Quanto cattolicesimo può permettersi la democrazia?
Alessandro Somma
Gli argomenti sfoderati dai politici cattolici per boicottare l’approvazione del disegno di legge sulle unioni civili, il cosiddetto ddl Cirinnà, e in particolare le misure dedicate alle coppie omosessuali, compongono un catalogo di autentiche stupidità e bestialità.
La parte del leone la fanno le invettive contro l’adozione del figlio del partner, indicata nel dibattito pubblico con la denominazione inglese: stepchild adoption, letteralmente «adozione del figliastro». Il legislatore italiano ha previsto questa possibilità nel 1983, tuttavia solo per le coppie sposate[1]. Come spesso accade in materia di diritti civili, è stato per merito delle corti se l’adozione del figliastro è stata ammessa, per riconoscere la nuova comunità di affetti e realizzare così l’interesse del minore, dal 2007 per le coppie eterosessuali e dal 2014 per quelle omosessuali[2]. Il tutto seguendo un orientamento affermatosi in numerosi Paesi occidentali, dove si ammette l’adozione da parte di coppie omosessuali anche in assenza di legami biologici con uno dei partner.
Se approvato, il ddl Cirinnà non realizzerebbe dunque nulla di rivoluzionario, se non evitare all’Italia di apparire come il solito Paese ostile alla tutela dei diritti civili e in genere a tutto quanto non sia approvato dalle gerarchie ecclesiastiche. E invece ecco fiorire motivazioni stupide e bestiali per impedire la mitica stepchild adoption: perché «ogni bambino deve avere un papà e una mamma e non si scherza» (Alfano), o perché altrimenti si «conduce direttamente ad incentivare la pratica dell’utero in affitto» (Binetti). Mentre è oramai noto e comprovato che, per crescere bene, i bambini hanno bisogno di un ambiente famigliare di qualità, a prescindere dal numero e dal genere dei genitori. E mentre è inaccettabile che si rinunci a una soluzione equa solo perché si presta ad abusi: la circolazione stradale non è mica vietata solo perché ogni anno ci sono migliaia di vittime della strada!
Quanto ad assurdità non si scherza neppure con le invettive contro la reversibilità della pensione: la possibilità anche per il partner della coppia omosessuale di ottenere quota della pensione del partner defunto. Svetta su tutte la posizione di chi la rifiuta perché, se non fosse limitata alle coppie eterosessuali, finirebbero per divenire una misura talmente onerosa da rendere prima o poi «inevitabile la sua soppressione» (Adinolfi). Come se non ci fosse una cosa chiamata principio di uguaglianza, principio cardine della modernità, che di certo non può essere sacrificato a necessità di ordine economico, né tantomeno riletto alla luce delle sentenze sputate dai tutori di una dogmatica premoderna qualsiasi.
E poi ci sono le barricate erette dai Democratici devoti, secondo cui il ddl Cirinnà rinvia in alcune sue parti a quanto previsto per la disciplina del matrimonio, con ciò provocando pericolose confusioni. Questa è forse l’obiezione più pacata ma è anche quella più urticante, perché proviene da chi aveva finora solo fatto finta di accettare la mediazione al ribasso rappresentata dal testo che ora rifiuta di votare. Una mediazione per la quale, in omaggio alla fobia di chi vuole riservare l’espressione famiglia a ciò che le gerarchie ecclesiastiche reputano tale, si è voluto offendere la famiglia omosessuale chiamandola con un linguaggio da laboratorio di eugenetica: «specifica formazione sociale»[3]. Una mediazione, cioè, che ha impedito di attuare il disegno costituzionale sulla famiglia, definita semplicemente come “società naturale fondata sul matrimonio”[4]: naturale, sorta come comunità di affetti, e non come entità a immagine e somiglianza di una sorta di antropologia ultraterrena indiscutibile.
Insomma, poteva essere l’occasione per porre rimedio a una odiosa forma di discriminazione, a una intollerabile violazione del principio di uguaglianza, non dissimile da quella realizzata nel Ventennio, quando la legge proibiva «il matrimonio del cittadino italiano di razza ariana con persona appartenente ad altra razza»[5]. L’occasione per allinearsi ai numerosi Paesi che già hanno ammesso il matrimonio egualitario, tra i quali si annoverano la cattolicissima Spagna e l’Argentina: dove l’allora Cardinale Bergoglio definì il matrimonio omosessuale un «tentativo distruttivo del disegno di Dio»[6]
E invece è stata l’occasione per toccare con mano il rischio che anche questa volta si finisca per scrivere l’ennesima puntata della disgustosa telenovela che da anni ci parla di compromessi al ribasso finiti nel nulla: dai Pacs (Patti civili di solidarietà) ai Didore (Diritti e doveri di reciprocità dei conviventi), passando per i Dico (Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi).
Soprattutto è stata l’occasione per ricevere l’ennesima conferma di come il cattolicesimo possa divenire incompatibile con la democrazia. La stupidità e la bestialità degli argomenti utilizzati per affossare il ddl Cirinnà nascondono infatti l’unico inconfessabile movente di chi li propone: obbedire alle gerarchie ecclesiastiche come imperativo categorico, assumere funzioni di polizia vaticana, mostrare sempre e comunque disponibilità a reagire in modo automatico agli stimoli provenienti dai custodi della dogmatica cattolica.
Intendiamoci: se lo fa un cittadino comune non c’è nulla di male. La cosa diventa eversione, cioè sovvertimento dell’ordine democratico, nel momento in cui l’obbedienza fine a se stessa verso i diktat ecclesiastici diventa l’atteggiamento dei rappresentanti del popolo eletti nelle assemblee legislative. Perché si tratta di persone che non rispondono ai loro elettori o alla loro coscienza, bensì a un’entità altra e ciò nonostante gerarchicamente sovraordinata. Affidando così le scelte sulla vita dei cittadini a oscuri livelli ultraterreni, a un sedicente diritto naturale che sta sopra lo Stato in quanto precede gli uomini, e per gli uomini viene interpretato dai vertici ecclesiastici.
In questo modo si rinnega la modernità, e se non si torna all’epoca premoderna, almeno si torna al fascismo, quando si considerava la famiglia la cellula più importante dello Stato, lo strumento primo di politiche demografiche incentrate sull’idea che l’aumento della popolazione avrebbe alimentato la grandezza politica ed economica della nazione[7]. E’ del resto questo il fondamento dell’idea per cui la famiglia trae la sua essenza dall’essere finalizzata alla procreazione. Idea non a caso estranea al dettato costituzionale, che viene però fatta rivivere nel discorso da ventennio dei cattolici secondo cui, senza la possibilità di procreare, la famiglia sarebbe da un lato destinataria di prestazioni pubbliche, e dall’altro non potrebbe ricambiare assicurando futuri erogatori di contributi pensionistici: come ebbe a dire Rocco Buttiglione[8], all’epoca in cui, anche e soprattutto per la sua omofobia, venne bocciato dal Parlamento europeo come Commissario europeo.
Si sente dire da più parti che siamo in mano alla lobby gay e che questo porta a ritenere che «in Italia ci sia solo il problema delle coppie fatto e non i problemi delle famiglie normali&raqu
o; (Nunzio Galantino, Segretario Cei). E invece siamo in mano alle stupidità e alle bestialità cattoliche, che ai problemi delle famiglie «normali» preferiscono i presepi, e che stanno fornendo un contributo notevole allo sfascio della democrazia.
NOTE
[1] Art. 44 legge 4 maggio 1983 n. 184, Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori.
[2] Rispettivamente e Trib. Minorenni Milano, 28 marzo 2007 e Trib. Minorenni Roma, 30 luglio 2014.
[3] At. 1 ddl Cirinnà.
[4] Art. 29.
[5] Art. 1 Regio Decreto Legge 17 novembre 1938 n. 1728, Provvedimenti per la difesa della razza italiana.
[6] Cfr. l’Osservatore romano del 13 luglio 2010.
[7] Cfr. A. Rocco, Gli accordi lateranensi e il nuovo diritto ecclesiastico italiano, in Scritti e discorsi politici, Vol. 3, Milano, 1938, p. 1080.
[8] Odio contro di me, Strasburgo guida l’inquisizione anticristiana, in Corriere della sera del 17 ottobre 2004.
(17 gennaio 2016)
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