Quando la matematica è un’opinione: Beppe Severgnini, i Romeni e la criminalità
Siamo sicuri che il "marchio geografico" della delinquenza ci aiuti a risolvere i problemi?
di Carlo Gubitosa
Tutto nasce da una lettera a Beppe Severgnini. A scrivere su corriere.it è Claudiu Victor Gheorghiou, che si firma come "artista e storico romeno" gettando sul piatto una domanda molto pesante: "Per parte della gente italiana il problema erano i siciliani l’altro ieri, ieri gli albanesi, oggi i romeni, e domani?".
Severgnini spiega che l’ "atteggiamento sospettoso verso il diverso" non è poi così campato in aria, e nasce anche "per il tipo di reati che commettono" gli stranieri percepiti come "ospiti ingrati".
E qui scatta la trappola dei numeri, un polverone di dati che lascia in bocca al lettore un messaggio molto chiaro: da un po’ di anni a questa parte i romeni sono in cima alla classifica degli stupratori, e quindi si capisce come mai la gente ce l’ha tanto con loro. Per sostenere questa tesi Severgnini mischia dati stimati dall’Istat sulle violenze sessuali con dati statistici del ministero dell’Interno sulle violenze denunciate, e vende il tutto al lettore come se si trattasse di dati sulle violenze sessuali effettivamente commesse.
Una bordata di disinformazione che renderebbe antipatici i romeni perfino a San Francesco d’Assisi: "il 90% dei responsabili [di violenza sessuale] era italiano. – proclama Severgnini -. Oggi quella percentuale è scesa al 60%. Vuol dire che il 40% delle violenze sessuali viene commesso dal 6,5% della popolazione".
Il trucco di questa boutade, oggettiva solo in apparenza, si svela facilmente: il 90% è un valore stimato dall’Istat, il 60% è il valore registrato dal ministero dell’Interno in base alle denunce effettivamente ricevute. Le stime comprendono anche le violenze non denunciate, come quelle compiute in famiglia che sono invisibili al Viminale ma non per chi le subisce.
Se il valore stimato per le violenze "made in Italy" è più alto di quello registrato nelle denunce effettivamente presentate, si può concludere che tra le violenze "sommerse" la stragrande maggioranza sia compiuta da italiani. Con un trucco speculare si potrebbe piegare questa analisi in chiave "antitaliana" dicendo che i violentatori nostrani agiscono nell’ombra e sfuggono alla giustizia meglio di quelli stranieri, ma il gioco sarebbe altrettanto puerile e facilmente smascherabile dopo aver ragionato un po’ sul senso dei numeri.
Questa è solo una delle possibili forme di distorsione delle statistiche, e anche una tra le più evidenti: la manipolazione giornalistica, dove si confrontano le mele con le patate, le stime con le rilevazioni e si costruiscono opinioni soggettive nel lettore presentando dati che sembrano oggettivi, ma solo ad una lettura superficiale.
Tra gli altri fattori da considerare, c’è anche quello demografico.
Provate a fare una statistica in una scuola elementare considerandola rappresentativa della popolazione italiana. Se nella scuola elementare c’è un maestro ogni 10 insegnanti, le "statistiche" costruite lì dentro vi diranno che il 90% degli italiani è disoccupato, non legge la stampa quotidiana, non ha la licenza elementare e vive ancora in famiglia. Un bel quadretto di un popolo nullafacente, ignorante e mammone. Il problema è che in quel gruppo che abbiamo scelto come rappresentativo del popolo italiano c’era un sottogruppo sovrarappresentato, cioè che "pesava" più degli altri nelle rilevazioni statistiche: il gruppo dei bambini dai 5 ai 10 anni.
Lo stesso accade per quanto riguarda il gruppo dei criminali: i ragazzi in genere sono troppo impauriti per delinquere e i vecchi generalmente troppo saggi, e quindi le stime del tasso di criminalità collocano i valori più alti nella fascia d’età che va dai 20 ai 45 anni. In questa fascia d’età gli immigrati sono sovrarappresentati rispetto agli italiani, così come in una scuola elementare troviamo una percentuale di bambini che non rispecchia quella nazionale.
Questa maggiore presenza di migranti nel gruppo dei criminali è dovuta solo a ragioni demografiche, e al fatto che l’Italia a un certo punto ha smesso di fare figli, non certo ad una maggiore tendenza a delinquere da parte di certe popolazioni. Ignari di tutto questo accettiamo delle fotografie sfocate e distorte del rapporto tra criminalità e migrazioni, fidandoci di numeri costruiti male.
Un’altra forma di distorsione è quella politica. Le statistiche criminali come il numero dei denunciati, degli arrestati o dei fermati sono strettamente legate alle "politiche di polizia": se l’attività delle polizie si concentra sugli immigrati sale il numero di immigrati denunciati e arrestati; se si concentra sui mafiosi aumenta il numero di mafiosi denunciati e arrestati.
Le tesi di Severgnini, dall’apparenza documentata e dai contenuti grossolani, sono state contestate con una lettera aperta da un gruppo di giornalisti e operatori sociali collegati alla campagna "Giornalisti Contro Il Razzismo".
Beccato dai colleghi a fare il gioco delle tre carte con i numeri, Severgnini riconosce la differenza tra stime e statistiche ("è vero: in un passaggio ho accostato dati diversi, ho sbagliato e me ne scuso") ma insiste nell’affermare il legame tra la provenienza etnica e la tendenza a delinquere, gettando sul piatto due domande chiave: "secondo voi esiste o non esiste un collegamento tra criminalità e immigrazione? Andrebbe tutto benone, nelle nostre città, se non fosse per i media allarmisti?" Non c’è più bisogno delle statistiche: per collegare un passaporto a un’indole criminale bastano le impressioni.
Un po’ come si è sempre fatto nel corso della storia, mettendo in relazione caratteristiche umane che non c’entrano un fico secco: per Hitler le origini ebraiche erano correlate ad una natura corrotta e malavitosa, e lo stesso ragionamento si applica oggi agli italiani negli Usa, ai ceceni in Russia, ai romeni in Italia. E’ come rilevare il taglio dei capelli di chi fa incidenti stradali e decidere in base ai risultati del rilevamento che la frangetta, i baffi o il pizzetto sono strettamente legati alla tendenza di schiantarsi in curva e ad una guida poco prudente, dovendo concludere che basta andare dal barbiere e cambiare look per diventare degli autisti provetti, o che staremmo molto meglio e le città sarebbero più sicure se i poveracci che sbarcano in Italia fossero greci anzichè romeni.
Quanto ai "media allarmisti" tirati in ballo da Severgnini, nessuno si è mai chiesto nella redazione del "Corriere" che cosa accadrebbe se il dato misurato in relazione ai crimini non fosse quello della nazionalità ma quello del reddito, della scolarizzazione o della residenza?
Io faccio una scommessa: secondo me scopriremmo che i poveri delinquono più dei benestanti, gli analfabeti delinquono più dei dottorini e chi vive nelle periferie e nei quartieri ghetto delinque più di chi sta nei centri storici, INDIPENDENTEMENTE dal passaporto e dalla nazionalità. Ma a quel punto il problema non sarebbe più delinquenziale (e quindi risolvibile con provvedimenti di facciata che puntano il dito contro i cattivi), e resterebbe nudo nella sua natura di problema politico, dove il dito va puntato contro i governanti incapaci di gestire il cambiamento sociale, e dove il conflitto non è tra italiani per bene e stranier
i delinquenti, ma tra i vari furbetti del quartierino che si sono mangiati il paese (magari con passaporto monegasco o sammarinese) e chi resta immerso nella lotta violenta per sopravvivere, spartendosi le briciole e guardando in cagnesco i poveri che ce le contendono.
Per fortuna di "opinioni statistiche" in giro ce ne sono tante e varie, e ognuno può scegliere quella che più gli piace. Come ad esempio l’analisi pubblicata dalla Paris School of Economics, e realizzata da tre ricercatori: Milo Bianchi della PSE, Paolo Buonanno dell’Università di Bergamo e Paolo Pinotti, che lavora nel "servizio studi" della Banca d’Italia.
Partendo dalle stesse informazioni fornite da Severgnini sulle denunce registrate dal ministero dell’Interno, i tre ricercatori incrociano questi dati e ne aggiungono altri sui numeri dei permessi di soggiorno rilasciati nel corso degli anni. Le conclusioni di questo lavoro sono ben diverse da quelle dell’opinionista del "Corriere": Bianchi, Buonanno e Pinotti evidenziano che i permessi di soggiorno negli ultimi anni sono cresciuti drasticamente, e i tassi di criminalità sono rimasti più o meno gli stessi. "L’immigrazione – scrivono – ha inciso solamente sui furti, senza avere effetti su tutti gli altri tipi di reati. Dal momento che i furti rappresentano una percentuale molto piccola di tutti i reati commessi, l’effetto (dell’immigrazione) sul tasso complessivo di criminalità è prossimo allo zero". (Il documento integrale si trova su http://www.pse.ens.fr/document/wp200805.pdf)
Ma allora perchè siamo tutti così inquieti e impauriti quando si parla di romeni? Forse per stare più tranquilli basterebbe gettare il telecomando dalla finestra, o almeno questo è quello che suggerisce tra le righe la ricerca realizzata dal Centro di Ascolto dell’Informazione Radiotelevisiva che ha monitorato la presenza di notizie di cronaca nera, giudiziaria e di criminalità nei telegiornali italiani. (La ricerca è su http://tinyurl.com/cps2cb)
"La tendenza alla drammatizzazione dell’informazione e alla spettacolarizzazione del quotidiano – scrivono all’Osservatorio – si evince non solo dalla frequenza con la quale vengono date notizie relative a crimini violenti, ma anche dalla terminologia utilizzata che trasmette costantemente un’immagine di morte e violenza, quindi una sensazione di insicurezza e pericolo".
I dati fanno riflettere: tra il 2003 ed il 2007 nei telegiornali nazionali è più che raddoppiato il tempo dedicato alle notizie di cronaca nera, cronaca giudiziaria e criminalità organizzata, passando mediamente dal 10% del 2003 al 24% del 2007. Ma allora sono aumentati i crimini o la paura indotta dalla TV?
Ancora una volta si conferma che sulla carta stampata e sul teleschermo perfino la matematica è un’opinione: figuriamoci la statistica. E figuriamoci le statistiche mischiate male e lette peggio dai giornalisti che seguono l’onda dell’allarmismo.
Per contattare gli autori:
carlo@gubi.it – www.giornalismi.info/gubi
mauro.biani@gmail.com – maurobiani.splinder.com
(19 marzo 2009)
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