Prodi e Berlusconi, totem e tabù
Tomaso Montanari
«Non è un tabù». Romano Prodi ha ragione: per il centrosinistra, per il Pd, Berlusconi non è un tabù, è un totem. Non è una novità, una conversione sulla via del Quirinale, una rivoluzione: è, finalmente, il coraggio della verità.
Se l’Italia di oggi è così lo si deve al fatto che Berlusconi ha vinto. E non solo perché i governi Prodi e gli altri del Centrosinistra non hanno mai torto un capello al suo monumentale conflitto di interessi: molto più profondamente perché ne hanno introiettato i ‘valori’, la bussola, la visione politica.
Alla fine, è questa la cifra: il potere, il potere personale. Che è più forte delle vistose differenze di vite (l’austero professore bolognese, il magnate-magnaccia milanese), e che permette di dimenticare tutto: P2, mafia, corruzione, evasione fiscale, distruzione del pluralismo informativo… Tutto lavato via, da un sorriso tra questi ragazzi che marciano verso il secolo di vita.
Si potrebbe liquidare tutto con un’alzata di sopracciglio: in fondo, la battuta di Prodi sarà buona solo per un’epigrafe d’apertura al libro che racconterà la sparizione della sinistra in Italia.
Ma io penso invece che sarebbe bello se Prodi ricevesse in queste ore centinaia di migliaia di lettere, che gli ricordino che cosa ha definitivamente sdoganato, con quel «Berlusconi non è un tabu». Ciascuno potrebbe raccontargli anche solo un singolo episodio in cui è venuto in contatto diretto con ciò che Berlusconi ha fatto all’Italia.
Comincio io. Nel marzo 2012 scoprii che una delle biblioteche pubbliche più antiche e importanti di Napoli, quella dei Girolamini, era stata saccheggiata e devastata, fino a farle perdere irreversibilmente i connotati. A saccheggiarla era stato un direttore nominato dal ministro dei Beni Culturali: quel ministro era Giancarlo Galan, che aveva fatto quella nomina su richiesta di Marcello dell’Utri, che era stato il suo capo nella Publitalia di Silvio Berlusconi. Il direttore era il segretario dei circoli di Dell’Utri, e nelle mani di Dell’Utri sono stati trovati i più importanti cimeli che il direttore aveva rubato ai Girolamini. Lo Stato era stato espugnato da un pugno di sordidi avventurieri, poi finiti nelle patrie galere: è questo che, per Prodi, non è più un tabù.
Per aver denunciato tutto questo venni massacrato dal Mattino, diretto allora da un parente di Dell’Utri; e da una giornalista e senatrice forzista, che è anche la moglie di Emilio Fede. E mi venne annunciata una querela presentata dallo studio Previti. Per un attimo mi trovai nel mirino di questo gigantesco cancro: è tutto questo che sdoganiamo, quando diciamo che Berlusconi non è più un tabù.
Quella biblioteca si salvò per la fedeltà di due bibliotecari precari: che lo Stato non è mai stato capace di assumere, e questo lo dobbiamo alla parte di Prodi. Il quale evidentemente ha ragione: Berlusconi per il centrosinistra non è mai stato un tabù. È stato un totem.
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PRODI, IL CAIMANO E IL MIRAGGIO DEL QUIRINALE
, da Il Fatto quotidiano, 10 luglio 2020
Se suoniamo inni alla conversione di Saulo di Tarso, perché prendersela col cattolicissimo Romano Prodi che ha conosciuto la sua folgorazione a Bologna anziché a Damasco?
Peccato che nel suo caso la metànoia prenda per messia il pregiudicato che per i crimini acclarati in via definitiva ha pagato con alcune visite a un istituto per vecchietti, molestati incolpevolmente, e per molti altri, riconosciuti ma prescritti, abbia potuto fare agli italiani il pernacchio di Alberto Sordi ai “lavoratoriiii…”.
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