Quando Benedetto XVI vola…

Michele Martelli



Quando è sull’aereo, e vola alto nel cielo, al di sopra delle nuvole (ma con un aereo dell’Alitalia pagato da noi, un altro otto per mille in altra forma), papa Benedetto XVI si sente forse più vicino alla Verità di Dio di quanto lo sia sulla terraferma. Fa ricordare “l’Occhio di Dio” racchiuso nel triangolo sopra le nubi tipico delle figurine devote diffuse nelle parrocchie. Da lassù, forse crede di vedere tutto e meglio. Perciò parla, e molto. E, sia detto senza irriverenza, spesso a sproposito.

Come quando, in volo per l’Africa, si esibì nel memorabile “discorso del preservativo”: peccato grave usarlo, anche se sei malato di Aids, anche se sai che, se non lo usi, infetti mortalmente la donna e il nascituro. Ecco dove giunge l’ossessione del peccato carnale, che il furioso sessuofobico Agostino insufflò nella Chiesa, e di cui è erede anche Benedetto XVI, peraltro studioso e grande estimatore del santo.
Ma veniamo all’ultimo volo celeste del papa teologo. Quali, questo volta, le sue memorabili sentenze? Due, l’una legata all’altra in un groviglio di contraddizioni.

1) «La Chiesa non è un potere politico, non è un partito ma non rinuncia alla sua missione. La Chiesa sta sempre dalla parte della libertà, libertà di coscienza, di religione. Anche la politica però deve essere una realtà morale ed è in questo che la Chiesa ha fondamentalmente a che fare con la politica. Il primo compito è educare le coscienze sia nell’etica individuale, sia nell’etica pubblica».

“La Chiesa non è un partito, non è un potere politico”? È molto di più. Il suo capo è Benedetto XVI: qualche premuroso giornalista sull’aereo poteva ricordarglielo? Quello stesso Benedetto XVI che è anche il monarca dello Stato Vaticano: perché questa amnesia generale, tutta italiota? Dunque, la missione del papa a Cuba e in Messico, è, e non potrebbe essere diversamente, politica e religiosa al tempo stesso. Va a difendere la libertà religiosa, di coscienza? Ma di chi? In Messico, e a Cuba (almeno, a quanto sembra, dopo la storica visita di Wojtyla), nessuno la mette in dubbio. Ma allora che senso ha rivendicarla recandosi in missione in quei due paesi?

E poi, se la libertà religiosa va difesa, domanda lapalissiana per un laico, credente o non credente che sia, perché non difenderla, o meglio, perché non introdurla anche nello Stato Vaticano, dove c’è una sola religione che è religione di Stato, e tutte le altre sono messe al bando? Perché non guardare, evangelicamente, la trave nel proprio occhio, invece che la pagliuzza nell’occhio altrui? Perché non ricordare in modo coerentemente autocritico, con un pubblico altisonante mea culpa, le centinaia di encicliche papali e di documenti ecclesiastici dal Seicento ad oggi, che hanno condannato la libertà religiosa, anzi la libertà tout court?

Infine, se “anche la politica è realtà morale”, mi sembra chiaro che in democrazia lo è in senso pluralistico: che mille religioni e mille morali fioriscano, purché sia salva la libertà di tutti e di ciascuno. E invece no. La Chiesa di Benedetto possiede la vera morale, la vera etica, sia per la sfera privata del singolo sia per quella pubblica dello Stato. E poiché, secondo la dogmatica cattolica, ciò che è vero lo è in senso assoluto, perché viene da Dio, e ciò che è opposto al vero, il falso, lo è in senso altrettanto assoluto, perché viene da Satana, – tutti, singoli e Stati, se non vogliono deviare, si lascino, docili pecorelle, guidare sulla “retta via” dalla Chiesa e dal papa.

Orsù dunque, Cuba deviante e peccatrice, inginocchiati devota, e bacia l’anello di Benedetto, l’aspirante Gregorio VII o Innocenzo III dell’era globale!

2) «Oggi è un tempo in cui l’ideologia marxista, come concepita, non risponde più alla realtà. Occorre trovare nuovi modelli, con pazienza, in modo costruttivo. Vogliamo aiutare in uno spirito di dialogo, per evitare traumi e per contribuire ad andare verso una società giusta come la desideriamo per tutto il mondo».

Dunque il marxismo prima (quando, dove, quale: quello stalinista, polpottista, maoista, o fidelista?) rispondeva alla realtà. Dunque era vero, corretto, condivisibile? Ma allora perché papi, vescovi e cardinali l’hanno combattuto e anatemizzato, in tutte le forme e in tutte le salse, per oltre 150 anni? Perché, si può rispondere, era ateo, materialista, nemico della Chiesa, della vera religio, della Verità di Dio, e perciò falso.

Ma se era falso anche prima, la frase del papa ha poco senso. E poi, incredibile a dirsi!, quella frase si sposa perfettamente con la teoria della verità professata dalle scuole di partito e dai manuali di Diamat staliniani: «La verità è la corrispondenza delle nostre idee con la realtà esterna», che riproduce e aggiorna in senso scientista e positivista la vecchia aristotelico-tomistica adequatio rei atque intellectus.

Ma Benedetto agostiniano non dovrebbe professare l’opposta teoria del santo di Ippona, per cui in interiore homine habitat veritas? Che cosa c’entra quindi la concezione meccanicistica, aristotelico-tomistico-sovietica della corrispondenza tra idee e realtà? Evitiamo qui una discussione filosofica antiquata, di cui oggi nessuno o pochi sentono il bisogno. Ci basta rilevare la strana (ma non tanto!) analogia tra due dogmatismi opposti e simmetrici: quello del Partito-Stato e quello della Chiesa-Stato.

“Nuovi modelli” alternativi al marxismo? Ma quali? Benedetto conosce un solo modello universalmente valido (ne ha parlato egli stesso in altre occasioni), opposto sia a quello marxista sia a quello liberal-democratico moderno: il modello gelasiano (di papa Gelasio I, V secolo d.C., figuratevi!), che prevede la sottomissione dell’imperium al sacerdotium, dell’imperatore e dei governanti al papa, del potere temporale al potere spirituale, religioso, dello Stato alla Chiesa. Benedetto l’ha tradotto in due formule: a) «l’ingresso di Dio nella sfera pubblica»; b) «agire veluti si Deus daretur, come se Dio ci fosse». In uno Stato, e in un supposto “giusto” ordine politico mondiale confessionale all’ombra del Vaticano, primato e privilegi della Chiesa cattolica sarebbero al sicuro.

È questo l’oggetto del “dialogo” del papa col governo cubano? Lo scalpo che il papa chiede al vecchio e debole ottantenne Fidel? Convèrtiti, figliolo; se lo fai, passerai alla storia come un nuovo piccolo Costantino Magno; io, che siedo sul trono di Pietro, ti assicuro, pregherò san Pietro che ti apra le porte del Paradiso!

(26 marzo 2012)



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