Quando un padano lecca un caimano
Fin dai tempi più lontani
il campione dei padani
fece e disse gran cazzate,
sempre sottovalutate.
Circondato da una folla
di padan, con un’ampolla
al Monviso prelevò
l’acqua pura del dio Po
per versarla poi nel mare
al suon di celte fanfare.
Invitò tutti i padani
a pulirsi i deretani
col vessillo tricolore.
Fu l’ignobile inventore
del padano parlamento
ed, ancora non contento,
dichiarò con incoscienza
la padana indipendenza.
Vantò che trecentomila
bergamaschi, tutti in fila
ben armati, erano pronti
a calare giù dai monti
per portar la libertà
a chi sotto il giogo sta
dell’odiata Capitale,
Roma, ladra e criminale,
un bubbone purulento
che richiede un intervento:
va fra i pollici schiacciato
e dal marcio liberato.
Disse a un giudice il campione:
“Un proiettile, attenzione,
costa sol trecento lire!”,
coi padani ad applaudire.
Disse ancora: “Puntualmente
i padani, brava gente,
pagano per mantenere
Roma, centro di potere.
Mai spararon fino a adesso,
ma il padano non è fesso
e se, ahimé, nessun l’ascolta
ci sarà una prima volta
per far uso del fucile…”
Ieri a Padova con stile,
arringando i suoi fedeli,
se l’è presa con Mameli
e con l’inno nazionale:
“Schiava della Capitale
la Padania proprio no!”
ed il dito medio alzò,
fra le grida e i battimani
degli ignobili padani.
Questo cervellone enorme
è il campion delle riforme,
l’uomo al qual la nostra guida
la Costituzione affida
per un ammordenamento.
Ci si chiede con sgomento:
“E’ una sindrome febbrile?
E’ imbecillità senile?
E’ eversione, nefandezza?
E’ sgradevole ubriachezza?
Cos’è che gli ha fatto male?”
E’ una cosa più banale:
lecca il culo a Berlusconi
e i padani stanno buoni
solo se ad ogni leccata
Bossi spara una cazzata.
(22 luglio 2008)
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