Piga: “Il Def? Una svolta coraggiosa, ma non basta. Ecco perché”

Giacomo Russo Spena

intervista a Gustavo Piga

“Il governo è arrivato tardissimo con la nota di aggiornamento, è stata una scelta sciagurata”. L’economista Gustavo Piga, ordinario di Economia Politica all’università di Tor Vergata, critica l’esecutivo soprattutto per i tempi, non tanto per lo scontro in atto con l’Europa che invece ritiene giusto e doveroso: “Il M5S e la Lega mi stanno stupendo per il coraggio, il fatto che un governo abbia liberato 70 miliardi di risorse dal Fiscal Compact è un passo gigantesco ma se avessero attuato la manovra quattro mesi prima si evitava adesso lo spauracchio dello spread”.

Professore, lei a maggio ha fatto parte del team di cinque esperti che ha comparato i programmi dei tre principali partiti italiani su incarico di Luigi Di Maio sostenendo che era possibile un dialogo con la Lega, a partire dal tema della rottura con Bruxelles. Insomma, tutto come previsto?

Beh, no. In questi mesi sono stato critico con l’attuale esecutivo, avrò scritto migliaia di tweet sostenendo che alla fine il governo si sarebbe piegato al solito Fiscal Compact, come i precedenti esecutivi. Sono, invece, rimasto letteralmente sbalordito quando ho letto la nota di aggiornamento del DEF, col deficit nel prossimo triennio che inizialmente era del 2,4 – 2,4 – 2,4 e poi è diventato dopo le pressioni dell’Europa del 2,4 – 2,1 – 1,8. È sceso nel 2021 ma comunque assolutamente in controtendenza rispetto ai requisiti sostanziali del Fiscal Compact che impone il pareggio di bilancio. Il governo ha fatto un atto, a mio avviso, di coraggio estremo.

Ora siamo a rischio rottura con l’Europa…

Innanzitutto prendiamo atto di ciò che era stato detto in passato a mo’ di spauracchio e che invece non si è avverato: questo governo non vuole abbandonare la moneta unica. Crede nel ruolo dell’euro per rafforzare l’Europa e non per indebolirla.

È innegabile che ci sia un braccio di ferro, o no?

Mi sembra più un braccio di ferro senza spinaci, almeno da una parte. L’Europa non ha più muscoli e lo sta mostrando. È debole per due motivi di fondo: innanzitutto Merkel ha problemi interni di stabilità e ciò le impedisce di concentrarsi sul resto quanto vorrebbe; in secondo luogo l’Europa è distratta dal momento elettorale, l’ascesa delle forze sovraniste e populiste preoccupa molto la Commissione che preferisce rimanere cauta. L’ha fatto anche con Macron che ha stabilito di alzare il deficit. Seppur va specificato che la manovra francese sia meno coraggiosa della nostra. Quella di Macron è una manovra di un solo anno che termina successivamente col riconfermare i parametri del Fiscal Compact. Ma la vera partita non si gioca nel 2019 ma negli anni successivi tanto che io stesso ero curioso di sapere il deficit della manovra italiana nel 2020 e nel 2021. È lì che il governo Conte ha attuato un cambiamento fattuale rispetto al passato. Se nel triennio le imprese vedono una convergenza dal 2 allo 0, si aspettano immediatamente l’aumento dell’IVA e della pressione fiscale oltre a prevedere tagli alla spesa pubblica. E quando l’impresa è incerta sulle scelte del governo, sul medio e lungo termine, tende a non investire. La scelta invece di confermare il 2,4 di deficit nel 2020 e l’1,8 nel 2021 può portare investimenti e possibilità di crescita economica.

Intanto però lo spread è sopra i 300 punti, si sta giocando col fuoco?

La situazione è critica perché l’abolizione del Fiscal Compact è una mossa necessaria ma non sufficiente. Sono tre le condizioni a contorno per far diventare l’abolizione del Fiscal Compact, nella sostanza se non nella forma, la mossa vincente per il Paese e per riprendere un processo di crescita. Uno: servono investimenti pubblici. È l’unica forma con cui si può andare in deficit rassicurando i mercati. Due: è necessaria una nuova spending review. Ben diversa dai tagli alla spesa pubblica dei precedenti governi Renzi, Letta e Monti, ma una decisione strategica per dimostrare che spendiamo di più ma spendiamo bene. Infine, tre: se si vuole trattare con l’Europa si deve andare a Bruxelles e dialogarci. Invece qui siamo alla guerra tramite dichiarazioni e comunicati stampa. Così si scopre soltanto il fianco allo spread.

Siamo arrivati al paradosso che la destra populista vuole rompere i parametri di austerità di Maastricht e la sinistra, ovvero il Pd, fa opposizione in nome del pareggio di bilancio e dei mercati. Siamo al ribaltamento delle posizioni classiche di destra e sinistra. Non lo trova surreale?

Non è una questione soltanto italiana, questa ridefinizione è benvenuta perché è il mondo ad essere cambiato. Mi spiego meglio. In tutto l’Occidente stiamo assistendo ad una ridefinizione della rappresentanza democratica legata al tema per eccellenza, ovvero l’impatto della globalizzazione. Laddove la globalizzazione non ha generato crisi economica, vedi la Cina, non esistono fratture, dove ha portato impoverimento – pensiamo ai tassi sulla diseguaglianza in Europa – assistiamo alla protesta. Non ci muoviamo più nella griglia sinistra-destra ma in un’ottica di un nuovo dualismo: sovranismo vs globalismo. E in questo l’Italia di Conte o l’Usa di Trump differiscono poco.

Non è preoccupato del fervente nazionalismo che cova questo governo?

Sinceramente non riscontro questo allarme xenofobia nel Paese. Rispetto ad altre nazioni mi sembra che in Italia questa esigenza di sovranità sia ricondotta all’interno di un alveo democratico abbastanza certo e che, per questo, l’esperimento italiano sia da considerarsi interessante. Strapieno di errori, di ingenuità, di scelte non necessariamente condivisibili ma sicuramente interessante.

Passiamo alla manovra economica del governo. Mi ha già detto che vede un’inversione di tendenza rispetto al passato, ha quindi un giudizio positivo?

Più che un giudizio, parlerei di speranza perché la legge di bilancio deve ancora arrivare e l’Europa – dopo essere stata sconfitta dai numeri del DEF – concentrerà l’attenzione sul come verranno investiti i 70 miliardi a disposizione.
Come accennavo prima auspico un piano di investimenti pubblici e una spending review sensata. Il governo, invece, si sta concentrando principalmente sui trasferimenti – reddito di cittadinanza e pensioni – evitando interventi strutturali che migliorino la produttività delle nostre imprese e aumenti la domanda alle stesse. E ciò non è un bene.

Sono previsti 10 miliardi di euro per il reddito di cittadinanza tanto promesso dal M5S. Non crede sarà un provvedimento che abolirà la povertà come annunciato da Di Maio?

Mi pare una boutade propagandistica. Non credo elimini la povertà e trovo il provvedimento sbagliato per due motivi. Gli investimenti pubblici fanno lo stesso ma meglio: sono un moltiplicatore di ricchezza e un’azione di politica economica che migliora la situazione delle imprese e del Mezzogiorno. Inoltre il reddito di cittadinanza ha senso soltanto se si mette il lavoro al centro del dibattito del Paese. Io, insieme ad altri economisti, proponemmo nel 2011 e nel 2012 a Monti, Letta e Napolitano misure urgenti per contrastare la disoccupazione giovanile che stava esplodendo e nessuno ci ascoltò. All’epoca parlammo di 10 miliardi per contratti temporanei, non rinnovabili, per due anni, per tutti i giovani italiani che vanno per mille euro al mese netti a lavorare dentro la pubblica amministrazione perché, in realtà – a differenza di quanto si pensi – la nostra amministrazione pubblica è carente di personale (a causa dell’austerità) rispetto ad altri Paesi europei. E i nostri dipendenti, a causa del turn over bloccato, sono anche anziani. Abbiamo una pubblica amministrazione stravecchia. Allora sarebbe stato utilissimo usare quei 10 miliardi per immettere risorse giovani lì dentro, altro che reddito di cittadinanza. Sono poche le risorse a disposizione, e quei soldi vanno spesi bene.
(10 ottobre 2018)





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