Pierfranco Pellizzetti: Le mie perplessità

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Caro Paolo, il tuo editoriale segue un tragitto che riesco a percorrere solo per il tratto iniziale. Del resto tale concordanza di partenza era più che prevedibile: quante volte abbiamo convenuto sia sulla premessa “a monte” (l’inarrestabile degrado etico, prima ancora che politico, del personale dirigente come dei quadri della Sinistra organizzata) sia su quella “a valle” (l’ambiguità del PD nascente e l’autolesionismo della linea tattica di Valter Veltroni)? Così come prevedevo la successiva discordanza (l’idea di una lista civica di persone per bene, in campo alle prossime elezioni europee): quante volte ti ho manifestato le mie perplessità per soluzioni di pronto intervento che giudico dettate più da reazioni psicologiche che non da analisi logiche?
Comprendo e condivido l’insofferenza per una situazione a dir poco inaccettabile (il consolidarsi di un’egemonia berlusconiana sub specie aeternitatis); dubito della possibilità di una fuoriuscita da tale trappola con atti di speranzosa volontà, che ignorino le condizioni fortemente avverse quanto “oggettive” in cui ci troviamo. Insomma, la ricerca di una velocizzazione vagamente futurista. E Filippo Tommaso Marinetti non è il mio politologo preferito.
Diciamolo francamente: l’ascesa della banda assemblata da Berlusconi (piduisti, fascisti reo confessi, avvinazzati delle valli e personaggi limitrofi alla malavita organizzata, con il codazzo di spudorati yes-man di variegata provenienza) non è un semplice colpo di mano. È il terribile effetto della catastrofe di un Paese. Si parla tanto di Fascismo, ma la banda assemblata da Benito Mussolini si limitò a raccattare i pezzi di quello stesso Paese che già allora aveva esaurito i propri anticorpi civili e democratici. Il Fascismo di allora, quello delle “battaglie del grano” e delle invettive contro le società pluto-demo-masso-giudaiche, godette di un consenso di massa effettivo; altrettanto l’attuale “peronismo soft” al potere. Perché entrambi risultarono e risultano “autobiografia della Nazione”. Lo specchio veridico di un Paese profondo. E abbastanza ributtante.
Allora come ora che cosa può ragionevolmente cercare di fare un manipolo di uomini e donne di buona volontà? Al massimo scrivere riviste più o meno clandestine all’insegna del “Non Mollare”, organizzare punti di riferimento, testimoniare… In attesa di tempi e condizioni più favorevoli.
Ciò detto, passo a chiosare la tua proposta:

1. Parli del Partito Democratico come di un soggetto ormai consolidato. E se invece fosse condannato a implodere in breve tempo? Magari già prima delle elezioni europee? A me pare che le spinte centrifughe vadano aprendo strappi non ricucibili tra i democratic-boys veltroniani, i socialisti di D’Alema (detto “Massimo il RED”) e i prodiani, in fibrillazione anche loro per il varo di liste autonome. Una situazione che potrebbe determinare la caduta del segretario nel giro di pochi mesi. Se ciò avviene, che si fa? Si perde tempo nella manfrina di riaprire il dialogo con i frammenti recuperabili? Certo, Ignazio Marino o lo stesso Furio Colombo sono geneticamente diversi dai lemuri e gattemorte con cui oggi condividono la militanza. Che tipo di rapporto si terrebbe qualora fossero a spasso dopo frequentazioni così disdicevoli? In ogni caso un repechage contraddirebbe il senso della tua proposta.

2. Ammetti che i minacciati dall’iniziativa (nel caso, più la nomenklatura PD che Berlusconi) non sono il massimo del fair-play. Ho l’impressione che le contromisure non si ridurrebbero all’azzeramento mediatico. Già si intuiscono alterazioni nelle regole del gioco ancora più velenose dell’abolizione del voto preferenziale e lo sbarramento al 4%. Infatti corre voce di un altro sbarramento, quello delle percentuali elettorali al di sotto delle quali non si ha diritto al rimborso delle spese elettorali. Raddoppiato dall’1 al 2%. Soglia che eliminerebbe di colpo tanto i Verdi come Comunisti Italiani (non ce li vedo Diliberto e Francescato vendersi all’incanto collezioni di libri antichi e gioielli di famiglia per tacitare i creditori della campagna elettorale). Qualora ti seguissimo dovremmo intestare ad amici compiacenti quel poco o quel tanto che costituisce il nostro patrimonio personale.

3. L’interlocutore privilegiato dell’ipotetica lista dei perbene dovrebbe essere Antonio Di Pietro. Non tutti condividono le aperture nei suoi confronti, considerandolo uno dei maggiori miracolati della stagione di Tangentopoli. Uno straordinario tribuno, la cui principale attitudine è quella di posizionarsi per trarre il massimo vantaggio in termini di auto-promozione. Insomma, come si poteva dire per Garibaldi e Pannella, un avventuriero che qualche volta è stato dalla parte giusta. Ma una vicinanza assai ingombrante e tale da oscurare presenze altrui: per dire, qualcuno sente un retrogusto alla Pancho Pardi nel bouqet dell’Italia dei Valori? La solita storia dell’allodola nel pasticcio di cavallo, l’effetto di una goccia di angostura in una tanica di beverone (lo stesso è capitato ai Marino o ai Colombo nel PD). Aggiungo: sempre a mio giudizio, l’emorragia a sinistra che IdV poteva intercettare si è arrestata. Il resto dei migranti sull‘Aventino passati o futuri, cui la lista PFdA dovrebbe rivolgersi, reclama un discorso “a sinistra”. Non solo legalità (tema presidiato da Di Pietro) ma anche equità, un’idea di società giusta che non risuona nelle corde dell’ex magistrato legge-e-ordine. La cui prossimità elettorale si rivelerebbe il più classico degli abbracci mortali.

4. Mettiamo – comunque – di riuscire a raccogliere un 4% di suffragi (sottraendoli – al tempo – un po’ a Di Pietro, molto al “turati il naso e vota Veltroni o chi per lui”) e – così – mandare qualche amico “bricoleur della politica” a Strasburgo. Per che cosa? Rivivere la vicenda kafkiana di Giulietto Chiesa, eurodeputato dell’asse onirico Ochetto-Di Pietro, naufragato nell’insignificanza? “Dare vita a un primo nucleo di un qualcosa che non si vorrebbe effimero”, potresti rispondermi. Ma allora è questo il problema: come evitare che l’iniziativa si tramuti nell’ennesimo fuoco di paglia. Dunque, rispondere a quattro questioni: 1) il patrimonio di idee condivise declinate in progetto; 2) il modello organizzativo (che non può essere quello di piazzare qualche uovo di cuculo nel nido delle solite formazioni partitiche); 3) il target cui rivolgere la proposta (non facciamoci ingannare dai capelli grigi o dai giovanissimi che rispondono agli appelli di Micromega: sono un prezioso inizio per un movimento d’opinione, non la quantità necessaria per conquistare il ruolo di attore politico diretto); 4) la strategia tempificata.
Ciò detto mi immagino la tua insoddisfazione. Ma gli amici si dividono in fedeli e fidati. I primi esprimono quanto ti vorresti sentir dire, gli altri ciò che pensano. E io appartengo a questa seconda schiera.
Ma sono anche molto interessato al dibattito che hai aperto sul sito della rivista. Da cui spero emergano quelle intuizioni innovative che ci servono dannatamente. In particolare, l’idea di una politica che trovi canali di scorrimento meno inquinati di quelli presidiati dalle formazioni sul terreno. Una politica a dimensione del XXI secolo, non il sogno di un’antica Grande Politica ormai irrimediabilmente estinta.
Il dibattito è aperto.
Pierfranco Pellizzetti


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(06 ottobre 2008)



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