Pedofilia, le proposte di Noi Siamo Chiesa per affrontare la situazione in Italia

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“Noi Siamo Chiesa” ha diffuso il 31 marzo un proprio documento (che pubblichiamo più avanti) sulla questione della pedofilia nella Chiesa. Esso parte dalla constatazione che la Chiesa non è capace di autoriformarsi e ha affrontato questo gravissimo problema quando è stata obbligata dall’esterno, dalle vittime degli abusi, dall’opinione pubblica. Il testo esamina poi i fatti, cerca di capirne le cause (sullo sfondo c’è anche il problema del celibato obbligatorio del prete) e prende atto che le strutture ecclesiastiche si sono occupate dei colpevoli e non delle vittime, quasi sempre invitate a tacere e a portare pazienza.
Le responsabilità di fondo sono da individuare nel sistema di segretezza e di coperture che dal Vaticano, con norme precise e obbliganti, si ramifica nelle diocesi. E’necessario un percorso generale di riconoscimento della realtà, di confessione e di rigenerazione che – dice il documento – “inevitabilmente comporta che ogni singolo vescovo, ovunque eserciti il suo ministero, se oggettivamente responsabile di aver sacrificato le vittime per salvare la pretesa onorabilità della Chiesa romana, affronti il problema – personale e strutturale – della opportunità, o forse della necessità, delle sue dimissioni.”.
Il documento si conclude esaminando la situazione italiana, dove il fenomeno emerso fino ad oggi, appare meno esteso che altrove. Il Consiglio permanente della Conferenza episcopale la settimana scorsa lo ha affrontato con quelle che “Noi Siamo Chiesa” ritiene solo generiche buone intenzioni ma senza decidere alcuna iniziativa concreta (come invece stanno facendo tante Conferenze episcopali in queste settimane).
“Noi Siamo Chiesa” propone che si istituisca da subito, in ogni conferenza episcopale regionale, un “Collegio di ascolto e di trasparenza”, visibilmente indipendente, con una obbligatoria presenza femminile al proprio interno, a cui si possano rivolgere le vittime. Questo collegio, che dovrà agire con criteri garantisti, dovrà comunicare con la magistratura, informando l’autorità ecclesiastica, avere la possibilità (se necessario) di rivolgersi ai servizi sociali e sanitari ed occuparsi anche di eventuali risarcimenti alle vittime.

Il sistema ecclesiastico nel suo complesso è responsabile per la “copertura dei preti pedofili”.
Una proposta di “Noi Siamo Chiesa” per la situazione italiana

La Chiesa non sa autoriformarsi
La questione dei preti pedofili accomuna in una profonda sofferenza nella Chiesa cattolica sia quanti si ritengono del tutto ossequienti al Magistero, sia quelli che da tempo manifestano la loro insoddisfazione per gli orientamenti attuali che sono lontani da una coerente sequela degli insegnamenti del Concilio Vaticano II. Tutti abbiamo nella mente e nel cuore quanto dice l’Evangelo di Marco (9,42) su chi scandalizza i piccoli, tutti siamo consapevoli del rischio concreto di discredito nei confronti dell’intera categoria dei presbiteri e dei religiosi, mentre ognuno di noi è testimone di tanti loro esempi di segno contrario e anzi di grande passione per il ministero e di vera fede nell’Evangelo testimoniata dalle azioni.
Questa difficile condizione di tutti è aggravata dal fatto che si tratta, da una parte, di un fenomeno relativamente nuovo, almeno quanto a notorietà ed a consapevolezza nell’opinione pubblica della Chiesa (di qui un maggiore sconcerto e la ricerca un po’ affannosa delle cause) e, dall’altra, dal fatto che la nostra Chiesa sta dimostrando ancora una volta di avere in sé così scarsa capacità di autoriforma. Essa è costretta ad affrontare un grave problema solo perché esso è imposto dall’esterno, dai giornali, dall’opinione pubblica, dalle vittime. Probabilmente, se le strutture delle nostre comunità ecclesiali, a livello locale, istituzionale e globale, fossero diverse, e se tutte le opinioni avessero ascolto e fosse incoraggiato un normale scambio di opinioni, senza esclusioni e senza privilegi per nessuno, la situazione sarebbe ben diversa.

I fatti e le cause
I fatti sono noti, e poco contestabili. Troppe vittime dei preti o dei religiosi pedofili, nel momento in cui – spesso con grande dolore e vergogna – hanno deciso di denunciare i fatti si sono trovate di fronte al muro di gomma da parte di chi avrebbe dovuto essere, dall’inizio e fino in fondo, dalla loro parte. Il fenomeno si è rivelato molto diffuso, dagli USA a molti paesi europei, presente in parrocchie ed istituzioni educative; e non si sa quanto sia esteso. Da qualche tempo sempre di più si è manifestato in strutture di antica e tradizionale fedeltà alla Chiesa e di secolare prestigio, quali la Chiesa cattolica in Irlanda o in Germania.
Come si è determinato? Quali le sue radici? Bisogna affrontare una riflessione di lungo periodo che non potrà non coinvolgere molti altri problemi della Chiesa a partire da quelli che riguardano il rapporto autorità/potere, fedele/ministro ordinato, liberta/sessualità.
Adesso si discute molto se ci sia un rapporto diretto tra pedofilia e celibato obbligatorio del clero latino; gli esperti tendono ad escluderlo. Ciò che si può comunque constatare, anche sulla base del semplice buon senso, è un certo deficit, a volte completo o quasi, di educazione serena alla sessualità nelle sedi dove si forma il presbitero, il religioso o il monaco. L’assenza o la scarsità della presenza femminile nell’iter formativo, la consapevolezza di non avere nella propria vita la prospettiva di una normale vita di coppia possono essere elementi che favoriscono, in alcune situazioni, gravi carenze nella formazione della personalità (1). Comunque la discussione sulla necessità della modifica del sistema del celibato obbligatorio nella Chiesa – che è causa di gravi problemi per la vita di molti presbiteri nella Chiesa latina, specie in alcuni paesi – ha avuto una giusta accelerazione come conseguenza di tutta questa vicenda.
Probabilmente bisogna guardare più a fondo, anche nella selezione degli ammessi ai seminari, nei modelli di vita proposti, nelle culture delle relazioni. Ipotizziamo che, a parte i casi di vera e grave patologia, sfuggita agli educatori o da essi sottovalutata, alcuni candidati al presbiterato abbiano ritenuto forse di risolvere il loro originale disagio affettivo/sessuale abbracciando lo stato ecclesiastico e celibatario: il problema però è rimasto intatto e si è probabilmente aggravato. Ipotizziamo anche che abbia avuto un peso la liberalizzazione dei costumi sessuali nella nostra epoca, che ha trovato sguarniti anche i presbiteri o i religiosi, nonostante la preparazione teorica sul piano etico e spirituale, e abbia ingenerato, specie in coloro che sentivano la fatica della dimensione celibataria, un senso di frustrazione .
In questo “Anno sacerdotale” ci piacerebbe sapere se, in tante ripetizioni enfatiche del ruolo del presbitero, ci sia stato o ci sia spazio per una riflessione su tutta la complessa problematica della sua formazione e dell’intervento nel caso di devianze da un normale equilibrio psicosociale. Inaccettabile ci sembra, comunque, “il superficiale rimando alle conseguenze della secolarizzazione e, anche peggio, a un malinteso permissivismo, conseguente alla cattiva interpretazione del Concilio” (2), di cui parla Benedetto XVI nella lettera del 19 marzo ai cattolici d’Irlanda.

Cattolici di serie A e cattolici di serie B
In attesa di app
rofondire meglio le questioni di fondo, ci interessa capire la posizione delle strutture ecclesiastiche di fronte ai fatti. L’approccio – ci sembra – finora è stato quello di porsi solamente di fronte al ”peccato grave” di un soggetto membro dell’apparato ecclesiastico. Questa ottica ha prevalso su tutto, quasi ci si trovasse di fronte, da una parte, a cristiani di serie A, pedofili da riciclare, da cercare di recuperare anche per la carenza di clero e, dall’altra, a cristiani di serie B , le vittime da invitare al silenzio, alla sopportazione nel nome dell’ interesse generale (quale? quello di una casta, non certamente quella della comunità dei credenti). Ci troviamo di fronte a una logica simile a quella del “primato del sabato” – prima la legge e poi, se rimane spazio e tempo, la carità; e. nel nostro caso, prima sempre l’Istituzione-Chiesa, il suo onore e la sua difesa; poi, molto poi, le sofferenze dei soggetti più deboli, dei bambini, delle bambine, dei giovani.

Il segreto di Curia e il lassismo
La conseguenza di questa scelta di apparato è stata quella di rinchiudere i fatti all’interno del proprio ordinamento e di escludere (salvo rare eccezioni) l’autorità civile, la magistratura. Quali siano le conseguenze di questo orientamento sono sotto gli occhi di tutti. Questa linea di comportamento denota anche, a nostro avviso, un deficit ecclesiale e culturale nel modo di rapportarsi col potere civile, visto come qualcosa di cui solo diffidare, come se esso fosse solo un intruso in questioni del tutto private.
Infine è stupefacente constatare – non riusciamo a trovare spiegazioni – quanto ampio sia lo stacco radicale tra una simile tolleranza (diciamo pure indulgenza) praticata nei confronti di colpevoli di gravissimi comportamenti sessuali e invece l’ossessione, rigorista, della teologia morale “ortodossa”, quella dei seminari e dei documenti pontifici, su tutte le questioni che riguardano il sesso (aborto, contraccezione, convivenze, rapporti omosessuali ecc…). Se si fosse usato contro la pedofilia, in ambito ecclesiastico, il cinque per cento dell’impegno degli apparati, della pastorale e dei vertici della Chiesa romana per queste questioni, saremmo ora in una situazione ben diversa. Può essere considerata come molto blanda attenuante il fatto che la tutela delle vittime e la verità dei fatti hanno acquisito negli ultimi tempi, nella coscienza pubblica, una maggiore importanza.

Le reazioni di fronte allo scandalo
Quali sono state nell’establishment ecclesiastico, in particolare nella Curia romana, le reazioni di fronte all’allargarsi dello scandalo? Un primo atteggiamento è stato quello di parlare di un “complotto laicista” nei confronti della Chiesa e, direttamente, nei confronti del Papa (3). Ci sembrano reazioni estreme, di gente smarrita, coi nervi a fior di pelle, che non vale nemmeno la pena di prendere in considerazione.
Un secondo modo di reagire è stato quello ufficiale; ci sembra che esso abbia enfatizzato i recenti interventi del papa sul problema (come ha fatto, ad esempio, il direttore della Sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, il 14 marzo); abbia addotto scusanti, citando la rivoluzione sessuale che avrebbe avuto riflessi negativi anche in ambienti ecclesiastici; abbia, infine, sottolineato che si tratta di un fenomeno diffuso, e forse ancor più, in tutta la società, e per il quale la Chiesa non avrebbe più responsabilità di altri; per cui, “concentrare le accuse solo sulla Chiesa falsa la prospettiva “(sempre padre Lombardi, il 9 marzo). Ammesso ma non concesso (ma qui non vogliamo approfondire tale questione) che il quadro “statistico” fosse quello delineato dalle fonti vaticane, ci sembra davvero grottesco mettere sullo stesso piano le responsabilità di preti educatori, che dovrebbero ispirarsi al Vangelo, con quello di altri soggetti che, a diverso titolo, hanno a che fare con i giovani.
Il card. Tarcisio Bertone si è consolato sostenendo (il 16 marzo in un incontro con la Confindustria) che “la Chiesa ha ancora una grande fiducia da parte dei fedeli, solo che qualcuno cerca di minare questa fiducia; ma la Chiesa ha con sé un aiuto speciale dall’alto”. Questa dichiarazione, insieme ad altre, testimonia di un atteggiamento troppo sicuro di sé e, quasi, arrogante. Approfittando di questo aiuto “dall’alto”, bisognerebbe forse, invece di fare quadrato, pensare a una rigenerazione di tutto il sistema. In una nota del 27 marzo, il Padre Lombardi sostiene addirittura che da tutta la vicenda “l’autorità del Papa e l’impegno intenso e coerente della CDF ne escono non indeboliti, ma confermati” nel “combattere ed estirpare la piaga degli abusi”.

Le responsabilità
Sono evidenti, e ineliminabili, le responsabilità di quei vescovi e di quei superiori religiosi che hanno trasferito da una parrocchia all’altra, da un istituto all’altro i preti pedofili, invece che allontanarli dal ministero e rivolgersi alla magistratura. La quasi uniformità di questi comportamenti in diversi paesi ci costringe – come del resto molti altri cattolici, nel mondo, chiedono – a concentrare la nostra attenzione sulla struttura di vertice della Chiesa e sul suo funzionamento. Il testo base è il documento Crimen Sollicitationis del 1962: nei suoi 74 articoli ci sono prescrizioni sul processo canonico e un’ossessiva richiesta di segretezza da parte di tutti, imposta sotto pena di scomunica ipso facto et latae sententiae (cioè automatica al compimento del fatto senza necessità di un uno specifico provvedimento dell’autorità ecclesiastica). Il riordino della normativa interna contenuto nella lettera “De delictis gravioribus” del 18 maggio 2001 (firmata insieme dal card. Ratzinger e da mons. Bertone, allora segretario della CDF, approvata da Giovanni Paolo II e inviata a tutti i vescovi) conferma che ogni questione deve essere affrontata per canali interni (prima dall’Ordinario locale e poi dalla Congregazione per la Dottrina per la fede).
Nessun accenno si fa nei due documenti alla tutela delle vittime, nulla si dice sul deferimento alla magistratura qualora la vittima si sia rivolta al vescovo o a qualche esponente ecclesiastico, nulla si dice sul risarcimento alle vittime. Tutti i procedimenti sono soggetti al “segreto pontificio”, istituto che è stato per troppo tempo ed è ancora all’origine della copertura di scandali. Un’intervista di Bertone (su “30 giorni” del febbraio 2002) dà l’interpretazione autentica della Lettera; egli tende a proteggere il vescovo dall’obbligo di denuncia dei delitti alla magistratura. Incalzato dal giornalista, egli si limita a dire: “Non escludo che, in particolari casi, ci possa essere una forma di collaborazione, qualche scambio di informazioni, tra autorità ecclesiastiche e magistratura”. Ma, precisa, la norma è quella di gestire la questione in segreto, e all’interno della Chiesa.
In una intervista (su Avvenire del 13 marzo), lunga, interessante e tutta sulla difensiva, mons. Charles J. Scicluna, promotore di giustizia presso la CDF, descrivendo le caratteristiche del procedimento presso la Congregazione, conferma nella sostanza il ben scarso ricorso alla giustizia civile. “Una cattiva traduzione in inglese ha fatto pensare che la Santa Sede imponesse il segreto per occultare i fatti… ma la normativa sugli abusi sessuali non è mai stata intesa come divieto di denuncia alle autorità civili” (ma perché la normativa non preved
e esplicitamente e in modo non equivocabile, come invece dovrebbe, il dovere della denuncia alla magistratura?). Perciò la questione dell’errata traduzione ci sembra veramente incredibile da sostenere !
Per quanto riguarda poi l’Italia Scicluna è preoccupato “da una certa cultura del silenzio che vedo ancora troppo diffusa”. Nei paesi di cultura giuridica anglosassone ma anche in Francia – nota il prelato – i vescovi, per notizie ricevute al di fuori della confessione, sono obbligati a denunciare i preti pedofili alle autorità (ma non si direbbe che ciò, di norma, sia avvenuto viste le notizie che abbiamo ricevuto e che ancora riceviamo in questi giorni da tanti paesi, USA e nordEuropa, e da parte delle associazioni delle vittime). Nei paesi dove non c’è l’obbligo “non imponiamo ai vescovi di denunciare i propri sacerdoti ma li incoraggiamo a rivolgersi alle vittime per invitarle a denunciare”. A noi sembra che risulti tutto il contrario: troppi fatti indicano che i vescovi e le altre autorità ecclesiastiche finora, salvo ben rare eccezioni, hanno invitato le vittime al silenzio assoluto e alla sopportazione (per il bene della Chiesa!). Questo è il comportamento veramente grave che non è per niente assimilabile al caso, ovviamente più delicato, del vescovo che venga a conoscenza dei fatti sotto vincolo di segreto sacramentale o professionale.

L’intervento di Hans Küng
La questione delle responsabilità della struttura centrale della Chiesa si impone esaminando i fatti e quanto si sa (ed è sufficiente) sul suo funzionamento. Küng ha posto il problema per primo nella parte finale del suo recente articolo (su “Repubblica” del 18 marzo e poi alla radio svizzera) chiamando in causa le responsabilità personali di Joseph Ratzinger. Ci sono fatti incontrovertibili. I comportamenti, quasi sempre omogenei, dei vescovi nel mondo di fronte a questo problema indicano che c’è, o c’era, una cultura comune e una struttura conseguente; e abbiamo detto delle norme canoniche esistenti. Come può infatti chiamarsi fuori chi, da tutto il mondo, ha avuto sul proprio tavolo – è da presumere – per oltre vent’anni le segnalazioni dei casi di pedofilia del clero?
La lettera di Benedetto XVI ai cattolici d’Irlanda è severa con la Chiesa locale (senza peraltro decidere provvedimenti concreti) ma nulla riconosce delle responsabilità specifiche della Santa Sede. Eppure, ad esempio, esse emergono con chiarezza, nel caso irlandese, dal rapporto Murphy; prima la CDF nel settembre del 2006 e poi il Nunzio in Irlanda nel febbraio 2007, si rifiutarono di rispondere alle richieste di collaborare alle indagini. Altre vicende vengono alla luce come quella relativa ad un caso nella diocesi di Milwaukee, sollevato con grande evidenza dal New York Times (anche in questo caso la risposta di padre Lombardi alle accuse appare sulla difensiva e di tipo giustificatorio).
Il mea culpa richiesto da Küng è atteso ormai da tanti, a partire dalle vittime (quelle irlandesi, peraltro, si sono dichiarate insoddisfatte della Lettera del 19 marzo).Infatti, il sistema della trattazione dei delitti, accentrato nei vescovi e nelle Curie e poi nella CDF, deve essere deplorato e censurato con forza sia dal punto di vista della morale cattolica e laica che da quello del corretto rapporto con le vittime. Non voler riconoscere la realtà e le responsabilità ultime per un malinteso rispetto del pontificato ci sembra un grave errore alla luce della credibilità dell’annuncio della Parola.
E’ nostro dovere di membri di questa nostra Chiesa pretendere che tutto il sistema – nel modo di affrontare tale questione – sia smantellato, che il papa riconosca la realtà dei fatti, chieda perdono e si inizi un percorso di purificazione e di conversione che coinvolga tutti i responsabili diretti delle tristi vicende e poi tutti i credenti perché lo Spirito aiuti la Chiesa cattolica in questo passaggio difficile. Un percorso che inevitabilmente comporta che ogni singolo vescovo, ovunque eserciti il suo ministero, se oggettivamente responsabile di aver sacrificato le vittime per salvare la pretesa onorabilità della Chiesa romana, affronti il problema – personale e strutturale – della opportunità, o forse della necessità, delle sue dimissioni.

La situazione in Italia e la Conferenza episcopale
In Italia l’estensione del fenomeno degli abusi sessuali sembra per ora contenuto, almeno se raffrontato con quanto sta succedendo in NordEuropa e negli USA. Trattandosi per sua natura di un fenomeno clandestino e trattato, in generale, nel segreto, è difficile capire se nel nostro paese esso sia effettivamente di minori dimensioni. È possibile che esso sia emerso in misura modesta, forse anche per una maggiore pressione sulle vittime per ottenerne il silenzio. Comunque, sull’onda della situazione d’oltralpe, sono ormai tanti i fatti documentati di pedofilia che hanno avuto come protagonisti preti o religiosi (4), mentre le vittime si stanno organizzando. Gli episodi emersi fino ad ora sono stati gestiti in modo simile a quanto avvenuto negli altri paesi.
Ciò premesso, veniamo al primo intervento pubblico, e relativamente dettagliato, dei vertici della Conferenza episcopale italiana sulla questione della pedofilia del clero. Aprendo, il 22 marzo, la sessione primaverile del Consiglio episcopale permanente della CEI, il card. Angelo Bagnasco aveva toccato anche questo problema; l’assemblea ne ha poi discusso, giungendo alle conclusioni espresse nel comunicato finale dei lavori diffuso il 30 marzo: i vescovi plaudono all’”atteggiamento fermo e illuminato di Benedetto XVI”, esprimendogli piena solidarietà; confermano il valore del celibato obbligatorio; esprimono fiducia nei tanti sacerdoti che adempiono con impegno evangelico al proprio ministero. Precisano, poi: “Il rigore e la trasparenza nell’applicazione delle norme processuali e penali canoniche [contro il reato di pedofilia del clero] sono la strada maestra nella ricerca della verità e non si oppongono, ma anzi convergono, con una leale collaborazione con le autorità dello Stato, a cui compete accertare la consistenza dei fatti denunciati”.
Ci sembra importante l’enunciato impegno a collaborare con le autorità dello Stato, anche se non è esplicito l’invito ai vescovi ad indirizzare alla magistratura le vittime delle violenze sessuali del clero e ci si richiama ancora al processo canonico come “strada maestra”. Tuttavia – ci sembra – i vertici della CEI, forse sorpresi e angosciati dagli avvenimenti in corso, e incerti tra autogiustificazioni e autoassoluzioni, denunce di “complotti” contro il papato e il timore di aprire nella Chiesa cattolica italiana un dibattito dagli esiti incerti per l’establishment ecclesiastico, non prospettano, almeno per ora, nessuna iniziativa concreta e immediatamente fattibile. Non vorremmo che, passata la bufera, tutto continuasse come prima.

Una proposta per l’immediato futuro
Non si può stare fermi e dire solo belle parole che vorrebbero essere rassicuranti. In assenza di altri, proviamo ad assumerci la responsabilità di fare una proposta concreta, sperando che sia presa in considerazione. Noi proponiamo che, da subito, le autorità della Chiesa cattolica italiana decidano l’istituzione di strutture indipendenti per occuparsi dei casi di pedofilia che riguardano il clero, i religiosi e tutti i soggetti interni alle strutture che, in vario modo, fanno parte della nostra Chiesa. Si potrebbe istituire in ogni Conferenza episcopale regionale un “Coll
egio per l’ascolto e la trasparenza”, composto, per esempio, di tre membri, che abbia come proprie caratteristiche fondamentali quello di essere indipendente da ogni autorità ecclesiastica o di altro tipo, di agire con riservatezza e con criteri garantisti, di ricevere le lagnanze e/o le segnalazioni di qualsiasi tipo relativi a questioni che riguardino casi di pedofilia avvenuti in ambito ecclesiastico.
Questo Collegio dovrebbe avere il compito di analizzare le situazioni ad esso sottoposte e, se del caso, deferire i fatti alla magistratura, avvisando l’autorità ecclesiastica. Contemporaneamente il Collegio dovrebbe potersi rivolgere a servizi sociali, educativi e sanitari, ai quali sottoporre situazioni che ne possano richiedere l’intervento; e dovrà pure occuparsi del problema del risarcimento, morale e materiale, nei confronti delle vittime. Questo “luogo” dovrebbe essere fatto conoscere nelle parrocchie e in ogni altra sede frequentata da credenti, attraverso i mass media del mondo cattolico, essere facilmente accessibile (sede, web, posta elettronica, numero verde…) e dotato di strumenti minimi, anche di tipo economico, per operare. Salvo modifiche in futuro, allo stato attuale e per procedere speditamente, non vediamo altre possibilità che sia la stessa autorità ecclesiastica a scegliere chi ne possa fare parte, dopo consultazioni non formali con gli organi esistenti di partecipazione (Consigli pastorali).
Ci permettiamo di indicare dei criteri per la sua composizione: persone senza alcuna responsabilità attuale nella Chiesa e che provengano possibilmente dalla magistratura. Soprattutto, questi Collegi dovranno prevedere obbligatoriamente al proprio interno la presenza femminile. La qualità delle persone scelte sarà testimonianza della reale volontà delle autorità ecclesiastiche di fare sul serio.
Sono proposte che ci permettiamo di sottoporre alla discussione nella nostra Chiesa – in altre Chiese cattoliche locali in questi giorni si è già andati in questa direzione (5) – ci sembrano ragionevoli, facilmente attuabili e tali, soprattutto, da dare credibilità alle persone che chiedono fiducia, e che, in questo modo, possono essere garantite da strutture indipendenti.

Roma, 31 marzo 2010

Note:

(1) Aldo Bodrato, su Il Foglio, pubblicazione di cattolici di Torino, numero di marzo, così analizza il problema: “Dicono che non il celibato in sé, ma la sua obbligatorietà e esclusività, come via di accesso ai ruoli guida nella comunità ecclesiale, tende a formare nelle coscienze degli aspiranti l’idea che l’emarginazione della questione sessuale nella vita del clero sia doverosa e che una scarsa propensione all’esercizio dell’amore eterosessuale o omosessuale è premessa indispensabile e sufficiente a fare un buon prete e ad aprirgli una promettente carriera. Di qui la creazione di un percorso formativo e la diffusione di una spiritualità celibataria, disattenta alla maturazione sessuale dell’individuo e propensa a lasciare aperte vie secondarie e deviate all’esercizio della sessualità stessa”.
(2) Ibidem su Il Foglio di marzo.
(3) Si legga l’intervista al card. Camillo Ruini sul quotidiano Il Foglio del 16 marzo, la lettera di Marcello Pera su Il Corriere della Sera del 17 marzo e l’articolo di Massimo Introvigne su Avvenire del 18 marzo. A questi interventi è facile obiettare che le reazioni da essi definite “laiciste” possono essere la conseguenza diretta della linea di arroccamento delle gerarchie vaticane di fronte alla presenza della questione su tutta la stampa nazionale e internazionale.
(4) I fatti emersi nel nostro paese sono stati riassunti nel servizio comparso sull’ Espresso in data 31 marzo 2010, “Pedofilia, l’inferno italiano”, a cura di Tommaso Cerno, leggibile anche sul sito http://espresso.repubblica.it/dettaglio/pedofilia-linferno-italiano/2123759//1. Il fatto che l’inchiesta sia stata fatta da un settimanale di cultura “laica” viene addotto, negli ambienti ecclesiastici, a sostegno della tesi dell’esistenza di una posizione di preordinato accanimento contro la Chiesa romana. Bisognerebbe però rispondere sui fatti invece che cercare ancora comode scappatoie alle situazioni drammatiche indicate nel dossier, che provengono dalle denunce delle vittime e che spesso sono state confermate da sentenze dei Tribunali. D’altronde, perché i media cattolici ufficiali e ufficiosi non hanno fatto, essi, prima della stampa “nemica”, analisi vaste ed approfondite sulla piaga della pedofilia del clero?
(5) Il card. Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, ha informato che la Chiesa austriaca ha affidato a una donna laica il compito di formare una Commissione indipendente sul problema (peraltro non gradita da tutti i movimenti della Chiesa di base), in Olanda la Chiesa ha istituito una commissione d’inchiesta indipendente presieduta da un protestante ex presidente del parlamento, in Germania il vescovo di Treviri Stephen Ackermann, responsabile per tutte le diocesi tedesche per il problema degli abusi, ha aperto una linea telefonica per ricevere le denunce e per segnalarle alla magistratura. Sono note le iniziative della diocesi di Bolzano-Bressanone, ora sarà l’ex-difensore civico della provincia autonoma a essere referente indipendente per le vittime, nominato dalla Diocesi a questo compito.

(1 aprile 2010)

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