La politica sottomessa al Vaticano
Michele Martelli
Renzi come Marino, Firenze come Philadelphia? Papa Francesco in procinto di visitare Firenze, al premier, che a Firenze avrebbe voluto incontrarlo con la sua famiglia, fa sapere che è contrario, non ci sta. Primo, perché non è una visita di Stato. Poi, perché, evidentemente, non ama essere usato. Renzi come Marino, alla rincorsa del papa, alla ricerca della legittimazione papale? Più dignitoso e politicamente corretto il papa, si direbbe, che, almeno in questo caso, non vuole mischiare sacro e profano, privato e pubblico, Chiesa e Stato.
Certo, difficile ignorare i tanti, troppi privilegi lasciata alla Chiesa cattolica anche dal Nuovo Concordato del 1984 (dall’otto per mille all’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche), ma non si può negare che la Repubblica italiana sia uno Stato laico, cioè non confessionale, quindi autonomo dalla Chiesa (come sancito dal Protocollo addizionale, art. 1, dell’Accordo di cui sopra), di cui lo Stato, come per ogni altra associazione privata od organismo culturale intermedio della società civile, si impegna a riconoscere e salvaguardare le specifiche attività e finalità (religiose e di culto nella fattispecie).
Sorge spontanea una domanda. Poiché la Chiesa, per legge, non va confusa con lo Stato, e poiché, inoltre, il papa è anche il capo di uno Stato straniero, perché i nostri governanti e politici, quasi tutti, a tutti i livelli, alti, bassi e intermedi, hanno una tale smania di genuflettersi al papa e al clero cattolico? La spiegazione è forse più semplice di quello che sembra: lo Stato italiano è laico per definizione, ma i nostri governanti, in grande maggioranza, nella loro attività politico-amministrativa, laici non sono ancora, bensì complessati baciapile, affetti da clericalismo. Per struttura mentale, non solo per calcoli elettoralistici.
Qualcuno forse giustamente dirà: in Italia «la Chiesa, questa Chiesa dottrinale e dominata dalla Curia, non può essere ignorata», d’accordo con quanto scriveva Grillo nel 2006, che tuttavia incautamente elogiava allora le presunte virtù (manageriali e ambientaliste) del cardinal Bertone, oggi sotto accusa per l’attico faraonico ristrutturato «a sua insaputa» (come a suo tempo il ministro Scajola) con i soldi dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù. Ma tra ignorare e sottomettersi, ne corre!
A ben rifletterci, non è stato Bergoglio in volo da Philadephia, con la sua trinciante battuta («Non l’ho invitato io. È chiaro?»), o il vicario di Roma, il cardinal Vallini («A Roma serve una scossa, una nuova classe dirigente!») a dimissionare il sindaco Marino eletto dai romani (ma oramai inviso al Vaticano per lo sgarbo della trascrizione nel registro comunale di una decina di nozze gay celebrate all’estero). No, a dimissionarlo è stato il servilismo filoclericale, unito alla smania di potere, dei «26 pugnalatori» notarili e del loro «unico mandante». Cioè appunto Renzi, il prefetto dei prefetti, non eletto dai cittadini ma designato dall’alto, oggi trattato da Bergoglio come Marino: ah, la legge del contrappasso!
Sicuramente, le gerarchie cattolico-vaticane, se rispettose (ma non lo sono) delle norme neoconcordatarie, dovrebbero astenersi da ogni ingerenza. Ma ciò che mi sembra ancora più grave è il cedimento dei politici «signorsì» (molti, troppi, di ogni colore). Che cosa ha risposto Renzi al cardinal Vallini? «Pronto, sarà fatto!»: quasi fosse un suo dipendente! E quale il primo atto pubblico del prefetto Tronca da Renzi appena nominato commissario di Roma? Non l’incontro col governo, o magari, anche se non previsto dal protocollo, col presidente della Repubblica Mattarella, ma la visita in Vaticano e la genuflessione al papa. Quasi fosse un funzionario d’Oltretevere!
È una storia vecchia. Uno degli esempi più lampanti è il mancato pagamento miliardario dell’Ici-Imu da parte della Chiesa, imposto di recente anche da un pronunciamento della Corte di Cassazione (luglio 2015). Del resto, è scritto nero su bianco nel Nuovo Concordato (art. 7, c. 3): gli enti e le attività ecclesiastiche non aventi finalità di religione o di culto sono soggetti al regime tributario dello Stato italiano. Da Berlusconi a Prodi, da Monti a Renzi, la norma è rimasta lettera morta, nonostante le ripetute sollecitazioni dell’Ue. «I compiti a casa», se danneggiano gli interessi della Chiesa e del Vaticano, non occorre farli. Si può anche marinare la scuola!
(10 novembre 2015)
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