Pd, partito demo…lito
Mentre il premier fa il caimano,
boccia il giudice a Milano,
blocca un mucchio di processi
cosicché anche il proprio cessi,
va a Bruxelles con la sparata
che la musica è cambiata
e alla Ue darà un drizzone
per salvar l’istituzione,
imbavaglia i giornalisti,
dà istruzioni ai suoi giuristi
perché un lodo fatto presto
apparir lo faccia onesto,
allontani il tribunale
e avvicini il Quirinale
e di sindaco fallito
per un debito infinito
a Veltroni dà il diploma,
il Pd riunisce a Roma,
Nuova Fiera, grande idea,
la sua lugubre assemblea.
In un labirinto tetro
di cemento, tubi, vetro,
di infinite scalinate
dal calore arroventate,
di tapisroulant ben lenti,
di infernal camminamenti,
i peones, soli o in branchi,
giungon accaldati e stanchi,
mentre i dirigenti in vista
giungon freschi, con l’autista.
Un’ignobile marcetta
ogni delegato aspetta
nel salon semideserto.
Sono i posti, si è scoperto,
la metà dei delegati
ma non son tutti occupati,
molte le cadreghe vuote.
Maxischermi con le note
belle icone alla Verltroni:
pargoletti paciocconi,
qualche amabile vecchietta,
immigrati in bicicletta,
bimbi al gioco, vecchi in posa,
qualche giovane graziosa,
ma hanno perso la magia,
dopo il crollo del messia
sembran la pubblicità
della Sai o della Axà.
Fra i boss autoreferenti
e i peones impotenti
molto grande è la distanza:
qui realtà senza speranza,
là la vana liturgia
della nota oligarchia,
Walter, Dario, Piero, Enrico.
Qui il silenzio assai pudico
di chi dorme, chi sbadiglia
o chi attento appunti piglia,
là Fioroni al cellulare
o Bersani a sghignazzare
od un colossal Bettini
tutto fogli e bigliettini.
La nomenklatura va
e degli altri a meno fa.
Sono sol Bindi e Parisi
ad evidenziar la crisi
del salvifico Pd:
democratico partì
ma, ahimé, la democrazia
se l’è già persa per via.
Blandi applausi al Salvatore
che parlò senza calore
e nel dire come andò
l’autocritica scordò:
sulle liste elettorali,
sui sondaggi eccezionali,
su Pannella e compagnia,
sull’errata strategia
di inciuciar col mastodonte,
su recuperi e rimonte
diventati marce indietro,
sui rapporti con Di Pietro,
sulla laicità sparita
ed il Papa che ci trita,
sulla Capital perduta,
sulla spesa sostenuta
per un loft già abbandonato,
su Romano che ha lasciato.
E dagli altri capoccioni
i ben noti paroloni:
innovare con coerenza,
costruttiva autocoscienza,
vocazion maggioritaria.
Un sentore c’è nell’aria
di correnti a vagonate,
di battaglie rimandate,
ma, al momento, no al congresso
che al messia faccia un processo.
Poiché Berlusconi impazza,
in autunno tutti in piazza,
se le ferie son finite,
se non piove e il sole e mite.
Ora no, fa troppo caldo…
Un commento maramaldo
di Veltroni al pigolio:
“Liberiamoci dall’Io!”
“Molto meglio, credi a me,
se ci liberiam da te!”
(Fonte dell’ispirazione per questa poesia l’articolo "Nel partito-labirinto di Walter tra sedie vuote e musica rock" di Filippo Ceccarelli, Repubblica, 21 giugno 2008)
(23 giugno 2008)
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