Quel gran bigotto di Salvini

Raffaele Carcano

bigòtto agg. e s. m. (f. -a) Di persona che mostra zelo esagerato più nelle pratiche esterne che nello spirito della religione, osservando con ostentazione e pignoleria tutte le regole del culto.” – (Vocabolario Treccani)

L’abbiamo visto baciare il crocifisso e il rosario, invocare la madonna, regalare presepi, interpretare il re magio e giurare sul vangelo. Per contro, sappiamo che la sua vita privata non è esattamente quella di un fedele irreprensibile, e che il suo spavaldo esibizionismo di simboli cattolici infastidisce le gerarchie ecclesiastiche. L’aggettivo “bigotto” sembra dunque descrivere adeguatamente Matteo Salvini, dato per vincente alle elezioni europee di domenica prossima. Tanto che viene naturale chiedersi se i due fenomeni, il bigottismo e il consenso politico, non siano in qualche modo correlati.

Purtroppo, in un paese in cui un terzo degli elettori si dichiara “cattolico non praticante”, le probabilità che siano correlati sono inevitabilmente alte. L’ipocrisia (legittima) di Salvini è praticata e giustificata dalla stragrande maggioranza dei suoi followers – e così l’identitarismo, perché nei cervelli degli esseri umani i totem e i feticci sono più antichi e radicati delle stesse religioni. Salvini è peraltro in buona (?) compagnia: le sue gesta echeggiano quelle di tanti altri esponenti della nuova destra populista, da Trump a Le Pen, da Orban a Putin (che, secondo L’Espresso, di soldi alla Lega ne regalerebbe veramente tanti). Sono tutti personaggi che amano dividere il mondo in due: o con loro o contro di loro.

È la strategia politica che li ha portati alla ribalta e che spesso li ha fatti anche vincere, ma che – laddove la democrazia ancora riesce a tenere – dev’essere poi accompagnata anche da qualche azione concreta di governo. Sotto questo aspetto, l’esuberanza trash-dizionalista di Salvini centra ben due obiettivi: aiuta a far dimenticare l’inattività di un ministro che passa la sua giornata posando per i propri canali social e, nello stesso tempo, pone in secondo piano iniziative anti-laiche, molto meno gradite dalla popolazione. Proprio quelle iniziative che invece, guarda caso, non riscuotono critiche di sostanza da parte del Vaticano.

È infatti perfettamente coerente baciare un rosario gridando “prima gli italiani”. È soltanto un altro modo di esprimere la retorica delle “radici cristiane” che il duo Wojtyla-Ratzinger sfoggiò all’epoca dell’approvazione della costituzione europea. È la stessa retorica, anzi, lo stesso “sovranismo feticista” che spinse i governi italiani (di centrodestra e di centrosinistra) e molti governi europei a partecipare alla crociata in difesa del crocifisso – finendo così per sminuirlo, come hanno notato le chiese protestanti italiane, “a simbolo culturale e di identità nazionale, pur di giustificarne la presenza in un luogo pubblico”.
La sprezzante sicurezza clericale di Salvini si nutre della consapevolezza che tante sue sparate a costo zero sono condivise non soltanto da molti zelanti cattolici, ma anche da una bella fetta delle gerarchie (papa emerito compreso, probabilmente).

Ma noi non stiamo né dalla parte di Salvini, né da quella del Vaticano. Noi stiamo dalla parte della democrazia, dei diritti umani, della laicità e del buon uso della ragione. , in Italia. Cerchiamo di ricordarcelo, domenica, nella cabina elettorale.

(24 maggio 2019)






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