Pio XII, laicità assente e scheletri negli armadi

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di Michele Martelli

«Sulla beatificazione di Pio XII decide la Chiesa»: lo ha detto con tono perentorio il cardinale Tarcisio Bertone. Ma è davvero soltanto una decisione interna alla Chiesa? O la questione è più complessa? Intanto, forse sarebbe stato meglio precisare che a decidere non è la Chiesa genericamente intesa, ma le sue alte gerarchie che governano anche la Città del Vaticano, di cui il cardinale Bertone è segretario di Stato (carica tecnicamente equivalente a quella del primo ministro italiano).
La precisazione non è peregrina.
Chi si oppone infatti a Pio XII santo? Lo Stato d’Israele e molti rabbini e comunità ebraiche. E per un motivo noto: l’abnormità ponziopilatesca di Pio XII sull’antisemitismo nazista e sulla Shoah. La commissione vaticana istituita da Benedetto XVI per studiare e riferire sull’operato di papa Pacelli sostiene invece che si sia trattato di un’oculata scelta di prudenza politica per aiutare i perseguitati. Nella settima sala del museo storico Yad Vashem, nella “galleria degli ingiusti”, a Gerusalemme, c’è un pannello in cui sotto la foto di Pio XII si legge una didascalia, ritenuta offensiva dal Vaticano, che condanna il papa per il suo «silenzio» e «assenza di linee guida» nella denuncia della Shoah. Il processo per la beatificazione di papa Pacelli è quindi al centro di un complicato intreccio di questioni, religiose e politiche insieme.
Con reciproche e simmetriche ingerenze.
Il Vaticano e le gerarchie cattoliche respingono l’indebita intromissione dell’ebraismo e del governo israeliano (di cui si è fatto portavoce il ministro Herzog) nella causa di beatificazione di Pio XII. Ma Israele e l’ebraismo respingono a loro volta l’intromissione del Vaticano e delle gerarchie cattoliche, che chiedono la rimozione della foto con didascalia di Pio XII dal museo Yad Vashem. Sulla lista dei “giusti” e degli “ingiusti” in relazione alla Shoah, sono loro a decidere sovranamente.
In tutta la vicenda, la grande assente è la laicità, il principio di separazione tra Chiesa, o religioni, e Stato. Israele è uno Stato laico, con una società civile pluralista e multireligiosa (ebrei, musulmani, cristiani, non credenti), o uno “Stato ebreo”? Se è laico, perché assume il punto di vista ebraico dello Yad Vashem? D’altra parte, Pio XII non è stato solo papa, ma papa-re (come oggi Benedetto XVI), capo della Chiesa cattolica e monarca dello Stato vaticano. Se fosse stato solo papa, dedito alla predicazione religiosa e morale, probabilmente non sarebbe andato a finire in effigie allo Yad Vashem. Privo di preoccupazioni mondane, estraneo al potere e ai compromessi politici, non gli sarebbe forse mancato il coraggio di denunciare con forza gli orrori del nazifascismo. Ma era papa e re, con uno Stato/Chiesa legato al nazifascismo da Concordati (del 1929 con Mussolini, e del 1933 con Hitler), quindi fortemente condizionato da logiche di potere.
La santificazione di un papa è faccenda interna alla Chiesa. Del resto, già in vita il papa, Christi Vicarius, è chiamato Sua Santità. Nessuna meraviglia che sia santificato anche dopo la morte. Ma come distinguere il papa dal re, l’uomo religioso dal politico? Impossibile. Non si può essere santo nel privato, e il contrario nella sfera pubblica. Tanto è vero che la commissione vaticana difende sia l’alto magistero spirituale di Pio XII, sia il suo operato pubblico, politico. Ma la politica appartiene al mondo, e al giudizio del mondo è soggetta. Perché Benedetto XVI non apre gli archivi vaticani agli studiosi di tutto il mondo? Ma subito, non tra sei o sette anni, o alle calende greche. E integralmente, senza nulla occultare. Così, seppure nell’inevitabile conflitto delle interpretazioni, la verità storica su Pio XII potrebbe faticosamente emergere.
A meno che non ci siano “scheletri negli armadi”.

(10 novembre 2008)



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