Polonia, perché vincono i nazionalisti

Daniele Stasi

70 milioni di zloty, poco meno di 65 milioni di euro: questa la spesa per stampare le schede elettorali delle elezioni, che non si sono tenute, a maggio. Tutto da rifare, vista la presenza di nuovi candidati a giugno. Le proposte di alcuni membri dell’alleanza Zjednoczona Prawica (Destra Unita) di rinviare le elezioni presidenziali a causa del propagarsi del coronavirus oppure introdurre una modifica di rango costituzionale per cui era posticipata la scadenza del mandato al presidente della repubblica di un anno, a patto che non si fosse candidato nelle successive elezioni, avevano incontrato la resistenza di Jaroslaw Kaczynski, il leader di “Diritto e Giustizia” e il vero capo della coalizione nazional-populista al governo in Polonia.
Visto i rischi connessi alla pandemia, Kaczynski aveva proposto di svolgere le elezioni a maggio per via postale: ogni cittadino polacco avrebbe ricevuto la scheda elettorale a casa e affidato al postino – oppure avrebbe dovuto inviare per posta – la scheda con il suo voto. Le critiche da parte di autorevoli membri del governo circa il rischio di possibili manipolazioni della procedura elettorale, hanno costretto Kaczynski ad acconsentire a rimandare le elezioni a giugno.

Le elezioni presidenziali si sono tenute in un clima d’incertezza, non solo per l’espandersi del virus, ma anche rispetto a un risultato elettorale che se avesse premiato gli oppositori ai nazional-populisti, la Koalicja Obywatelska (Coalizione civica), sarebbe potuto essere, secondo alcuni osservatori, sovvertito da probabili ricorsi a una magistratura quasi sotto il controllo del governo o, semplicemente, per mezzo di brogli.
Gli all’incirca undici milioni di elettori che hanno sancito la vittoria di Andrzej Duda – oltre a confermare un trend elettorale in Polonia oramai ultradecennale, che vede la polarizzazione delle forze politiche intorno ai nazionalisti, da una parte, e i liberal-conservatori dall’altra – costituiscono per le élite al potere l’esortazione a continuare sulla strada delle riforme in senso autoritario volute da Kaczynski e volte a ridisegnare, non solo la Costituzione polacca, ma complessivamente, con l’aiuto di Orban e altri sostenitori della “democrazia nazionale” o “antiliberale”, l’equilibrio politico dell’Unione Europea, considerata dai nazional-populisti un’istituzione sovranazionale di cui servirsi esclusivamente per ottenere ingenti aiuti economici e contare maggiormente sul piano internazionale.

Le ragioni della vittoria elettorale di Duda al secondo turno sono almeno tre: la completa manipolazione dei media pubblici; le politiche di ridistribuzione a pioggia delle risorse dello Stato; la straordinaria mobilitazione dei maggiorenti del partito di “Diritto e Giustizia” nel secondo turno della campagna elettorale.

Nelle ultime settimane, le televisioni di Stato hanno dato risalto, nel corso dei notiziari e in ogni programma d’informazione o intrattenimento, ai temi caratterizzanti l’agenda politica dei nazionalisti: dall’aborto al ruolo della religione nelle scuole; dalla storia del XX secolo che ha visto la Polonia vittima degli interessi delle potenze straniere ai pericoli concernenti la diffusione di nuove epidemie attraverso l’apertura indiscriminata delle frontiere agli immigrati.

Negli ultimi due giorni di campagna elettorale, il telegiornale più seguito della televisione nazionale, soprattutto dalle fasce più anziane della popolazione, apriva con servizi sulla campagna elettorale del presidente in carica che duravano all’incirca dieci minuti per poi passare a dare notizia dei gravi disagi di viabilità o dell’inefficienza di alcuni servizi nella capitale polacca il cui sindaco è Rafał Trzaszkowski, lo sfidante di Duda. Gli appelli degli ultimi superstiti dell’insurrezione di Varsavia della fine della Seconda guerra mondiale oppure della Resistenza polacca in favore di Duda chiudevano di solito la rubrica giornaliera di notizie.

A queste manifestazioni propagandistiche, degne per molti versi di un bollettino d’informazione della Repubblica Democratica di Corea, è stata aggiunta la continua diffusione di statistiche che si riferiscono alle politiche a sfondo sociale confezionate dal governo, tra cui l’aumento significativo delle pensioni per gli anziani e l’introduzione della “tredicesima”, di cui ha beneficiato quello che si può definire “lo zoccolo duro” dell’elettorato nazionalista: il popolo delle campagne, della parte orientale della Polonia, prevalentemente anziano e con una bassa scolarizzazione.

La settimana scorsa, a differenza dei leader delle forze politiche contrarie ai nazional-populisti, il premier Morawiecki e molti esponenti della destra al governo hanno battuto le strade della Polonia in lungo e in largo e, oltre a stringere mani, tagliare nastri e dispensare sorrisi e promesse, hanno cooptato nelle file di “Diritto e Giustizia” molti dirigenti locali di formazioni minori, funzionari impegnati nei vari gangli dell’amministrazione periferica, grandi e medi lettori locali. Se il candidato liberale Trzaszkowski, sostenuto da alcuni suoi ex concorrenti al primo turno – tra cui il candidato unico della sinistra Robert Biedron, che è riuscito a raggiungere poco di più del 2% dei consensi – ha proposto un progetto di nuova “unità nazionale”, in grado di superare le divisioni del passato, la destra nazionalista ha posto l’accento sugli slogan di sempre: dalla rappresentazione del nemico alle porte ai complotti internazionali contro la Polonia; dalla difesa dell’identità dei polacchi alla sottomissione dell’Unione Europea agli interessi della Germania.

La campagna elettorale presidenziale del 2020 sarà ricordata probabilmente per l’atteggiamento di aperto scetticismo delle élite nazionaliste nei confronti dell’Unione Europea e di quella che, in generale, può essere definita cultura occidentale. Nel corso delle precedenti campagne elettorali, tale atteggiamento era celato o ridotto semplicemente a una presa di distanza simbolica dall’Unione Europea, ad esempio mediante l’esposizione negli uffici pubblici, tra cui il palazzo presidenziale, esclusivamente delle bandiere polacche accanto non più affiancate da quelle con le dodici stelle dorate su sfondo blu.

Le élite nazionaliste non nascondono la loro insofferenza rispetto a quello che è spregiativamente definito “linguaggio politicamente corretto”, in realtà l’universalismo dei diritti, “d’importazione occidentale” che distorcerebbe i “valori della polonesità” a favore di modi di pensare estranei alla cultura e alla mentalità dei polacchi. Il rifiuto del politicamente corretto, in nome dell’autenticità e della difesa dell’identità nazionale contro ogni ipocrisia dietro cui si cela l’interesse straniero, ha rotto gli argini nel discorso pubblico a difesa da manifestazioni di xenofobia, di misoginia e antisemitismo sempre più diffuse sulla scena politica nazionale e sulla rete. Per le élite nazionaliste, il politicamente corretto costituirebbe la cifra dello snaturarsi della cultura nazionale a favore di punti di vista incompatibili con l’esaltazione dell’identità polacca i cui capisaldi sono: la difesa della famiglia tradizionale, l’adesione a un cattolicesimo patriottico e antimoderno, la lotta ai movimenti per i diritti degli omosessuali e la caccia al nemico interno definito secondo il curioso costrutto linguistico “liberal-massonico-comunista”.

La libertà di espressione, a fondamento dell’universalismo dei diritti, è tuttavia rivendicata dalle élite nazionaliste nei confronti della stampa internazionale e il mondo occidentale che vorrebbero impedire ai polacchi di esprimere in maniera autonoma e all’interno dei propri confini la “loro sovranità culturale e politica”.


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L’autentica libertà, in accordo con la tradizione nazionalista in Polonia, è quella della nazione e ha a che fare soltanto in via indiretta con i diritti soggettivi. Al singolo non rimarrebbe che aderire alla morale nazionalista oppure essere considerato un “antipolacco” e un “un servo dei tedeschi o delle cariatidi di Bruxelles”. Si potrebbe dire, in questo senso, che la “libertà di discriminare” nell’interesse della nazione non può essere limitata da un astratto liberalismo d’importazione straniera.

Un liberalismo, tuttavia, cui le élite opportunisticamente fanno ricorso ogni volta che viene criticato il loro diritto di tutelare la cultura nazionale, definire il nemico e non ammettere il riconoscimento di alcuni diritti inconciliabili con la volontà del popolo polacco e il suo legittimo interprete: il partito al potere.

Colpiscono, a questo proposito, le parole pronunciate solennemente dalla giovane figlia del presidente in carica durante i festeggiamenti per l’elezione del padre: “Ognuno deve rispettare le opinioni degli altri”, una boutade che appare essere qualcosa di diverso da un’ingegnosa trovata di marketing politico e che denuncia la dissonanza culturale delle classi dirigenti nazionaliste rispetto ai principi della liberal-democrazia su cui, dopo il 1989, è stato costruito, tra diversi tentennamenti e ritardi, quel progetto comunitario che ha contraddistinto il periodo di maggiore armonia e crescita nella storia di questo Paese nell’età contemporanea.

(16 luglio 2020)




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