Ratzinger e Ahmadinejad, una santa alleanza contro la laicità?
Maria Mantello
Collaboriamo contro la laicità degli Stati. Per un nuovo ordine mondiale. La partita inizia dal Medio oriente.
Questo, in sintesi, il senso del messaggio che Ahmadinejad ha fatto consegnare dal suo vice a papa Ratzinger il 6 ottobre 2010.
Ahmadinejad riconosce al pontefice romano l’impegno contro il «Secolarismo e l’Umanesimo eccessivo Occidentale». E apre a «strette collaborazioni e relazioni tra religioni celesti per controllare questi fenomeni distruttivi», non tralasciando di menzionare sacra famiglia ed educazione religiosa.
Ahmadinejad, che si rivolge al pontefice «in nome di Dio, il Clemente, il Misericordioso» si dice pronto ad una alleanza tra «fedeli delle religioni abramitiche».
Sappiamo a quali religioni appartengano mittente e destinatario della lettera. E il sospetto che da questa appartenenza siano esclusi gli ebrei diviene inquietudine, quando subito dopo il leader islamico chiama il papa a «lavorare insieme per rafforzare la giustizia ed eliminare oppressione e violenza», per «eliminare in questo modo le tensioni e le difficoltà nelle relazioni internazionali; affinchè l’odio si allontani dal genere umano». Parole che sembrerebbero nella loro generalità cosa buona e giusta, ma che non possono suonare come un inno jihadista da parte di chi non ha accantonato la minaccia di bomba atomica su Israele e non a caso nega la shoah.
L’alleanza islamico-cattolica, continua Ahmadinejad, serve a instaurare un nuovo ordine morale e sociale religioso. E per questo, conclude, c’è tutta «la disponibilità della Repubblica Islamica dell’Iran a intraprendere sforzi congiunti per contribuire alla modifica degli equilibri ingiusti che dominano il pianeta». Proprio perché dall’intensificarsi delle «cooperazioni bilaterali, si possano gettare le basi per la creazione di un mondo sempre più attento e attaccato alla vita spirituale, alla moralità, alla pace ed alla giustizia».
Un appello all’accordo tra Vaticano e Iran, Ahmadinejad lo aveva fatto già pervenire al pontefice a dicembre del 2006, qualche mese dopo il così detto “incidente di Ratisbona”. Era il 12 settembre 2006, e Benedetto XVI nella sua lezione magistrale all’Università di Regensburg (Ratisbona) citava improvvidamente le parole contro Maometto pronunciate nel 1391 dall’imperatore Manuele II Paleologo. Seguivano polemiche e reazioni furibonde, compreso l’assassinio di una povera suora in Somalia a lavacro dell’onore di Maometto e di Allah.
Ma l’amplificazione data alla citazione di Ratzinger, aveva oscurato un altro messaggio che pure emergeva dalle parole del papa: l’intesa prospettabile tra cristiani e islamici portatori di «culture profondamente religiose del mondo». Il papa accennava ad una sorta di santa alleanza da opporre alla libertà di pensiero e di autodeterminazione.
Questo accordo contro relativismo e secolarizzazione, Benedetto XVI lo riproponeva con chiarezza il 26 settembre 2006 in Vaticano agli ambasciatori islamici e ad alcuni rappresentanti delle comunità islamiche italiane invitati all’incontro per chiudere il caso Ratisbona. In questa occasione dichiarava: «In un mondo segnato dal relativismo e che troppo spesso esclude la trascendenza dell’universalità della ragione abbiamo assolutamente bisogno di un dialogo autentico tra le religioni e tra le culture, un dialogo in grado di aiutarci a superare tutte le tensioni in uno spirito di proficua intesa».
Ma queste parole venivano ancora più da lontano. Vale appena ricordare, ad esempio, che il 4 giugno 2004, quando era ancora cardinale, nel suo discorso per le celebrazioni del 60° anniversario dello sbarco alleato in Normandia egli diceva: «E tuttavia, che cos’è l’Occidente? E che cos’è l’Islam? Entrambi sono mondi polimorfi, e sono mondi anche interagenti. In questo senso è dunque un errore opporre globalmente Occidente e Islam. C’è chi tuttavia tende ad approfondire ulteriormente questa opposizione, interpretandola come scontro tra la ragione illuminata e una forma di religione fondamentalista e fanatica. Si tratterebbe dunque di abbattere prima di tutto il fondamentalismo in tutte le sue forme e di promuovere la vittoria della ragione (identificata con l’anima e quindi con la fede. Ndr) per lasciare campo libero a forme illuminate di religione».
Insomma, il nemico comune dell’Occidente (identificato si noti col cristianesimo), contro cui la chiesa di Roma si ergeva a garante di ogni accordo interreligioso era (ed è) la ragione illuminista che va addomesticata nella religione illuminante che occupa le coscienze senza più bisogno di guerre armate. E per questo le vie del Signore (o meglio di chi se ne dichiara Vicario) sono infinite. E polimorfe sono le alleanze politiche e le ambiguità strategico-diplomatiche ivi connesse.
Lo deve aver compreso anche Ahmadinejad, che certamente non ha simpatia per cristiani ed ebrei. Che avversa ostinatamente libertà, diritti civili e democrazie occidentali. Ma che sa bene che la sua aspirazione alla leadership del mondo islamico si gioca sul compattamento degli integralisti islamici, che può sbandierare come arma terrorista a partire dal Medio Oriente, facendo leva sul mito di un islam anticapitalista che in chiave antiebraica solletica anche certo terzomondismo occidentale che, rimasto orfano del muro di Berlino, spesso abbraccia le acquasantiere.
Tenendo conto di tutto questo, allora, è un caso che il messaggio del presidente della Repubblica islamica dell’Iran giunga proprio a ridosso del sinodo vaticano, Il medio Oriente: un seme di speranza e pace, inaugurato il 10 ottobre 2010, e che raccoglie i vescovi delle diverse chiese cristiane di quell’area?
Probabilmente no. La Gerusalemme universalmente cristiana è stata l’aspirazione dei papi. Ieri era perseguita con le crociate, oggi accreditandosi per via diplomatica.
Annunciando il Sinodo citato, il portavoce del papa, padre Lombardi, ha dichiarato: «Il Medio Oriente è una regione in cui i cristiani sono minoranza, in alcuni Paesi veramente molto piccola e priva di ogni influsso politico o sociale, e in cui la situazione di guerra o di tensione permanente logora la speranza nell’avvenire e spinge a emigrare. Ma è anche la regione in cui il cristianesimo è nato, dove ha radici e tradizioni antichissime e di straordinaria ricchezza culturale e spirituale».
Ecco allora tornare il sogno universale di sempre. Le radici cristiane, come uniche e globalizzanti, spacciate come radici dell’occidente, occultando quelle del dubbio e della scelta, fonte della razionalità occidentale, affermatesi appieno con l’Illuminismo, ma che nascono nell’antica Grecia, quando Platone, nel Politico – non a caso – afferma che quando gli dei lasciano il mondo si può fondare lo stato, la civile convivenza.
Per recidere queste radici adesso si trova più opportuno ripartire anche dal Medio Oriente.
Il papa benedice, e – per il momento – anche Ahmadinejad.
(11 ottobre 2010)
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