Procida, l’isola che si ribellò alla Chiesa Cattolica

Girolamo Imbruglia


Giovanni Romeo, L’isola ribelle. Procida nelle tempeste della Controriforma, Laterza, 2020, pp. 160, € 18

A parte l’attività marinara e le vicende della rivoluzione del ’99, la storia di Procida sembra destinata alle cronache erudite di interesse locale. Questo libro, invece, ci mostra che fu una storia di ben altro rilievo. Quella che viene narrata è infatti la storia di una piccola comunità, che a fine ‘600 contava 6500 abitanti, e che dal ‘500 al ‘700 fu percorsa dai processi profondi della società europea che vengono alla luce in modo clamoroso e nitido: è un caso assai particolare che pone questioni generali.

A chi Procida fu ribelle? Non allo stato: fu costante la fedeltà al Viceregno spagnolo e poi alla monarchia borbonica: e quando nel corso della rivoluzione napoletana del 1799 una parte consistente dei procidani si schierò con la Repubblica si vide che nel corso di quei tre secoli la cultura politica isolana si era sviluppata in sintonia con la cultura di Napoli e aveva maturato la medesima ambizione di libertà e giustizia. Procida fu invece ribelle alla Chiesa cattolica, così come questa si era riformata con il concilio di Trento.

Il libro di Romeo ricostruisce la relazione tra Procida e la popolosa arcidiocesi di Napoli e tra queste due realtà e la dinamica della Controriforma. Per questa ragione getta luce su un aspetto essenziale dell’identità moderna, il rapporto tra religione e politica, che risale alla vita religiosa del ‘500, dominata dallo scontro tra riforma protestante e (contro)riforma cattolica.
Diversi furono gli effetti sociali e politici provocati dal protestantesimo e dal cattolicesimo. La Chiesa romana ricostruì con il concilio di Trento il proprio assetto dogmatico e s’impegnò in un’azione pastorale di straordinario vigore per imporre il rispetto dottrinario e rituale del nuovo cattolicesimo. Ricorse all’azione convergente di repressione, con le congregazioni del Sant’Officio e dell’Indice, e di pastoralizzazione, con l’azione degli ordini religiosi, delle gerarchie diocesane e di potenti, nuove congregazioni romane (Concilio, Vescovi e Regolari).
Una larga parte della storiografia ritiene che tale processo di disciplinamento religioso e sociale in Italia si sia imposto dalla fine del ‘500 senza gravi opposizioni. Romeo contesta questa visione e discute numerosi casi di analoghe forti resistenze alle strategie della Controriforma: da Napoli al suo contado, da Milano a Dubrovnik. L’impressione è che il caso di Procida non sia isolato, anche se solo ricerche altrettanto approfondite potranno confermarla.
A Procida la Chiesa non trovò abitanti disposti a ubbidire con animo prono. Lo scontro tra gli isolani e la gerarchia romana si svolse soprattutto su battesimo, matrimonio e morte, i momenti cruciali della vita del singolo e della comunità. Contrastare le direttive ufficiali su quei sacramenti significava incorrere nella scomunica, cioè essere messi al bando religioso e civile, o rischiare gravi umiliazioni pubbliche.
Tuttavia i procidani difesero in modo determinato e sostanzialmente compatto, spesso noncuranti della scomunica, la propria autonoma vita religiosa, fatta di tradizioni in parte remote e pagane, in parte cristiane ma anteriori al concilio. Crearono clamorose istituzioni indipendenti, come il Monte dei marinai, che costruì e gestì una sorta di ‘Chiesa di Stato’, dal cui governo riuscirono a lungo a escludere le autorità diocesane; difesero l’antica consuetudine della convivenza tra fidanzati prima del matrimonio; cercarono di separare il diritto all’assistenza cristiana alla nascita e alla morte dalla sopraffazione ecclesiastica (che ricorse a strumenti orrendi: ai primi del Seicento per alcuni anni i neonati morti prima del battesimo furono abbandonati all’aperto, e i cani ne fecero scempio). Gli arcivescovi napoletani furono intransigenti soprattutto sulla regolamentazione del matrimonio: sul lungo periodo scelsero però di alternare dure repressioni e aperture concilianti, e anche lo strumento inquisitoriale perse di forza a metà ‘600.


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Il conflitto tra la Chiesa e i fedeli terminò nel corso dell’800, quando la prima ebbe il sopravvento. In giuoco non c’era stata la credenza religiosa, ma la volontà dei procidani di opporsi al cattolicesimo tridentino, che giudicarono nuovo e incompatibile con la propria fede. La difesa delle tradizioni locali era stata eccezionale e vana? Direi di no. Dalla rivolta luterana, alla nuova religione cattolica e gesuita, al calvinismo, al giansenismo la religione cristiana fu investita da trasformazioni che non furono soltanto dottrinarie.
Il libro di Romeo ci fa vedere, con una ricca documentazione archivistica e con una chiara comparazione di casi, il senso che questi cambiamenti ebbero nella vita religiosa non soltanto individuale ma comunitaria. L’opposizione alle gerarchie implicò pure l’affermazione di nuove solidarietà orizzontali e la maturazione di nuove identità sia religiose sia civili.
È un bel libro che fa riflettere su come i nuovi assetti della civilizzazione europea si siano imposti pure in Italia attraverso conflitti violenti, nei quali la dinamica religiosa incrociò quella politica. Anche alla conclusione di questa storia di una piccola isola del Mediterraneo c’è la rivoluzione francese con la Costituzione civile del clero e il nuovo, problematico rapporto tra politica e religione che allora nacque: da cui sono poi nati altri conflitti, tuttora insoluti.
(2 luglio 2020)




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