Perché il Sinodo finirà in un nulla di fatto

Pierluigi Mele

intervista a Valerio Gigante , da rainews.it

Il Sinodo è nella seconda settimana di lavori. E’ una settimana molto importante per capire quale direzione prenderà l’assemblea dei vescovi. Su questo abbiamo intervistato Valerio Gigante, redattore dell’agenzia ADISTA.

Ci sono stati episodi clamorosi, vedi la “Lettera”  dei cardinali rigoristi (con le successive smentite di alcuni di loro) che mettevano in discussione la ”metodologia” sinodale, hanno accusato Bergoglio di manipolare il Sinodo. Una accusa grave e senza fondamento. Pensi che sia un boomerang per loro? Una accusa grave e senza fondamento. Pensi che sia un boomerang per loro?

A me pare che gli estensori della lettera, attraverso una sua pubblicizzazione presso l’opinione pubblica, abbiano voluto dare grande risonanza a contenuti che altrimenti non avrebbero avuto che l’attenzione del papa e di qualche esponente di Curia. È avvenuto con i libri, le interviste, le dichiarazioni dei mesi precedenti. La lettera ha solo ribadito, amplificandole a dismisura, tesi di cui eravamo a conoscenza. Dando semmai un quadro ancora più lacerato del Sinodo, funzionale forse, alla fine dell’assise, a giustificare presso l’opinione pubblica l’immobilismo che seguirà a due anni di dibattito, nelle aule sinodali come sulla carta stampata. Dopo di che, una voltapubblicata la lettera, qualcuno dei presunti firmatari si è sfilato, forse perché non sapeva che la lettera sarebbe stata data alla stampa; qualcuno ha invece confermato; altri hanno sostenuto di aver firmato ma che i contenuti erano diversi da quellipubblicati. Tutto prevedibile, tutto parte dei meccanismi che seguono ogni rivelazione di documenti riservati.

Un altro episodio clamoroso è quello di Monsignor Charamsa. Per Leonardo Boff questo episodio è “una trappola montata dagli ambienti di destra che sioppongono al Papa”… Sarò un “complottista” ma la penso come Boff. Qual è il tuo pensiero?

Tutto è possibile, ma in assenza di elementi certi bisogna considerare i dati di realtà. Mi pare si possa consentire sul fatto che il papa sia nettamente e fermamente contrario ad ogni forma di riconoscimento dei gay. Lo ha dimostrato da arcivescovo di Buenos Aires, lo ha confermato come papa. Che poi abbia detto “chi sono io per giudicare i gay” riguarda la solita distinzione che il papa fa tra la dottrina e la misericordia e la considerazione che si può avere per il caso che riguarda il singolo omosessuale, non l’omosessualità. Voglio solo ricordare i suoi ripetuti accenni alla questione della cosiddetta “lobby gay” al’interno della Chiesa, ma soprattutto il caso dell’ambasciatore francese presso la Santa Sede. La Francia aveva indicato un diplomatico di lungo corso, Laurent Stefanini; il Vaticano ha opposto prima un imbarazzante silenzio, poi un rifiuto ad accreditare Stefanini. Un fatto grave, dovuto alla omosessualità di Stefanini, che però è cattolico, non ha mai partecipato ad iniziative per il riconoscimento dei diritti civili dei gay, ha sempre dichiarato di vivere incastità secondo i dettami della Chiesa. Oggi la Francia sembra orientata a non indicare al Vaticano altri nomi al posto di Stefanini. Il caso diplomatico è piuttosto serio. In un contesto del genere in che modo l’outing di mons. Charamsa metterebbe in difficoltà Bergoglio? I casi sono due: o il prete polacco ha deciso di rivelare il proprio orientamento sessuale ora che i media e l’attenzione dell’opinione pubblica è più alta e l’effetto delle sue dichiarazioni più dirompente. Un fatto del tutto legittimo, anche solo se il prelato avesse desiderato maggiore copertura mediatica alla sua rivelazione. Se poi in una seconda ipotesi l’intento era scoperchiare in modo ancora più clamoroso una questione come quella dell’omosessualità tra il clero che c’è, nonostante si voglia fare di tutto per nasconderla, la strategia è ancora più meritoria. Anche sul dibattito sinodale non mi pare che il fatto possa compromettere eventuali aperture, che certo non riguarderebbero i preti gay; semmai, nelle ipotesi più ottimistiche (e irrealistiche) una maggiore comprensione del rapporto tra fede ed omosessualità.

I circoli conservatori usano anche l’artiglieria mediatica per contrastare la lineadella “misericordia” di Bergoglio.  Infatti Sandro Magister, vaticanista dell’Espresso, è una delle armi di questi circoli.  E’ così?

Magister è da diversi anni un giornalista assai vicino al cardinal Ruini ed al suo entourage, questo non è un mistero. Che si faccia portavoce di istanze che provengano da quel “think tank” è possibile, come anche è possibile che le rivelazioni fatte da Magister sull’enciclica papale e sulla lettera dei prelati che denunciavano presunte manovre sinodali provengano da quegli ambienti. In ogni caso se l’obiettivo della pubblicazione dell’enciclica era quello di depotenziarne gli effetti non mi pare sia riuscito. Anzi, le polemiche seguite all’anticipazione del documento non hanno fatto che amplificare la portata dell’enciclica. In merito alla recente rivelazione della lettera dei cardinali al papa non mi pare affatto che l’obiettivo sia il pontefice, semmai – come dicevo prima – il Sinodo.

Perché fa paura, secondo te, la linea della Misericordia?

Secondo me non fa nessuna paura. Il papa non piace ad alcuni, limitati, settori ultraconservatori. Ma questo è avvenuto molte volte nel passato. Per il resto questo pontefice usa la parola-chiave “misericordia” nel senso di ascolto e sollecitudine, anche pastorale, nei confronti delle vicende e delle storie individuali, ma sempre e soltanto all’interno di una cornice dottrinaria che però deve restare sostanzialmente inalterata. Insomma, disponibilità a sospendere il giudizio sul caso individuale, sulla vicenda che riguarda l’esistenza del singolo credente, ma rigidità rispetto ad ogni reale cambiamento della norma generale o della prassi ecclesiastica, o dei documenti magisteri ali, o degli equilibri fondamentali che governano la Chiesa e i suoi rapporti di potere. Nulla quindi c’è da attendersi né dal Sinodo né tantomeno dal papa su ruolo delle donne nella Chiesa, celibato ecclesiastico, gay, coppie di fatto, divorziati risposati, morale sessuale. Nulla di nulla. Per questo l’opposizione nei suoi confronti è più immaginaria che reale, ma il papa stesso ed i suoi collaboratori non fanno nulla per smentire quello che ormai è diventata una percezione radicata nell’opinione pubblica: il papa buono circondato da una Curia e da cardinali cattivi che non vedono l’ora di toglierlo di mezzo o di neutralizzarne la forza rivoluzionaria… In fondo la vera grande qualità di questo papa è di “bucare” come nessun altro – nemmeno Wojtyla – aveva fatto prima di lui, di rappresentarsi (e farsi rappresentare) in un modo diverso da quello che la realtà fattuale invece evidenzia.

Parliamo del Sinodo. Quale sarà l’esito?

Nessuno. Si tratta del secondo Sinodo organizzato per affrontare gli stessi temi. I risultati del primo sono stati sconfortanti. Non si capisce per quali ragioni quello che si sta celebrando dovrebbe dare risultati diversi. L’episcopato è teologicamente, culturalmente e pastoralmente arretrato, nella maggior parte dei
suoi membri incapace di cogliere le sfide che pone la modernità. Anche nel caso del Sinodo, il papa è stato abilissimo: convoca i vescovi, li fa discutere fino allo sfinimento, litigare a colpi di lettere, libri, dichiarazioni ed interviste sui giornali, per poi poter dimostrare davanti all’opinione pubblica mondiale che di fronte alle lacerazioni prodotte nel corpo della Chiesa lui non è in grado di attuare quelle scelte riformatrici che invece desidererebbe intraprendere. È la rappresentazione di cui parlavo prima: il papa buono e rivoluzionario, i vescovi ed i cardinali cattivi e sordi ai segni dei tempi. La realtà, papale papale, a mio avviso è questa. Se veramente il papa avesse voluto che alcuni aspetti della dottrina fossero modificati lo avrebbe semplicemente fatto. Per una questione assai più dirompente, quella della contraccezione, papa Paolo VI prima avocò a sé la questione sottraendola al dibattito conciliare; poi nominò una commissione teologica ad hoc; infine, dopo che gli orientamenti espressi dalla commissione non lo convincevano, intervenne con una enciclica, l’Humanae vitae, le cui conseguenze ancora si ripercuotono nella vita di tanti credenti. Ma vi pare che su una questione come la concessione, in determinate situazioni e dopo un attento percorso penitenziale e di discernimento spirituale, sia così difficile per un papa dire che eventualmente, se il vescovo del luogo è d’accordo, un divorziato risposato può prendere l’ostia? Questo papa ha un seguito enorme presso l’opinione pubblica laica e cattolica. È adorato da masse sterminate di fedeli. Quale rischio correrebbe facendo una apertura del genere? E se non lo fa lui con il sostegno enorme che ha, quale altro papa potrebbe mai farlo?

(16 ottobre 2015)



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