Perchè abbiamo perso comunque
Per almeno tre motivi.
Il primo riguarda la strategia, che nella “buona politica” dovrebbe esser tutt’ uno con il fine da perseguire.
E noi abbiamo fatto nostre le tattiche per la cattura del consenso proprie della destra. Come il programma elettorale costruito sui sondaggi. Come l’identificazione dei partiti nell’immagine dei loro leader. Come la vetrina televisiva come canale privilegiato del rapporto con i cittadini.
Sono tutte strategie che attivano la “parte destra” degli elettori, anche di quelli di sinistra.
Perché sono strategie che fanno prevalere l’idea di una società dove contano solo gli interessi personali e non “il bene comune”. Fanno credere che il carisma del “capo” sia più importante dell’impegno di un gruppo di persone competenti. Spingono a giudicare non le idee, i vissuti personali, i progetti portati avanti dai candidati, ma le facce e gli atteggiamenti più o meno accattivanti esibiti davanti alle telecamere.
Questo “stile” di comunicazione “moderno” facilita solo chi l’ha inventato e continua a propagarlo. Chi usa slogan per liquidare la complessità. Chi esalta l’exploit al posto dell’impegno sul lungo periodo e l’identità “pret a porter” al posto della consapevolezza.
Purtroppo per un partito “di sinistra” non ci sono scorciatoie televisive che tengano: l’unico consenso che può conquistare è quello che si costruisce ogni giorno e in ogni occasione di incontro, dal centro alle periferie, dalle città ai piccoli paesi, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nei momenti di aggregazione.
Un modo di fare politica che per tanto tempo ha fatto parte della nostra storia, fino a quando qualcuno non ha deciso che la politica era cosa da “addetti ai lavori” e che quelli che prendevano le ferie per andare a friggere salsicce alla festa de L’Uunità era meglio che rimanessero a casa ( è andata così anche con i movimenti spontanei della società civile che contestavano Berlusconi).
Da allora i militanti sono diventati “elettori”, e gli elettori sono diventati numeri, percentuali, “target” da studiare per proporre prodotti “su misura”, alla perenne ricerca della formula magica per catturare il gruppo più ambito, quello degli “incerti” che possono fare la differenza.
Così si passano al setaccio paure, desideri, identità del potenziale elettorato per individuare slogan, programmi, star, testimonial in grado di “fare colpo”.
Ma l’unico vero modo di convincere gli indecisi (e magari anche una parte di quelli che votano l’avversario contro i propri stessi interessi) è provare a convincerli davvero, non solo durante la campagna elettorale, ma sempre, non solo con promesse “mirate” poi puntualmente disattese, ma con una proposta che offra una diversa prospettiva del futuro.
Il secondo motivo riguarda la coerenza.
“Regole uguali per tutti contro privilegi per pochi”, “Diritti contro favori”, “Tutela dei deboli contro la legge del più forte”: sono i valori su cui si gioca la nostra appartenenza a quella schiera di persone che hanno cercato e cercano di costruire un mondo più giusto.
Ma troppo spesso sono valori in stridente contrasto con la realtà che la gente affronta ogni giorno.
Non esiste piccolo o grande snodo di distribuzione di poteri che non sia gestito con logica feudale: signorotti vassalli valvassori valvassini, la stragrande maggioranza di coloro che possono decidere su carriere, appalti, promozioni, concessioni, posti di lavoro, contributi, sussidi, agevolazioni prendono in considerazione solo l’appartenenza tribale, parentela o fazione, la spartizione del feudo in aree di influenza e il baratto di favori.
Ci si ribella al qualunquismo del “son tutti uguali” appellandosi a differenze di programmi, indirizzi culturali, orientamenti economici, ma il pragmatismo popolare non giudica i discorsi, ma i fatti: e non c’è cittadino che non sia incappato, direttamente o indirettamente, in un piccolo o grande sopruso perpetrato da personaggi collegati anche al centrosinistra (su questo si dovrebbero fare i sondaggi…)
Si può obiettare che il clientelismo e il nepotismo sono una piaga diffusa ad ogni livello sociale e che coinvolge tutte le forze politiche.
Ma un mondo fondato sul privilegio non è in contraddizione con la visione della destra, anzi ne è il modello: una società dove i forti si meritano il meglio e i furbi dimostrano di meritarlo conquistandoselo “sul campo”.
Dietro un bel po’ di voti popolari alla destra c’è anche la rassegnazione di tanti che non sono né forti né ricchi ma che trovano più verosimile il biglietto della lotteria della destra che il dèpliant turistico taroccato della sinistra.
Taroccato perché non dice che la vita da sogno (o anche solo dignitosa) se la possono permettere solo quelli che fanno parte di una tribù prestigiosa, a destra come a sinistra.
L’unico modo per riconquistare credibilità è dare l’esempio adottando un comportamento equo. Sempre. Senza deroghe. Non basta scriverlo sul manifesto etico del partito, bisogna metterlo in pratica ogni giorno. E bisogna buttare fuori chi tradisce la fiducia degli elettori e sputtana il lavoro dei tanti in buona fede.
Ma dubito che un partito che ha ricandidato Mirello Crisafulli, uno che incontrava boss mafiosi agli arresti domiciliari per parlare di appalti, abbia il coraggio di buttare fuori l’assessore che fa assumere come collaboratori per la manifestazione culturale gli amici dei figli e i figli degli amici…
Il terzo motivo riguarda il futuro. E la nostra identità. E la sparizione della parola “sinistra” dal nuovo Partito Democratico e della Sinistra dal parlamento.
Tanti vogliono far credere che “sinistra” sia una categoria che non ha più significato né progetti.
Ma neanche “modernità” ha un significato, e soprattutto può nascondere molti progetti assai diversi tra loro. Tanto che converrebbe chiedersi innanzitutto verso quale modernità stiamo andando.
Sicuramente una modernità di solitudine e paura. Una modernità che ha offuscato la fiducia nella possibilità di costruire un mondo migliore. Dove ognuno sopravvive per se stesso e nessuno pensa più ad affrontare insieme i problemi condivisi. E se il progetto del Partito Democratico, ormai unico/ultimo erede della “sinistra”, è parare i colpi e i contraccolpi di questo stato delle cose, continueremo a perdere ancora per un bel pezzo, forse per sempre.
Perché questo scenario è esattamente l’habitat naturale della destra.
La nostra forza è da un’altra parte: è nella capacità di guardare al futuro, non solo nostro, è nel portare avanti un progetto in tanti e insieme. E’ nel trovare la strada non con la bussola dei sondaggi ma con la stella polare di quei valori che non sono mai cambiati: uguaglianza, libertà, solidarietà. Valori che la sinistra divide con il cristianesimo più autentico. Gli unici valori che possono parlare di futuro ai giovani.
E la nostra forza è ancora nel senso di appartenenza e di identità che proviamo verso tutti quelli che ci hanno preceduto e che camminano accanto a noi in qualche altra parte del mondo
Da questo punto di vista l’annientamento dei partiti della sinistra detta “radicale” è una sconfitta per tutti. Il primo segnale: o riusci
amo a ripristinare un ambiente vitale, dove possano crescere e svilupparsi i valori comuni a tutta la sinistra, e dove possano confrontarsi prospettive diverse, ma tutte proiettate verso il progetto di una società migliore, o la desertificazione in atto spazzerà via ogni speranza, non solo del popolo della sinistra, ma di tutti.
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