Quando un prete combatte i pedofili
Ilaria Donatio
Don Fortunato Di Noto quando parla di pedofilia non mantiene la calma, anzi, si infervora e, quando se ne rende conto, chiede scusa. In realtà, lui che è parroco ad Avola, in provincia di Siracusa, ed insegna Storia ecclesiastica all’Università, con la pedofilia ci combatte da sempre: è stato tra i primi in Italia, ventuno anni fa, a darle battaglia, grazie alla sua “passione per il web e le nuove tecnologie” che gli hanno spalancato le porte della pedopornografia.
Da allora, ha fondato la sua associazione, Meter (parola di origine greca che significa ‘accoglienza, grembo’) che si propone di “promuovere nelle realtà ecclesiali e non, la cultura, i diritti e la tutela dell’infanzia”. E che ogni anno, in convenzione con la polizia postale, realizza un report proprio su pedofilia e pedopornografia.
La vicenda dell’arresto di don Domenico Pezzini – che non è un prete qualsiasi ma da sempre impegnato accanto alle persone omosessuali e storico fondatore del gruppo ‘Il Guado’ di Milano – per aver avuto rapporti sessuali con un bambino, all’epoca dei fatti, tredicenne, è troppo recente per non parlarne: a questo proposito, don Fortunato chiarisce subito che di pedofilia si dovrebbe parlare “solo se si conosce a fondo e in termini scientifici la questione”. In caso contrario, si rischia di fare confusione.
“Intanto, per la psichiatria, questa vicenda non rientra nella pedofilia perché l’abusato di un pedofilo deve essere in età pre-puberale e dunque non superare i 12 anni”.
Si tratta di una differenza di un solo anno, si è sempre bambini! “Certamente sì, dico solo che per essere precisi, il manuale di psichiatria stabilisce che quando il minore abusato è al di sopra dei dodici anni, chi abusa non è un pedofilo ma semmai è affetto da una perversione sessuale, in questo caso omosessuale”. E aggiunge, per non correre il rischio di essere frainteso: “In questo caso non cambia la sostanza delle cose: un fatto gravissimo se dovesse essere confermato”.
Chiedere a don Di Noto cosa pensi delle tante vicende di pedofilia venute fuori all’interno del clero, non lo coglie impreparato: “Si metta nei miei panni, io che combatto da sempre contro questo crimine, mi sento doppiamente ferito quando il pedofilo è un sacerdote come me, faccio ancora più fatica”, detto questo, “occorre fare chiarezza”, iniziando col dire che la pedofilia “è del tutto slegata dalla condizione di chi abusa”. Questo vuol dire che un ambiente monosessuale, come può essere un convento, dove vigono regole precise (“liberamente scelte, come celibato e castità”) non può essere all’origine dell’insorgenza di patologie di tipo sessuale.
Il 70 per cento dei pedofili, infatti, è eterosessuale e sposato mentre il 10 per cento è costituito da donne, “ma di questo aspetto non si parla mai”, dice don Fortunato. Insomma, la pedofilia ha molte facce che negli anni, gradualmente, sono state svelate. Anche grazie al contributo di don Fortunato e della sua associazione.
“Dodici anni fa, quando è nata Meter, chi parlava di pedofilia era considerato un folle”, dice don Fortunato, “non vi erano leggi ed era totalmente assente qualsiasi consapevolezza giuridica del problema”.
“Ora se ne fa un gran parlare, sono tutti ‘esperti’, ma spesso non è così”, prosegue don Di Noto, di ritorno dalla capitale dove, ciclicamente, tiene incontri di formazione con gli allievi del Seminario pontificio romano.
E questo prete siciliano che da poco ha scritto anche un libro, Corpi da gioco per i tipi di Elledici, dice apertamente che “alcuni vescovi sono stati incapaci di gestire il problema della pedofilia all’interno del clero”, non per una omertà addebitabile alla Chiesa cattolica (piuttosto che a quella valdese o protestante), ma “a causa di una reale difficoltà, più complessiva, di avere coscienza del fenomeno, maturata solo negli ultimi anni”. Una difficoltà, sostiene don Di Noto, che rifletteva quella della intera società e che era dunque, insieme, culturale e giuridica (“pensiamo ad esempio alla legge contro la violenza sulle donne, in vigore solo dal 1996!”).
Detto questo, per don Di Noto, “la Chiesa è autentica solo se incarna il vangelo, e se un sacerdote si arroga un diritto autarchico, tacendo e coprendo col silenzio un crimine, allora sbaglia e tutta la comunità ecclesiale ne va di mezzo”.
“La vita consacrata”, conclude, “è impegnativa: dico sempre che il seminario è una fucina di discernimento, un momento di prova in cui, se ci si accorgesse di vivere male la propria sessualità, di non essere sereni, allora si ha il dovere di scegliere altro; perché il pedofilo è del tutto consapevole della propria tendenza e la pedofilia è una psicopatologia lucida, secondo la definizione che ne dà la psichiatria”.
Il dato preoccupante, per il quale il parroco di Avola è oggi sotto scorta, riguarda invece l’esistenza di “vere e proprie lobby pedofile”: si tratta della così detta pedofilia culturale che, ammantata di liceità, si fa scudo del diritto alla libertà di espressione. Moltissimi i siti web che la propagandano. Esiste anche un partito politico dei pedofili (in Olanda) e una rete di cristiani pedofili (con l’argomento, aberrante, che “anche Gesù amava i bambini”), per non parlare dei tanti network internazionali che la polizia postale stana continuamente, anche con l’aiuto di Meter.
Insomma, dice don Fortunato, “non c’è pace per i più piccoli”. Anche per questo occorre avere il coraggio di parlarne.
(26 maggio 2010)
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