Parole per il tempo: “bambo” e la sua famiglia lessicale
Nunzio La Fauci
Da alcuni e non trascurabili punti di vista, la puerizia è sprovveduta e la sprovvedutezza è puerile. Si fa tanto chiasso, di questi tempi, sulle parole perdute o a rischio di perdersi. Ebbene, c’era una parola italiana, uscita dall’uso, in cui l’idea di puerilità e quella di stupidità convivevano: bambo, voce onomatopeica di origine infantile.
Come molte altre del genere, bambo e il suo femminile erano un dì perfettamente acclimatati nella lingua adulta, fino ad affiorare nello scritto. Vi sono testimoniati già dal quattordicesimo secolo. Puerilità e sprovvedutezza ne venivano espresse, secondo i casi, in combinazione o singolarmente. Erano tempi e costumi diversi: la lingua tendeva alla schiettezza. Non era chiamata, come sovente lo è oggi, a camuffare, più che a dire ciò che capita si osservi nei comportamenti umani.
Bambo è oggi una parola perduta, ma non ovunque e, come si vedrà, non senza avere lasciato tracce di grande evidenza. Un cenno merita anzitutto il milanese bamba, un riflesso di bambo fattosi ambigenere e localmente caratterizzato. A un significante quasi identico, corrisponde una specializzazione di significato. Senza valorizzare la verde età, in ciò che designa, bamba si è ristretto alla qualificazione morale e vale “persona ingenua, sprovveduta, stupida”. Da lì, per metonimia, pare abbia esteso la sua portata fino a coprire, nei relativi gerghi, le sostanze comunemente dette, appunto, stupefacenti. Bamba è insomma anche ciò che instupidisce.
Hanno invece portata nazionale alcuni derivati di bambo. Il più comune è l’alterato bambino. Basta pensarci un momento per rendersi conto che, quanto al significato, bambino manifesta un processo complementare a quello di bamba. Nel suo uso banale, ha ristretto la portata di bambo alla designazione di esseri umani in età infantile e puerile. Ma ciò non vuol dire che, come figura del discorso, esso non possa ricorrere quando si dice di manchevolezze cognitive e comportamentali di chi per l’anagrafe non è in quella età. Ho un marito che è un bambino non dice di pratiche matrimoniali che, nell’Occidente del mondo, non sono più in uso da tempo.
Anche bamboccio è un alterato di bambo presente nella lingua comune. Tra le specializzazioni semantiche che ha avuto nella sua storia, una l’ha spinto fuori della designazione di un essere umano, ma senza allontanarlo troppo. Il francese che lo ha preso in prestito come bamboche l’ha fatto appunto nel valore di “marionnette de grande taille”. Con tale valore a bamboccio accadeva di ricorrere sotto le penne di scrittori italiani del Cinquecento e del Seicento, epoca in cui appunto la parola emigrò felicemente. Non è il caso di dilungarsi sull’estensione alla sfera morale di parole con simili designazioni. Si pensi, per es., al caso parallelo di pupazzo. Quando si applica a un essere umano, bamboccio ha spesso un riferimento all’età crudamente antifrastico e non è certo un modo per sottolineare, nel designato, avvedutezza, indipendenza di giudizio, responsabilità dell’agire. Sono appunto i tratti di uno stato adulto dei quali infanzia e puerizia giustamente si ritengono sprovviste.
Discendono da bambo anche bambolo e bambola. Come bamboccio ma su sentieri diversi e più decisamente, bambola si è spinta anch’essa fuori della designazione di base di un essere umano. Di nuovo senza allontanarsene troppo, tuttavia, tanto da avere largamente recuperato tale valore come metafora. La metafora è molto comune e fa ormai di bambola, tra uso proprio e figurato, un possibile caso di polisemia. Nell’uso figurato, non mancano d’altra parte neanche a bambola connotazioni d’ordine morale e queste, per contrasto con caratteri fisici della così designata, certo non dicono di doti spirituali di acutezza, di astuzia, di lucidità. Né va taciuta, a questo punto, l’esistenza di locuzioni, come prendere una bambola, essere, andare in bambola che, nei gerghi sportivi in cui sono sorte, designano una défaillance fisica ma che, in quei gerghi come nella lingua comune, dicono egualmente di stati di stordimento, di frastornamento. Risulta appropriato qui un richiamo al gergale bamba di cui s’è appena detto e che, come si vede, è lungi dal testimoniare una deriva peregrina.
Bambinata, bambineria, bambineggiare, bambocciata, bambolaggine, bamboleggiare e altro che qui non mette conto di elencare arricchiscono la famiglia lessicale. È facile osservare che in nessun caso denotazioni e connotazioni collocano tali parole tra quelle che illustrano costumi o comportamenti maturi, giudiziosi, responsabili.
Molto pertinente alla presente temperie civile e sociale (e non solo a quella nazionale, anzi forse nemmeno principalmente alla nazionale) è poi un altro e meno immediato derivato di bambo: il verbo rimbambire, accompagnato dal suo participio rimbambito, disponibile ovviamente agli usi aggettivali, e dal deverbale rimbambimento.
Rimbambire è sortito da bambo e non si creda che ne sia sortito da poco. Lo scritto ne testimonia forme anche qui dal quattordicesimo secolo, nei valori che ancora oggi permangono; come (quasi) sempre, l’orale l’avrà preceduto: di quanto, è impossibile saperlo. Il corredo di affissi rafforza rimbambire e lo qualifica altresì come incoativo, cioè come un predicato appropriato a designare un processo di mutamento (ivi inclusa una regressione) nella sua fase incipiente e di prima affermazione.
Bambo, forma di base, non è in altre parole la condizione di partenza, ma quella cui tende e comincia a trovarsi chi rimbambisce. Condizione che si fa raggiunta e perfetta nel rimbambito, cioè nel momento in cui il rimbambimento è compiuto. Ecco come un predicato siffatto si trova a ricorrere quasi esclusivamente con parole della sfera semantica non dell’infanzia, come si potrebbe pensare in considerazione della sua base, ma della vecchiezza e della decrepitezza umane, mantenendo tuttavia la componente relativa alla sprovvedutezza, allo stordimento, alla stupidità che la base bambo correla appunto alla puerizia.
Insomma, nel rimbambito vecchiezza e puerizia collassano. Collassano in altre parole l’età dell’impotenza materiale e quella della puerilità spirituale, con l’una che, per rabbia velleitaria e illusione di guarirsi, si lascia eventualmente guidare dall’altra. Il collasso di vecchiezza e puerizia, si osservi, contrasta con la giovinezza e la condizione adulta. Sono queste le età umane in cui l’efficacia materiale e l’avvedutezza morale si combinano e, in linea di massima e sotto le condizioni migliori, maturano progressivamente.
Orbene, nell’attuale vita civile e sociale dell’Occidente, da un lato, sempre più grande è il peso di masse di rimbambiti e di rimbambite, dall’altro, sempre più egemoniche si fanno non solo idee, ma vere e proprie ideologie che, anche in funzione di chi se ne fa araldo, hanno l’aria d’essere puerili e sprovvedute: bambe, per qualificarle con una sola e schietta parola. Di essa si propone appunto e in conclusione di ravvivar
e l’uso, in considerazione delle nuove e lampanti occasioni nelle quali suona adeguata.
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