Per una democrazia competente

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Su una constatazione non c’è alcun dissidio, forse perché è assolutamente banale: non esistono tecnologie, cioè artefatti inventati dall’uomo, che siano prive di rischio. Dai fiammiferi all’aeroplano, dalla leva ai veicoli spaziali, tutto ciò che abbiamo introdotto nell’ambiente naturale può ferirci, menomarci e ucciderci. Singolarmente o in massa. Non parliamo di armi, naturalmente, ma di tecnologie utili, forse indispensabili, che servono a vivere meglio. Sarebbe ben stupido, però, pensare che ciò che è naturale è , al contrario, innocuo e tranquillo: dai funghi velenosi agli tsunami, dalle paludi alle eruzioni vulcaniche tutto richiede la capacità di proteggersi e di essere prudenti. Ma non si può negare che (e questa è un’altra banalità) le tecnologie sono, assai più finalizzate delle risorse naturali, su un complesso terreno per l’analisi del rapporto rischi/benefici. Perciò, ogni atteggiamento pregiudiziale che inibisca i processi di approfondimento della conoscenza e dell’analisi si può classificare in buona coscienza come “idiozia rinunciataria pura”. L’esempio più significativo di questa idiozia, plasmato sulle malformazioni della cultura tradizionale e dominante, è stato il “principio di precauzione”, specie nei suoi usi inibitori del dialogo e dell’analisi (non fidarsi delle competenze “per precauzione”, modalità spesso cara a chi le competenze non le ha).
Ma c’è di più: proprio le banalità a cui ho fatto cenno prima hanno alimentato un fondamentalismo integralista che ha poi costituito la piattaforma di lancio di una attività politica assai proficua basata addirittura sul rifiuto della competenza, inteso come diritto, assai più che sulla semplice incompetenza. L’idea è elementare e s’impasta con la degenerazione politica della ragion d’essere del principio di precauzione: ciò di cui non si sa nulla può essere facilmente trasformato in una paura. Millenni di superstizioni, misteri, magie, fantasmi, eccetera hanno radicato la credulità su cui poi hanno attecchito specialmente certo potere religioso e la categoria degli amministratori ecclesiastici di quel potere: l’idea di un dio che sovrintende al comportamento umano certificandone i poteri è la più finalizzata ed efficace semplificazione del dominio senza competenze (1).
Di fronte a un così colossale apparato di gestione politica dell’ignoranza e della suggestionabilità, è davvero ben poca cosa citare, per esempio, le attuali manifestazioni correnti del “rifiuto del nucleare” come banco di prova su cui si potrebbe intervenire per cambiare una rotta disdicevole (2). Però, tutto sommato è almeno una questione di attualità e, soprattutto, se si può chiudere un occhio sugli espedienti con cui gli sfruttatori politici dell’ignoranza popolare diffondono slogan intimidatori e suggestioni (scimmiottando addirittura, nelle tecniche di comunicazione, il mercato e la sua propaganda, come hanno fatto i cosiddetti ambientalisti a puro scopo di consenso), non si può tacere che alcune persone che sono o potrebbero essere competenti per la formazione che hanno avuto, si esprimono come i politici per ragioni puramente ideologiche mentendo a se stessi quali sono i problemi reali di cui parlano e si parla. La varietà non manca: c’è il biologo che condanna gli OGM in quanto tali pur di fare la guerra alle industrie alimentari che li monopolizzano, c’è il medico che non impiega efficaci terapie del dolore perché la curia è restìa, c’è il fisico che si oppone con dati falsi alle centrali nucleari perché sono monopolio di ingegneri e tecnologi a suo dire inaffidabili perché asserviti a poteri invisi e (buttato lì come spauracchio) contigui a interessi militari.
Insomma, viviamo in una “cultura dell’arroccamento ideologico” che sembra uno dei motori più impropri della dinamica politica: io penso francamente che sia una vergogna, uno svilimento della democrazia. La forza di una democrazia dovrebbe essere il dialogo, il trasferimento e la verifica di conoscenze, l’operatività senza preconcetti nel campo del benessere sociale. Non esistono miracoli: ciò che facciamo di buono siamo noi a saperlo e a volerlo fare: e chi non pensa che sia meglio farlo di comune accordo? Ma fare comporta anche dei rischi e dobbiamo assicurarci della assoluta superiorità dei benefici: di più non si può (3).
Perché non lanciamo una campagna a difesa della “democrazia competente”? Perché non dotiamo le strutture politiche (e non solo quelle burocratico-ministeriali che scrivono decreti incomprensibili) di consulenze credibili, cioè con il curriculum in regola per affermare ciò che veramente sanno, imponendo loro anche la capacità di tradurlo in termini di larga comprensibilità? Perché non condiamo le indigestioni di economia (sembra che non si parli d’altro) con informazioni che dicano anche dove va il denaro e che insegnino a comportarsi con rispetto e aspettazioni benefiche verso le tecnologie che permettono la sopravvivenza, magari longeva, di sei miliardi e mezzo di persone? La democrazia sta soccombendo sotto un’immagine del mondo, considerata assurdamente “la realtà ineluttabile”, fabbricata ad arte per barare nel gioco dei consensi. I media sono una malattia genetica da tenere sotto controllo: non censure, per carità, ma contraddittorio obbligatorio; in cui chi bara possa apparire, dati alla mano, come un baro, chi non sa appaia come un ignorante, chi è sciocco appaia come tale; e così chi è egoista, avido, prepotente, intollerante, rozzo, eccetera. Potrei fare lunghe liste di nomi noti a tutti: ministri, segretari di partito, imprenditori, professori, alti prelati, scrittori, opinionisti e così via. E’ scandaloso che tutti abbiano accettato questa degradazione dell’intelligenza della politica: con il risultato che ci si può affidare a gente che non sa, non ha studiato, non capisce, eppure gestisce il “potere”; semplicemente, con una incessante produzione di adescamenti retorici, eventualmente “urlati”. Questo è il qualunquismo strisciante su cui poi attecchiscono i comici che imprecano volgarmente nelle piazze o dagli schermi TV. Se tutto ciò che avverrà sarà una conversione dal perbenismo borghese timorato di dio alla protesta condita di parolacce, la mutazione sociale sarà da una cattiva tradizione a un’altra non meno cattiva anche se ancora emergente. Che la competenza e l’intelligenza siano corruttibili toglie ogni speranza concreta. Gli esseri umani non hanno ancora imparato a parlare del concreto, della realtà: è un vero paradosso, se si pensa che è l’uso razionale del pensiero a soccombere (chiamiamolo come un reato: “interesse privato nell’uso di linguaggio pubblico”). L’evoluzione culturale, con buona pace dell’evoluzionismo biologico, più lenta di così non potrebbe essere. Vogliamo incominciare a dialogare competentemente sui problemi? Potremmo incominciare a parlare dell’energia, visto che la buriana è già in atto. L’elenco più velleitario – a seguire – è presto fatto: 1- Crisi dell’insegnamento scolastico di massa delle forme razionali di pensiero sui fatti e sulla realtà, 2 – Crisi di approvvigionamento di ogni tipo di risorse a fronte di un’enorme e crescente popolazione mondiale, 3 – Crisi di residui regimi autoritari e delle conseguenti con
dizioni materiali di vita nelle diverse parti del mondo, 4 – Crisi dei rapporti sociali, dell’altruismo e della solidarietà, specie nei paesi ricchi come il nostro. Da questi scaturiscono tutti gli altri. Vorrei usare la formula standard degli annunci economici: “esclusi perditempo”, ma bisognerebbe tenere a bada troppa gente, e questo è il vero guaio.

(1) C. Maltese, La questua, Feltrinelli 2008
(2) . G. Gamow, nella sua autobiografia La mia linea di universo, appena uscita da Dedalo, avrebbe detto che queste dichiarazioni sono esempi di luoghi comuni basati su certo “socialismo ideologico”.
(3) A. Oliverio, La strategia della scelta, Laterza, 2008

(6 giugno 2008)



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