Pansa è morto. Ora bisogna distruggere il ‘pansismo’

Nicola Caprioni


Giampaolo Pansa, uno stimato giornalista “di sinistra”, vicedirettore de “La Repubblica”, allievo di Alessandro Galante Garrone, improvvisamente, nel 2001, scrive un libro “il sangue dei vinti”, nel quale assevera tutte le più volgari falsità dell’armamentario neofascista contro i partigiani e la resistenza.
Pansa inizia così un ciclo durato 20 anni. Continua a pubblicare libri, gratificato dalla rendita del successo commerciale e dai tanti applausi che gli arrivano dagli ambienti della destra e del neofascismo.
Un autore conosciuto come uno “di sinistra”, anche se andrà a scrivere su “Il Giornale” di Berlusconi, afferma che i partigiani non erano dei liberatori, che non hanno avuto un vero ruolo nella liberazione dell’Italia e che, anzi erano degli aguzzini che hanno ucciso migliaia di poveri fascisti. I fascisti morti sono presentati sempre come brave persone, che non avevano fatto del male a nessuno, mentre i crudeli partigiani, che volevano instaurare una dittatura stalinista in Italia, si sono abbandonati a massacri efferati.
Il PANSISMO è riuscito a centrare l’obiettivo strategico per il quale è stato concepito: incrinare l’argine antifascista, minare la credibilità della resistenza e, di conseguenza, anche della Costituzione Repubblicana, che emana direttamente dalla Resistenza. Togliere credibilità all’antifascismo e aprire la strada al revisionismo fascista. Pansa si trova così schierato insieme agli storici revisionisti, a quanti sono arrivati a negare l’esistenza dei campi di sterminio nazisti, a equiparare il doloroso episodio delle foibe, circoscritto a un piccolo territorio, all’enormità delle devastazioni e ai massacri di milioni di ebrei e perseguitati politici compiuti dai regimi nazisti e fascisti, ai paesi distrutti, a donne e bambini massacrati.
Pansa si spacciava per uno storico, ma degli storici veri non seguiva le regole basilari per ognuno che scriva di storia. Sapeva benissimo di forzare le verità e lo ha fatto consapevolmente. Ogni storico che si rispetti segue tre regole fondamentali:
1) Cita sempre il riferimento alle fonti. Da dove proviene quell’informazione? Come è comprovata? Dove l’ha reperita?
2) Rovescia l’onere della prova. Non dava mai prova delle sue affermazioni. Si difendeva dicendo a chi lo criticava di provare a fornire prova che le sue affermazioni non erano veritiere.
3) Usa l’espediente tipico dei libri di fiction e MAI dei libri di storia (quelli veri) di far parlare personaggi di fantasia. Lui, con la sua “autorevolezza di antifascista” era garante delle bugie messe in bocca ai suoi personaggi.
Un esempio? Nella copertina del “sangue dei vinti” c’è la foto di due partigiani che scortano un fascista prigioniero durante la liberazione di Milano. La didascalia pansiana recita “fascista portato alla fucilazione dopo la fine della guerra”, lasciando capire che si tratti di un crimine. Ebbene il fascista nella foto è il segretario della famigerata brigata Ettore Muti, nota per le torture e le stragi. Quel personaggio è un criminale di guerra, colpevole di sevizie, organizzatore dei rastrellamenti contro ebrei e antifascisti in aiuto alle deportazioni dei nazisti ed è il responsabile della fucilazione di 15 partigiani a piazzale Loreto a Milano, condannato a morte da una corte marziale per i suoi crimini Basta così poco a distorcere la verità.
Compito di ogni antifascista è quello di confutare la montagna di bugie e falsità diffuse da Pansa e costruire con serietà e rigore scientifico la reale verità storica.

(15 gennaio 2020)





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