. Il coordinatore Salvatore Geraci spiega che «il pacchetto sicurezza ha messo in dubbio nella mentalità collettiva il fatto che la salute sia un diritto per tutti. Noi diciamo sempre cha la salute è un bene indivisibile, ma ora la cosa non è più scontata. Pensiamo al caso clamoroso del Friuli Venezia Giulia, dove è stato demolito un sistema di assistenza che funzionava bene».
Sentiamo allora il portavoce friulano del Gris, Guglielmo Pitzalis: «Già nel 2008, appena insediatasi, la giunta di centro-destra ha abrogato la legge regionale sull’immigrazione, una delle più avanzate sui temi dell’inclusione. Dopo il pacchetto sicurezza sono stati chiusi tutti i presidi sanitari per irregolari (i cosiddetti Stp) e, in generale, prevale una logica di smantellamento del welfare per gli stranieri, anche regolari. Quello che colpisce è l’uso demagogico del problema sicurezza, la volontà di creare una distanza tra "noi" e "loro". In Friuli gli irregolari non superano il 5% degli immigrati; magari esistono stereotipi, piccoli episodi di intolleranza, ma nel complesso si vive bene insieme. Basti pensare che il 90% degli stranieri sceglie per i figli che vanno alle elementari l’insegnamento del friulano».
EMBRIONI CLANDESTINI
Donna, straniera, irregolare, incinta: può sembrare incredibile, ma anche lei è un bersaglio del pacchetto sicurezza. «Negli ultimi mesi notiamo un incremento di aborti spontanei con complicazioni – racconta la ginecologa Graziella Sacchetti, della cooperativa Crinali -. In realtà non sono affatto aborti spontanei. Tutto fa pensare che ci sia una crescita di tentativi di aborti clandestini, soprattutto per via farmacologica. È ormai diffusa, infatti, la pratica di assumere in grandi quantità un farmaco normalmente utilizzato per problemi gastrici. Quando le cose vanno male e si verificano, ad esempio, emorragie, allora le donne arrivano al pronto soccorso. Nessuno può provare che la rinuncia all’aborto legale sia dovuta alla paura di una denuncia, ma il sospetto è forte. E il problema non sono solo gli aborti clandestini, ma anche chi porta avanti una gravidanza nascosta, mal seguita, con tutti i rischi del caso. In generale un minore accesso ai servizi sanitari significa anche minori possibilità di offrire una formazione sui metodi anticoncezionali, per evitare altri aborti, e meno prevenzione, ad esempio del tumore della mammella e dell’utero».
Da varie città arrivano poi segnalazioni di un’interpretazione quantomeno restrittiva circa il permesso di soggiorno per gravidanza, della durata di 6 mesi, previsto dalla legge. Spiega Karim, operatore dell’ufficio immigrazione delle Acli di Padova: «Quando le straniere irregolari incinte vanno in questura, spesso viene comunque fatta partire una denuncia per clandestinità, denuncia poi "congelata" per 6 mesi, ma che rimane come una spada di Damocle sulla testa della donna. A quel punto molte preferiscono restare nell’irregolarità».
E la paura entra persino in sala parto. Secondo la legge 94 lo straniero deve esibire il permesso di soggiorno per ottenere qualunque atto della pubblica amministrazione. Come possono allora i genitori di un neonato, se irregolari, registrarlo all’anagrafe? Per evitare che una legge dello Stato producesse figli invisibili è intervenuta l’ennesima circolare ministeriale chiarificatrice il 7 agosto 2009, cioè il giorno prima dell’entrata in vigore della legge, precisando che «per lo svolgimento delle attività riguardanti le dichiarazioni di nascita e di riconoscimento di filiazione non devono essere esibiti documenti inerenti al soggiorno». Resta il fatto che il «peso» politico e giuridico di una legge è ben diverso da quello di una circolare, che può essere facilmente modificata o annullata.
SANATORIA A METÀ
E non sono solo le circolari «riparatorie» a svelare i limiti di una legge pasticciata. La marcia indietro più clamorosa è la cosiddetta «sanatoria badanti». Ai primi di agosto del 2009 la stessa maggioranza che pochi giorni prima aveva approvato il pacchetto sicurezza si è resa conto che le nuove norme, se applicate rigorosamente, avrebbero azzerato il «welfare domestico» fatto di assistenti familiari e colf straniere impegnate, spesso in nero, nella cura degli anziani e nella pulizia di tante case.
Ma la toppa ha funzionato come può funzionare una toppa, anzi oggi, a conti fatti, assomiglia più a un flop: sono 294.744 le domande presentate e circa due terzi quelle al momento accolte, contro previsioni che parlavano di 500mila regolarizzazioni (l’Inps comunque festeggia, avendo incassato nell’operazione 348 milioni di euro di contributi). «Sono stati posti requisiti troppo stringenti – sostiene Antonio Russo, responsabile immigrazione delle Acli -: la soglia di reddito pari a 20mila euro, un minimo di 20 ore settimanali di servizio, un costo di 500 euro per la pratica. Ci sono inoltre casi numerosi di famiglie che, pur avendo i requisiti, non hanno voluto regolarizzare le collaboratrici. In più la sanatoria ha spalancato la porta ad abusi e truffe: stranieri che da anni lavorano onestamente in Italia ma che non hanno mai potuto regolarizzarsi, pur di infilarsi nella sanatoria hanno pagato fino a 5-6 mila euro a finti datori di lavoro, domande che non sono mai state presentate».
Poi c’è il «capitolo beffe». Quella più atroce, tutt’altro che rara, la racconta ancora Karim: «Le questure e gli sportelli per l’immigrazione stanno ancora esaminando molte domande di "emersione" dall’irregolarità. Se nel frattempo l’anziano assistito muore, è necessario che l’erede accetti di subentrare come datore di lavoro. In caso contrario si ha il paradosso di una badante che ha cercato di regolarizzarsi e di colpo, essendosi di fatto autodenunciata, si trova a essere soggetta a un decreto di espulsione».
Annalisa Caron è responsabile di Anolf Monza-Brianza e denuncia un caso di ordinaria ingiustizia: «La legge dice che i lavoratori subordinati sono automaticamente iscritti al Servizio sanitario nazionale. Molte regioni (compresa la Lombardia) hanno chiarito che badanti e colf che hanno presentato domanda di "emersione" sono da considerare lavoratrici subordinate, anche se in attesa della risposta. Non a caso l’Inps ha mandato subito a casa i bollettini per riscuotere i contributi. Eppure l’ospedale San Gerardo di Monza, il più grande della zona, continua a far pagare le prestazioni a queste persone. Il caso più eclatante è quello di una collaboratrice familiare sottoposta a intervento chirurgico: convinta di non dover pagare nulla, si è vista consegnare una parcella di 8.300 euro».
VITA DA CIE
A Milano hanno fatto scioperi della fame a raffica, a Crotone in marzo hanno cercato di sfondare il muro di recinzione, in giugno ci hanno riprovato e la struttura è stata chiusa; a Bologna ci sono stati diversi tentati suicidi, mentre a Roma una donna ce l’ha fatta, a farla finita; trapelano racconti di pestaggi della polizia da Gradisca (Gorizia), Roma, Bologna… Stralci di cronache dai Cie (Centri di identificazione ed espulsione), un pilastro della legge 94 poiché
è qui che devono «soggiornare» gli irregolari in attesa di essere espulsi. Per consentire lo svolgimento delle pratiche, il pacchetto sicurezza ha esteso a 180 giorni il periodo massimo di detenzione.
Sei mesi che si trasformano in un incubo. «Esasperazione è la parola giusta per descrivere il clima che si respira qui – racconta il gesuita Giovanni Lamanna, direttore del Centro Astalli di Roma, che spesso visita il Cie di Ponte Galeria, il più grande d’Italia -. Paradossalmente è meglio stare in carcere: lì puoi lavorare, ci sono attività riabilitative, puoi fare un minimo di progetti per quando uscirai. Qui non si fa assolutamente nulla, dal mattino alla sera. In più non sai che cosa sarà di te: potresti essere rimpatriato il giorno dopo oppure dover aspettare mesi. Nei Cie si trova il criminale impenitente fianco a fianco all’onesto lavoratore in Italia da 10 anni, magari con famiglia, il quale è senza permesso di soggiorno perché l’azienda ha chiuso per la crisi».
Se aggiungiamo le condizioni igienico-sanitarie spesso disumane, ecco spiegate le rivolte. In una lettera pubblicata a giugno, gli «ospiti» di Ponte Galeria così descrivevano la situazione: «Ci danno da mangiare cibo scaduto, molti di noi hanno la scabbia, la doccia e i bagni non funzionano, la carta igienica viene distribuita due giorni a settimana. Ci danno sonniferi e tranquillanti per farci dormire tutto il giorno».
Anche in questo caso non mancano i paradossi. Esempio numero uno: se il soggetto da espellere ha commesso altri reati, prima sconta la pena in carcere e poi viene trasferito al Cie; perché non utilizzare il tempo di detenzione per svolgere le pratiche per l’espulsione? Esempio numero due: terminati i 6 mesi senza che sia stata possibile l’identificazione, la persona viene rimessa in libertà; se il giorno dopo venisse nuovamente fermata dalla polizia, teoricamente potrebbe essere riportata nel Cie per un altro semestre di esasperazione.
COME TI COMPLICO LA VITA
Marchiati a fuoco i «clandestini», il pacchetto sicurezza provvede poi a complicare tremendamente la vita anche agli immigrati regolari.
Succede ad esempio con l’abitazione. Uno dei nuovi requisiti per ottenere il ricongiungimento familiare è l’idoneità abitativa, ma la legge non chiarisce le modalità per ottenerla, generando confusione e disparità di trattamento. Racconta Andrea Massironi, di Anolf Lecco: «In provincia, prima della legge 94, l’idoneità era rilasciata dall’Asl, poi l’Asl ha detto che dovevano provvedere i Comuni. È stato il caos: una casa con caratteristiche simili veniva valutata in modo diverso da Comune a Comune. In più, alcuni Comuni chiedevano fino a 100 euro per la pratica, e teniamo presente che ogni 6 mesi bisogna fare il rinnovo. Ora, grazie a un accordo con la Prefettura, sono stati stabiliti criteri omogenei, si è uniformato il costo (35 euro) e il rinnovo avviene con autocertificazione, senza spese».
È sempre Massironi a denunciare un altro aspetto problematico, quello dei ricongiungimenti dei genitori dell’immigrato: «La legge 94 pone come requisito che non ci siano altri figli nel Paese di origine, senza distinguere per esempio sull’età di questi figli o sul fatto che siano economicamente autonomi o meno. Noi registriamo il disagio di molte immigrate, specie arabe o nordafricane, per le quali durante il parto e nei primi mesi di maternità è fondamentale avere a fianco la madre e che invece devono vivere da sole questo momento».
Tra le novità più note c’è l’accordo di integrazione, meglio conosciuto come «permesso di soggiorno a punti». Previsto dalla legge 94, è stato presentato dal ministro del Welfare Maurizio Sacconi a giugno ed entrerà in vigore in gennaio. «È solo un modo per rendere l’integrazione un percorso a ostacoli – taglia corto Russo -. I requisiti sono ridicoli: la conoscenza della lingua italiana è importante, ma non dimentichiamo che, secondo alcune indagini, il 70% degli stessi italiani ha difficoltà a comprendere un testo scritto. Quanto alla conoscenza della Costituzione, vogliamo parlare di come la Carta è conosciuta dai nostri politici? C’è poi il peso psicologico di sapere che il proprio futuro è appeso alla valutazione discrezionale di un funzionario. Infine, non è stato stanziato un solo euro, ad esempio, per i corsi di italiano. Tutto è lasciato come sempre al buon cuore del non profit».
EMERGENZA SICUREZZA?
Il pacchetto sicurezza è stato presentato come risposta necessaria a un’emergenza criminale associata all’immigrazione, un cavallo vincente anche nelle ultime campagne elettorali. Emergenza che, però, in realtà non esiste, come dimostrano alcuni dati statistici, a disposizione sul sito dello stesso ministero dell’Interno (www.interno.it). Tra 2007 e 2008 i delitti commessi da stranieri sono diminuiti dello 0,4%, tra 2008 e 2009 addirittura del 13,9%. In particolare sono drasticamente diminuiti alcuni reati che nell’immaginario collettivo sono ormai impropriamente attribuiti agli stranieri: i furti nelle abitazioni (-27% nel triennio 2007-2009), le rapine in banca (-46%), le violenze sessuali (-3,6%).
Un’ulteriore smentita dell’equazione immigrati=criminalità arriva da una ricerca presentata a giugno e realizzata per il Fondo europeo per l’integrazione: Immigrazione, Regioni e Consigli territoriali per l’immigrazione. Prendendo come riferimento le denunce, il rapporto rivela che, nel periodo 2005-2008, le denunce contro gli stranieri sono aumentate del 19,9%, a fronte di un incremento molto maggiore dei residenti stranieri in Italia, nello stesso periodo: +45,7%.
Si arriva dunque alla radice del problema. Quali i veri obiettivi del pacchetto sicurezza? Ne parliamo con Luca Bettinelli, responsabile immigrazione della Caritas ambrosiana: «Dal punto di vista pratico, seppure non manchino tanti drammi personali, la legge ha avuto un’efficacia limitata. Oltretutto le autorità di pubblica sicurezza stanno dimostrando buon senso nel gestire i paradossi della normativa. Il vero impatto negativo, e forse anche l’obiettivo della legge, è a livello culturale. Con il pacchetto sicurezza si dà una svolta ulteriore nella rappresentazione dell’immigrato come criminale, si istilla ancora di più nell’opinione pubblica la paura del diverso. La legge 94 è tutta impostata sulla repressione, con un’ossessione, direi quasi una degenerazione, per cui anche buttare cartacce per strada viene considerato un problema di sicurezza. E questo martellamento fa breccia nella mentalità collettiva. Lo vediamo anche nei "nostri" ambienti, dentro la comunità ecclesiale, dove si fa sempre più fatica a far passare certi discorsi sull’accoglienza».
Da Roma gli fa eco Antonio Russo: «Come Acli riteniamo che il pacchetto sicurezza sia una "norma manifesto", che colpisce la speranza di vivere meglio, o semplicemente di sopravvivere, e accresce la vulnerabilità e la ricattabilità degli stranieri, generando ulteriore irregolarità. Non si vuole capire che non si fa integrazione attraverso la sicurezza, ma si fa sicurezza attraverso l’integrazione».
(10 settembre 2010)
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