Parma, l’epoca della paura
di Roberto Laghi
“Disubbidendo ad alcune ordinanze del Comune, noi staremo dalla parte delle prostitute, sfruttate, schiavizzate dal racket e in più adesso a Parma anche multate. Staremo dalla parte dei senza tetto, che bivaccano dove possono e ora resi invisibili per fare bella la città del Correggio per i turisti. Staremo dalla parte dei mendicanti, resi insistenti e molesti dalla fame e dal bisogno. Non ha detto forse Gesù: i poveri li avete sempre con voi ma non sempre avete me.” Queste le parole pronunciate da Don Luciano Scaccaglia, teologo e parroco di Santa Cristina e Sant’Antonio Abate di Parma.
Oggi è un giorno significativo, a Parma. Nella seduta del Consiglio comunale si discuterà di quanto è successo il 29 settembre, quando Emmanuel Bonsu Foster è stato fermato in modo piuttosto violento da una squadra di Vigili urbani mentre si trovava in un parco pubblico. Un giorno significativo, anche alla luce delle dichiarazioni dei vigili che componevano la squadra, che hanno avuto la possibilità di rompere il silenzio su autorizzazione del sindaco Vignali. Non solo: significativo perché questo ennesimo episodio (ricordiamo la retata contro le prostitute di agosto, con l’immagine della ragazza di colore gettata a terra nella sede dei Vigili Urbani di Via del Taglio) ha portato una nuova scossa nella città di Parma, una città che si voleva vetrina, pulita, europea ma che forse nasconde qualcosa dietro questa immagine: un’anima più cupa, paurosa, pericolosa. “Si è cercato di dipingere Parma come una città razzista: un fatto assolutamente inaccettabile. Parma è una città europea con migliaia di immigrati perfettamente integrati”, ha dichiarato il sindaco Vignali all’assemblea nazionale dei prefetti. Ma è davvero così? Parlando con chi vive la città, chi tocca con mano i suoi problemi e soprattutto i problemi dei migranti e dei rifugiati, l’impressione che se ne ricava è piuttosto diversa. Anche se non è giusto definire razzista una città per uno o alcuni episodi le cui responsabilità, una volta accertate, saranno da imputare solamente a chi li ha commessi, certo è che il clima che si vive nella città emiliana non è né sereno né positivo. “La maggior parte della cittadinanza, come io ho detto pubblicamente anche nelle omelie, è attraversata da paura e da razzismo – dice Don Luciano Scaccaglia – Ma anche nel mondo cattolico non ho visto molta solidarietà: quando sono andato a due manifestazioni, della Cgil e di altri movimenti non ho visto né preti né praticanti. Questo è già un segno molto negativo. Si tende a difendere Parma come città pulita, come città dell’arte – continua don Luciano – però si dimentica che Parma è una città sempre meno solidale, sempre più chiusa nelle sue ricchezze e meno aperta agli stranieri.”
Ma questa non è certo l’unica voce a rompere l’idea di una Parma vetrina di bellezza e ordine. E non sono nemmeno gli ultimi episodi, gravi al loro apparire, su cui saranno gli organi deputati a valutare colpe e responsabilità. Per capire quello che sta succedendo a Parma bisogna fare un passo indietro, di qualche mese.
Per la precisione al 18 aprile 2008, data in cui ha visto la luce la cosiddetta Carta di Parma sulla sicurezza, firmata da 16 sindaci del Centro-Nord, armoniosamente divisi tra centrodestra e centrosinistra e successivamente adottata da altri Comuni, in cui di fatto si chiedevano più margini di intervento per i primi cittadini nell’affrontare situazioni legate all’ordine pubblico e, in generale, a tutto ciò che concerne la sicurezza e la qualità della vita urbana. Margini di intervento e poteri che sono arrivati, con la legge 125/2008 e il decreto del Ministero dell’Interno del 5 agosto 2008. E Parma si colloca probabilmente al primo posto nel mettere in pratica i poteri che sono stati accordati ai sindaci, con una serie di ordinanze emanate prima dell’autunno: prostituzione e bivacchi, schiamazzi e accattonaggio, atti vandalici e degrado. Ordinanze che si inseriscono in un contesto locale e nazionale che è da tempo sotto osservazione della società civile. Nel giugno 2008 si è infatti costituito il Comitato per la legalità e la democrazia di Parma, con un ragionamento che vede in quello che oggi sta accadendo a livello locale le conseguenze della deriva securitaria in atto già dagli anni ’90, e che dal 2001 ha subito un’ulteriore accelerazione in termini di riduzione delle libertà e dei diritti, e della crisi di legalità che attraversa in questi anni il nostro Paese. Spiega Vincenzo Tradardi, del Comitato, che in un comunicato inviato alla stampa prima dell’episodio del 29 settembre, dal titolo eloquente di ‘Sindaci geneticamente modificati’, si è voluto “segnalare un doppio fenomeno: non solo il sindaco sceriffo che emette ordinanze occupando uno spazio che non gli era proprio, quello dell”uso pubblico della forza’ che già di per se lo mette in opposizione ai cittadini, ma, in parallelo e già da molto tempo, la tendenza dei sindaci a delegare, esternalizzare, privatizzare tutta una serie di funzioni e di servizi nel cui espletamento si manifestava il compito virtuoso del sindaco in quanto promotore e gestore di un welfare municipale che esso sì era garanzia di sicurezza e di buon governo in quanto capace di rimuovere o risolvere o attenuare i conflitti sociali.”
Man mano che si va a fondo nell’analizzare la situazione, il quadro si allarga e si riempie di nuovi elementi che consentono di capire meglio, di inserire i singoli episodi all’interno di un contesto piuttosto preoccupante. Siamo nel territorio della biopolitica, potere che prima di tutto vuole controllare gli esseri umani in quanto nuda vita, non solo per azioni illegali e penalmente rilevanti, ma anche per comportamenti o condotte di vita sociale. “La Carta di Parma – spiega ancora Tradardi – contiene una concezione molto pericolosa che accomuna in un continuum criminalità, microcriminalità, illegalità, degrado, disordine urbano, dove in sostanza tutto può essere censurato sullo stesso piano in una concezione sempre più allargata e indistinta di pericolosità e di sicurezza.”
“C’è una gravita per Parma”, sottolinea Alberto Marzucchi del CIAC Onlus (Centro Immigrazione Asilo e Cooperazione internazionale), “perché certi segnali arrivano dalle istituzioni.” Il rischio? Che il cittadino, già impaurito e chiuso nei confronti dell’altro, prenda questi fatti e questi segnali come l’invito a una giustizia fai da te, come una sorta di autorizzazione a calcare la mano nei confronti del diverso. Un rischio possibile, di cui abbiamo episodi in aumento in tutta Italia, un rischio sottolineato anche dalla politica, ultimamente, quella politica bipartisan che per troppo tempo ha cavalcato l’ondata dell’emozione e ha cercato nei migranti un capro espiatorio, vedi alla voce Rom. O Rumeni. Anni prima sono stati gli Albanesi e i Maghrebini. A chi toccherà domani?
Le comunità di migranti si stanno però muovendo, prendono la parola e questo è un fatto nuovo: la loro presenza numerosa in assemblea e nelle manifestazioni ha dato loro coraggio e coesione, facendoli sentire meno oppressi, in una città in cui a un italiano non perfetto che chiede una
possibilità di affitto al telefono, l’unica risposta è spesso una comunicazione interrotta.
Qualcosa si muove, e per il primo novembre associazioni, movimenti, comunità stanno organizzando una manifestazione nazionale a Parma, per contestare la Carta sulla sicurezza che qui è nata, per portare la solidarietà a Emmanuel e per ricordare anche le vittime di abusi delle forze dell’ordine, “perché si comincia sempre dal più debole”, chiude Marzucchi.
Quindi una parte della città reagisce, con varie associazioni che lavorano per aiutare senza tetto, migranti e persone in difficoltà: alcune associazioni si sono riunite nella Rete Dormire Fuori, c’è chi si occupa di fornire istruzione gratuita ai migranti e chi si occupa di portare pasti a chi vive in strada e sono tanti, tra cui sempre più italiani. Perché, come ci ricorda don Luciano Scaccaglia, “i diritti sono quelli della costituzione, non c’è bisogno di altre carte, basta rispettare quello che dice la Costituzione e l’Onu sui rifugiati e sui migranti”.
Ma gli episodi di Parma ci interrogano sulle motivazioni e sulle ragioni che stanno alla base dei singoli fatti e del contesto in cui questi avvengono: non solo il caso di Emmanuel, ma anche quello della prostituta fotografata nella sede dei Vigili urbani: secondo Tradardi, un “safari umano” a cui la città ha risposto con una reazione “misera, impacciata, reticente”. Alla domanda “Perché si verificano?”, le risposte possono essere molteplici. “Io temo che ci sia molta ignoranza – ipotizza Marzucchi – Qui sta diventano un mare enorme di insensibilità, di superficialità, per cui ce la si prende con il nero perché adesso è qui. Ma i problemi sono gravi anche a Parma: i crack di Parmalat e Guru, per esempio. C’è razzismo, c’è insofferenza, c’è insicurezza e quindi c’è la volontà di rifarsi su qualcuno.”
E a questa stessa domanda, lo sguardo acuto di Erri De Luca, in una sua lezione, ha dato due risposte: la prima è che chi ha memoria della propria povertà non vuole ricordarsene. Ma la seconda, più fondata, ci dice che questa non è l’epoca del coraggio – che invece è vissuto dai migranti che accettano di rischiare la vita pur di raggiungere la loro meta – ma della paura.
"Non vogliamo più essere il capro espiatorio"
Il testo dell’appello inviato dalle comunità africane di Parma ai cittadini di Parma dopo l’aggressione ad Emmanuel.
Siamo i rappresentanti di molte Comunità africane presenti sul territorio di Parma, e ci teniamo a dire che consideriamo Parma come nostra seconda patria.
Affermiamo la nostra fedeltà e la nostra lealtà verso la città che ci ospita.
Purtroppo dobbiamo constatare che l’immagine che alcuni cittadini di Parma hanno di noi immigrati è distorta da pregiudizi.
Vorremmo presentarci alla cittadinanza:
Siamo i “negri”, “immigrati”, “extracomunitari”, “clandestini”, “quelli di colore” “Africani” che col loro lavoro nei salumifici, nei caseifici, nelle aziende metalmeccaniche sostengono il settore agroalimentare che viene considerato l’eccellenza di Parma.
Ci prendiamo cura dei vostri anziani.
Siamo coloro che, in gran parte, puliscono i vostri condomini e i vostri uffici.
Considerate che molte aziende nei settori del commercio, del trasporto, dei servizi, dell’artigianato sono gestite direttamente da immigrati.
Col nostro lavoro paghiamo tasse a sostegno della vostra economia e versiamo contributi che permettono il pagamento delle pensioni ai lavoratori anziani italiani.
Affidiamo i nostri risparmi alle vostre banche.
Affidiamo, soprattutto, i nostri figli alle vostre scuole: molti sono gli immigrati che frequentano le vostre università.
Ci adoperiamo per fare conoscere meglio la nostra cultura attraverso iniziative come l’“Ottobre africano”, feste multiculturali, manifestazioni musicali, cinematografiche, gastronomiche…
Rispettiamo tutte le varie sensibilità politiche, pur non identificandoci (come comunità) in nessuna di esse.
Con tutto questo abbiamo sempre cercato di integrarci rispettando i valori e la cultura di Parma.
Emmanuel Bonsu è stato calpestato mentre esercitava il suo diritto-dovere di studente.
Non vogliamo comunque più essere il capro espiatorio di situazioni di disagio della società italiana (e di Parma, soprattutto) non imputabili alla nostra immigrazione.
Non vogliamo competere con i cittadini di Parma, vogliamo solo essere messi in condizione di poterci lealmente confrontare.
Condanniamo ogni forma di razzismo e di xenofobia.
Adesso anche noi abbiamo paura e chiediamo maggior tutela per noi e per il futuro dei nostri figli.
Esponenti delle comunità di Parma che aderiscono all’appello:
Comunità del Senegal
Comunità del Burkina faso
Comunità della Nigeria
Comunità della Costa D’Avorio
Comunità Eritrea
Comunità del Ghana
Comunità del Camerun
Comunità del Mali
Comunità del Sudan
Comunità del Congo
(14 ottobre 2008)
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