Primavera o inverno arabo?

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C’è un termine ricorrente, quasi magico, che riempie i giornali e la bocca dei tanti imbonitori televisivi sempre alla ricerca di novità come fossero nuovi prodotti da consumare. E’ la primavera araba – in realtà, sbocciata nell’autunno-inverrno del 2010-2011 – che sembra influenzare tutto ciò che sa di movimentismo giovanile, e non solo. Siamo però sicuri che tutto ciò che vi ruota intorno sia il frutto di una spontanea voglia di affermazione delle giovani generazioni nord africane?
Far della dietrologia è diventata pratica diffusa e, quindi, non aggiungo niente di nuovo se affermo che qualche dubbio sulla vera natura di quei fermenti mi assalga.

In effetti, che vi siano ragioni di scontento, lì come altrove, non può costituire motivo di sorpresa. Un’umanità ormai preda di una crisi d’identità come forse mai era accaduto prima, è un fatto accertato. Il risveglio dello spirito religioso in certe aree, specie dove le religioni si prestano ad essere interpretate in chiave estremistica, è un sintomo evidente di perdita di punti di riferimento ideologici. Il fatto è che le chiese o le moschee non danno pane.

I giovani tunisini, come quelli egiziani, è questo ciò che percepiscono ed in un mondo che fa apparire possibile la conquista di beni di ogni genere, accendendo desideri infiniti, è logico che esso muova all’azione coloro, i giovani, appunto, che maggiormente percepiscono certi richiami.
Non è un caso che il computer e la rete, così come il cellulare, siano gli strumenti utilizzati per coordinare i propri movimenti in una sorta di presa di coscienza "tecnologica".

I risultati effettivi di questa annunciata primavera però si cominciano a vedere ora, alla prova dei fatti. Le elezioni in Tunisia – ma anche ciò che si annuncia in Egitto ed in Libia – fanno emergere come predominanti le forze più organizzate e diffuse sul territorio, tutte a forte matrice islamica. Sicuramente le meno evolute culturalmente e sul piano dell’emancipazione. Non certo quelle all’avanguardia nei recenti processi "rivoluzionari". Diciamo che, pur stando nelle retrovie, ora raccolgono i frutti.
In particolare in Libia, dove già si proclama uno stato improntato sulla Sharia, la legge islamica del governo.

Non so se è questo il genere di democrazia che le potenze occidentali intendevano esportare, specie in quei paesi dove negli ultimi decenni si era affermato un processo di laicizzazione della società su modelli simili ai nostri.
Ma forse alla laicissima Francia (qui il Chador è vietato per legge) del cinico Sarkozy questo interessa poco, ciò che conta è l’accesso ai pozzi petroliferi ed ad un avamposto tra il Mediterraneo e l’Africa, di nuovo terra di conquista coloniale, per contrastare l’espansione cinese.

E così, i tanti giovani, ed ancor più le giovani (sempre in prima fila)che sin sono esposti in piazza si accorgeranno presto di essere stati beffati, condotti per mano ad una conquista che torna a vantaggio dei soliti noti. Quanti di loro rimpiangeranno il "socialista" Gheddafi (chi conosce la Storia sa che lui come Nasser ed altri furono protagonisti di un’altra primavera araba, quella sì laico-progressista, altri tempi) cui loro, armati dal sistema, hanno bellamente tolto la vita?

Non facciamoci illusione allora, un osservatore serio sa che in quei paesi la pseudo democrazia (sì, quella che produce capi di governo come il nostro, sic!), modello occidentale da esportazione, non potrà mai attecchire.
La mia sembrerà una riflessione amara ma senza dittature quei paesi sono destinati a lotte fratricide infinite, le quali non faranno avanzare di un passo l’emancipazione di quei popoli. Altro che primavera bensì, un lungo inverno o, meglio, inferno prossimo venturo.

Giulio Raffi

(26 ottobre 2011)

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