Perdere l’incentivo alla pace
Cara Micromega,
mi permetto di scriverti per dare il mio contributo al dibattito sulla questione Israelo-Palestinese ed in particolare sui tragici avvenimenti degli ultimi giorni. Ho ascoltato attentamente il dialogo tra Furio Colombo e Angelo D’Orsi che avete messo a disposizione sul sito e l’ho trovato molto interessante e ricco di spunti di riflessione per capire, e a nostra volta – come suggerisce D’Orsi -, testimoniare quello che sta succedendo, perchè è veramente forse l’unica cosa che ancora possiamo fare. Ed è importante, pur nella sua piccolezza, perchè è qualcosa di universale, che davvero tutti noi, non solo possiamo, ma dobbiamo fare: sforzarci con onestà di capire, e ancor prima di vedere, ciò che sta avvenendo, e testimoniarlo. Vorrei quindi aggiungere un tassello al dibattito, un dettaglio in più per rendere gli eventi forse più comprensibili e la testimonianza più vera, qualcosa che mi sembra di capire non è stato ricordato da nessuno e che offre a parer mio una chiave di lettura di cui non si può fare a meno: senza di esso è difficile inquadrare razionalmente la scelta di Israele, che appare così a prima vista solo folle e controproducente. Furio Colombo infatti spiega gli eventi di questi giorni descrivendo lo stato di Israele come uno staterello abbandonato da tutti, che per paura, stupidità, solitudine, compie scelte come questa ennesima offensiva sulla striscia di Gaza, scelte che chiaramente si riveleranno a lungo termine suicide, come lui stesso dice: semindando odio si raccoglie odio, e questa è una grande verità; D’Orsi invece non giustifica quello che sta accadendo, ne riporta sgomento la tragicità e anche lui è d’accordo sull’approdo suicida a cui alla fine giungerà questo comportamento, ma in fondo non se lo sa spiegare. Dunque la più importante domanda, come sempre, resta apparentemente senza una risposta (o almeno senza una risposta razionale): perchè? Perchè questo voler perpetrare la guerra ad ogni costo, anche se è politicamente controproducente? Non ci sono molte possibilità: o gli Israeliani sono masochisti, sciocchi e forse pure, come ha suggerito Colombo, soli e terrorizzati; oppure qualche spiegazione ci deve essere, qualche guadagno, non politico, deve spingere il primo ministro Olmert e chi è al potere a perpetuare un continuo stato di Guerra e di tensione (e qui, a mio parere, il discorso sull’imminenza delle elezioni e quindi la ricerca del consenso elettorale non spiega per nulla l’attuale attacco e tanto meno la continua politica della tensione e dello scontro seguita da Israele). Insomma, deve esistere qualche "seria" ragione per la quale, come scrive Pardi, Israele ha prima screditato e aiutato la dipartita dell’"interlocutore moderato", facilitando la nascita del potere di Hamas, e ora si sente autorizzato a combattere una guerra di annientamento contro quest’ultimo, falciando la vita di centinaia (e purtroppo presto migliaia) di Palestinesi. E in effetti almeno un indirizzo su quale sia la risposta a questo assillante perchè in verità l’abbiamo. Ed è proprio questo il tassello che volevo ricordare e aggiungere al quadro disegnato dai tanti interventi sulla questione: il fatto che Israele ha negli ultimi hanni reindirizzato buona parte della sua economia verso il settore "sicurezza e guerra", ovvero sulla produzione di tecnologie di controllo, di contenimento, di risposta al terrorismo e sulla produzione di armi di vario tipo, arrivando ad essere la quarta nazione al mondo nell’esportazione di armi (davanti persino all’Inghilterra). Questo processo di settorizzazione della sua economia produttiva su prodotti come quelli sopra elencati è iniziato intorno all’anno 2000, dopo lo scoppio della bolla delle dot.com, che colpì pesantemente l’economia di Israele, incentrata com’era fino ad allora sulla produzione di articoli ad alta tecnologia. La conseguenza della natura bellica del sistema produttivo attuale di Israele è che, mentre prima la guerra e la crisi destabilizzava la sua economia, ora invece la accresce: attacchi terroristici, bombardamenti e anche semplici tensioni (basta l’odore del sangue, per intenderci) portano gli indici di borsa delle sue aziende a salire e così il Pil del paese. Lungi dal dire che questo è un perchè diretto dell’attacco a Gaza attuale, come di un qualsiasi altro attacco, resta ugualmente molto significativo, perchè dipinge uno scenario inquietante e potente, che non può passare sotto svista: quello di un paese che, per dirlo con le parole di Naomi Klein (nel cui libro Shock Economy – al capitolo 21: "Perdere l’incentivo alla pace." – questo fenomeno è ampiamente spiegato e documentato), <<ha imparato a trasformare una guerra infinita in una fonte di reddito, presentando lo sradicamento, l’occupazione e la segregazione del popolo palestinese come un anticipo di mezzo secolo della "guerra globale al terrorismo">>. Consiglio dunque a chiunque sia interessato di leggersi l’ottimo libro-inchiesta della Klein sul capitalismo dei disastri, e soprattutto, per capire la situazione attuale del conflitto Israelo-Palestinese, il capitolo 21. Il link che segue è un suo articolo tratto dal sito dell’osservatorio euromediterraneo e del mar nero, in cui parla proprio di questo scenario, seppure in modo meno dettagliato che in Shock Economy (quando ha scritto questo articolo stava finendo il libro): http://www.mediterraneomarnero.it/joomla/index.php?option=com_content&task=view&id=382&Itemid=20.
Cordiali saluti,
Nicola Quadri
(8 gennaio 2009)
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