Padre Puglisi, prete libero e povero

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di Patrizia Anastasi, 17/09/2008, da www.articolo21.info

"Non c’è dubbio, il volto che la Chiesa va assumendo è quello pulito e convincente di padre Pugliesi”. A parlare è Nino Fasullo, padre redentorista direttore di "Segno", periodico di area cattolica (www.rivistasegno.it ) e voce autorevole del cattolicesimo più attento alle luci e alle ombre del nostro tempo, nella settimana del 15° anniversario della morte di don Pino Puglisi, prete ucciso per aver sfidato Cosa Nostra a Brancaccio. La storica rivista di Palermo dal 1975 è in prima linea contro la cosa nostra, le forze e i poteri che soffocano la democrazia, impegnandosi per la giustizia e la pace.
Dal 20 al 28 settembre Segno, organizza a Palermo la 14° settimana alfonsiana, non a caso intitolata quest’anno “Tempo di Apocalisse”. L’ultimo libro del Nuovo Testamento invita, in un periodo storico colmo di luci e ombre, a credere nonostante tutto, a resistere, a non disperare. Una sette giorni ricca di dibattiti, in cui interverranno tra gli altri personalità impegnate nella lotta alla mafia e nel rinnovamento della società civile: Giancarlo Caselli, Guglielmo Epifani, Massimo Cacciari, Giacomo Marramao, Walter Veltroni.

Padre Fasullo, che ricordo ha di don Pino Puglisi?

Un prete mite e fermo, credente, e consapevole dei rischi che correva a causa della mafia. Il gesto più significativo (e provocatorio) da lui compiuto è stato di avere rifiutato il denaro che gli offrivano i mafiosi (o gente a essi vicina: pecunia olet). Una lezione attualissima, questa di padre Puglisi, che non si vuole (o si stenta a) comprendere.

Perché è stato ucciso? La Chiesa lo ha lasciato solo? Perché non lo ha protetto?
"Padre Puglisi è stato ucciso per il suo modo di essere prete all’interno della chiesa. Un prete libero e povero. Aveva rotto con la tradizione dei buoni rapporti ecclesiastici con i mafiosi. Non accettò, come fosse cosa normale e scontata, il dominio mafioso sulla borgata e in alcuni ambiti della vita parrocchiale. Fu ucciso per aver tentato di mutare l’etica dominante della sottomissione e della rassegnazione. Per aver suggerito a tutti in parrocchia che non si è tenuti a vivere schiavi dei mafiosi che nella borgata fanno “il buono e il cattivo tempo”. Ma era un prete solo, quindi non compreso all’interno della chiesa. Lo accompagnavano pochi giovani, che probabilmente non lo comprendevano fino in fondo. La solitudine è il segno della testimonianza evangelica.
Non c’è dubbio: tacere equivale, in pratica, a “consentire”, a non impedire. In pratica. Oggettivamente. Significa che la chiesa, considerata nel suo insieme, porta una sua responsabilità storica sul fenomeno mafioso. Quale sia (quale può essere stata) questa responsabilità, si può dire solo in seguito a un dibattito libero, pubblico e sereno che metta in evidenza i molti elementi che vi concorrono. L’etica è sempre complessa. Bisogna tenere conto di molti fattori e condizionamenti. Tra essi, decisivo per la chiesa, ieri come oggi, è il Vangelo. Ci si deve chiedere tutti: che ne abbiamo fatto del Vangelo?

Oggi come sono questi rapporti?
Per qualche verso, più complessi di prima. Più difficili. Meno scontati. Perché la chiesa, svegliata dal Concilio vaticano II, ha camminato. Ha acquisito nuovi elementi. Ha una coscienza nuova, più esigente. Non tace più. Ha vescovi e laici informati, coraggiosi, responsabili. Certo, ci sono anche dei preti che stentano a capire, forse trattenuti da pregiudizi, frequentazioni, legami. Le transizioni etiche hanno bisogno di tempo. Ma non c’è dubbio che il volto che la chiesa va assumendo è quello pulito e convincente di Padre Puglisi.

(18 settembre 2008)



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