Riflessioni sul Sinodo dei vescovi sulla Parola di Dio
di “Noi Siamo Chiesa”
L’importanza di questo Sinodo
Il XII Sinodo dei vescovi su “La Parola di Dio nella vita e nella missione della
Chiesa” (Roma, 5-26 ottobre 2008) si è concluso. Riteniamo che sia stato un avvenimento
importante per due motivi fondamentali:
—perché ha permesso di riflettere sulla principale novità del Concilio Vaticano II, ossia sulla centralità della Parola di Dio nella vita della Chiesa dopo secoli di scarsa attenzione e di sua subordinazione alla precettistica, ai canoni, alle strutture ecclesiastiche;
—perché esso è stato una occasione di incontro di vescovi di tutto il mondo che hanno potuto così capirsi meglio, comunicandosi la straordinaria varietà di situazioni, di problemi e di carismi che sono presenti nella Chiesa. Non esistono ora altre sedi, altri momenti di carattere generale dove ciò possa avvenire.
Questi aspetti positivi del Sinodo hanno suscitato il particolare interesse anche di quei cattolici che hanno un orientamento critico nei confronti dei vertici centrali e di molte strutture della loro Chiesa per come si sono andate definendo negli ultimi trenta anni, mettendo da parte, nei fatti, il grande movimento di rinnovamento che avviò il Concilio.
I limiti di questo istituto sinodale
Ciò premesso, ci sembra necessario confermare la nostra opinione sui limiti strutturali del Sinodo come strumento della collegialità episcopale: il ruolo solo consultivo lo priva infatti di efficacia e di credibilità; la segretezza dei suoi dibattiti rende difficile la crescita, del tutto necessaria, di una opinione pubblica, trasparente e fraterna, nella Chiesa; la sua rappresentatività è ridotta dalla massiccia presenza al Sinodo di tutti i maggiori esponenti della Curia oltre che di numerose nomine papali e dalla stessa scarsissima presenza della “base”, uomini e donne, del popolo di Dio; infine l’Esortazione Apostolica del Papa che, a distanza di troppo tempo, ne raccoglie o boccia le proposte è la testimonianza del permanere nella Chiesa, e anzi del consolidarsi nel tempo, di una struttura troppo gerarchica. Essa ci sembra lontana sia dallo spirito del Concilio che dalle necessità di una evangelizzazione all’inizio del terzo millennio che sia credibile sia all’interno della Chiesa che nei confronti di tutti gli uomini e le donne in ricerca.
Altro problema: a fine Sinodo vengono eletti 12 membri del Consiglio della Segreteria generale del Sinodo (altri tre vengono nominati dal papa); essi restano in carica fino al Sinodo successivo con funzioni consultive. Sono stati comunicati i nomi ma senza dire, contrariamente al solito, quanti sono stati i voti riportati da ognuno di essi né quali sono i designati dal Papa. Comunque è una elezione importante perché è l’unica che avvenga ora a livello della Chiesa universale.
I documenti del Sinodo
Non è facile avere una visione generale delle posizioni espresse dai padri sinodali e delle dinamiche interne all’assemblea e ai gruppi linguistici in cui essa si è divisa. I resoconti degli interventi (spesso troppo sintetici), il messaggio finale e le 55 propositiones conclusive (rese pubbliche perché era impossibile tenerle riservate) raccolgono analisi ed indicazioni che testimoniano della diversità e della complessità delle situazioni, di riflessioni a tutto campo, di indicazioni preziose e anche di inevitabili posizioni di mediazione. Comunque ci sembra che questi testi diano testimonianza che nella Chiesa il problema della ricerca su come interpretare e comunicare la Parola di Dio, più di altre tematiche, sia sentito e spesso al centro di iniziative pastorali e di studi.
Esegesi o teologia?
Facciamo anzitutto due considerazioni sulla questione principale. Essa ha riguardato una pretesa prevalenza dell’uso del metodo storico critico nella comprensione della Bibbia (prima parte del cap.12 della Costituzione dogmatica Dei Verbum) a scapito di una lettura più teologica (seconda parte dello stesso capoverso). A partire dalla Relatio ante disceptationem del Card. Marc Ouellet, dagli interventi del Card. William Levada, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, del Card. Sodano e del Card. Meisner, ha percorso il Sinodo la discussione su un ipotizzato eccesso di esegesi a scapito di una lettura complessiva e teologica della Scrittura, che tenesse conto della Tradizione e, in ultima istanza, del magistero della Chiesa. Si sarebbe creato in tal modo un dualismo tra i biblisti da una parte ed i pastori ed i teologi dall’altra. L’intervento più esplicito in questa direzione è stato proprio quello di Benedetto XVI il 14 ottobre; egli ha apertamente chiesto che il Sinodo prendesse posizione e ciò è avvenuto, davanti a tanta autorità, nelle propositiones 25-26-27-28 che riprendono, quasi alla lettera, i contenuti dell’intervento del Papa. (“l’esegesi biblica rischia di diventare pura storiografia e storia della letteratura”, “al posto dell’ermeneutica credente si insinua allora, di fatto, un’ermeneutica positivista e secolarista che nega la possibilità della presenza e dell’accesso del divino nella storia dell’uomo”). Il rischio di mettere così il bavaglio alla ricerca biblica, colpevolizzando chi userebbe, in modo esclusivo ed a senso unico, del metodo storico critico, deve essere apparso evidente a molti padri conciliari.
A fare da contrappeso ad affermazioni così esplicite c’è stato il rifiuto, forse scontato, della lettura fondamentalista delle Scritture (sia nella proposizione n.46, sia nel Messaggio), la conferma, speriamo non solo formale, della Dei Verbum (proposizione 2) ma sopratutto la positiva bocciatura della proposta (si suppone che sia stata preventivamente concordata con la Curia o col Papa direttamente) del Card. Ouellet di una Enciclica sull’interpretazione della Bibbia. Essa, per chi la faceva, per chi l’ha sostenuta ed anche per l’esistenza di documenti precedenti sufficientemente esaurienti che non la rendono necessaria, aveva, secondo ogni logica, lo scopo di limitare gli spazi di ricerca e di affermare la necessità di una interpretazione “autentica”, cioè magisteriale. Ma perché questa diffidenza nei confronti del metodo storico-critico? Perché tante preoccupazioni? Se portate avanti, esse avranno l’effetto di “marginalizzare l’esegesi cattolica rispetto al resto delle scienze bibliche mondiali” così favorendo” un’interpretazione spiritualizzante ed armonizzante dei testi biblici” (Mauro Pesce, Adista n. 79/08). La conferma del metodo storico-critico viene poi contraddetta nei fatti quando esso turba mondi simbolici consolidati o mette in discussione la consolidata strutturazione gerarchica della Chiesa (come succede quando si studia la storia della Chiesa nei primi due secoli).
In conclusione, ci sembra comunque di poter dire che, complessivamente, il nuovo corso avviato con la Dei verbum non sia stato smentito (non sappiamo se il Card. Martini, che nel noto articolo di febbraio sulla “Civiltà cattolica”, temeva uno stravolgimento della linea conciliare, si sente ora rassicurato).
Ciò premesso, i testi raccolgono l’ indubbia ricchezza delle tematiche affrontate, in modo inevitabilmente un po’ disorganico e disomogeneo, anche per la loro ampiezza perché parlare della Parola di Dio comporta di necessità una riflessione su ogni aspetto della vita del credente e della comunità cristiana. Facciamo alcune considerazioni su punti specifici a partire da quelli c
he ci sembrano più interessanti.
Animazione biblica di ogni pastorale
La molto importante proposizione n. 30 “raccomanda di incrementare la “pastorale biblica” non in giustapposizione con altre forme della pastorale, ma come animazione biblica dell’intera pastorale”. E così la catechesi, le diverse forme della pietà popolare, le missioni, i ritiri spirituali ecc…(n. 18) “siano fondati sulla Parola di Dio”. Se ciò avvenisse bisognerebbe felicemente trasformare una grande quantità di uffici, attività, enti ecc…delle strutture parrocchiali, diocesane e delle congregazioni religiose.
Viceversa è gravissima l’affermazione iniziale della proposizione n. 23: “La catechesi deve preferibilmente avere le sue radici nella rivelazione cristiana”. C’è da sperare che i redattori non si siano accorti di quanto sia assurdo questo testo perché altrimenti verrebbe da pensare alla loro impreparazione o peggio. Come potrebbe essere catechesi se non si radicasse nella rivelazione cristiana ? Dove mai dovrebbe mettere le sue radici ?
Inculturazione
La proposizione n. 48 parla dell’inculturazione con parole ben diverse da quelle della seconda parte del discorso di Benedetto XVI a Ratisbona. Questo punto ci sembra raccolga molti interventi di Padri sinodali della “periferia” alle prese con problemi di comprensione e di comunicazione nei confronti di culture e di sensibilità etiche molto diverse da quelle dell’Occidente.
Poveri e giustizia
La proposizione n. 11 dice “che uno dei tratti caratteristici della Sacra Scrittura è la rivelazione della predilezione di Dio per i poveri” e quella n. 39 invita “ i credenti a impegnarsi per quanti soffrono e sono vittime delle ingiustizie”. Affermazioni che sono tanto ovvie da essere spesso dimenticate o rimosse. Che fare dopo aver letto l’intervento del vescovo del Ghana, Mons. Joseph Osei-Bonsu: “nel continente africano gran parte della corruzione, ingiustizia e violazione dei diritti umani viene da persone che si professano cristiane, perfino cattoliche”? Un intervento impegnato è venuto, un po’ a sorpresa, dal Card. Sepe: “per vivere la Parola con coerenza nella vita quotidiana occorre andare alle sorgenti, ossia alla carità: solo essa, se vissuta e praticata, può cementare il tessuto ecclesiale e aprire la strada alla concretezza dell’amore. I tanti malati nel corpo e nello spirito, i poveri che affollano le strade delle nostre città, i luoghi di sofferenza, come gli ospedali, le carceri rappresentano altrettante prove concrete della fedeltà alla Parola e della nostra capacità di riformare la nostra esistenza su quella del ‘Vangelo vivente’ più eloquente di tante parole perché è diventato ‘carne e sangue’”, “l’uomo contemporaneo – continua l’arcivescovo di Napoli – ascolta più volentieri i testimoni che i maestri o, se ascolta i maestri, lo fa perché sono dei testimoni”.
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Più formazione
Molte proposizioni (per esempio le nn. 31, 32 e33) sostengono la necessità di una nuova e migliore formazione ed aggiornamento dei presbiteri, dei seminaristi e dei laici in campo biblico anche mediante nuovi centri di studio e istituti specializzati. Magari si concretizzassero queste indicazioni! Questo Sinodo sarebbe stato allora un passo in avanti significativo per tutta la Chiesa tenendo presente che uno dei motivi portanti del Sinodo è stata la constatazione della ancora scarsa conoscenza della Bibbia da parte del Popolo di Dio, nonostante i progressi successivi al Concilio. “Ogni fedele possieda personalmente la Bibbia” dice la proposizione n. 9 (ma non si capisce poi che senso abbia indicare come incentivo alla lettura una indulgenza prevista da un vecchio documento curiale!).
Alcuni soggetti dell’evangelizzazione
Altre proposizioni danno indicazioni per un migliore rapporto con la Sacra Scrittura di soggetti importanti nella comunità cristiana (per esempio i consacrati n. 24, i giovani n. 34, i malati n. 35) oppure di “piccole comunità” (che sono però descritte in modo da differenziarle dalle comunità di base).
La proposizione n.38 fa presente l’importanza degli istituti missionari “in forza del proprio carisma e della propria esperienza” e “la realtà dei nuovi movimenti ecclesiali, straordinaria ricchezza della forza evangelizzatrice della Chiesa” ma non si dice quali debbano essere le modalità con cui essi devono diffondere la Parola di Dio. Sarebbe stato utile richiamare qui, da una parte la necessità sempre e dovunque dell’inculturazione, dall’altra i limiti evangelici del proselitismo fondato soprattutto sulla propria identità e sulle proprie attività separate dal resto della comunità cristiana, con un riferimento troppo indiretto alla Parola di Dio. Ben più interessante nello stesso capoverso è il riferimento al “fenomeno migratorio che apre nuove prospettive di evangelizzazione, perché gli immigrati non soltanto hanno bisogno di essere evangelizzati ma possono essere loro stessi agenti di evangelizzazione”.
La comunicazione della Parola di Dio
Altre proposizioni toccano in modo concreto ed esaustivo vari aspetti attinenti alla comunicazione della Parola di Dio : l’arte liturgica deve “rendere percepibile il mondo invisibile e tradurre il messaggio divino nel linguaggio delle forme e delle figure” (n. 40), la diffusione della Bibbia deve usare ampiamente dei nuovi strumenti di comunicazione (n. 43 e n. 44), troppe lingue locali non hanno ancora la traduzione integrale della Bibbia (n. 42). Si è detto al Sinodo che la Bibbia è stata integralmente tradotta solo in 438 delle 7000 lingue esistenti e che in molti paesi lo stesso costo materiale del libro della Bibbia è troppo alto per molti. Un punto particolare (n.54) raccoglie una nuova sensibilità per la salvaguardia del creato: “bisogna denunciare le azioni dell’uomo contemporaneo che non rispettano la natura come creazione”.
L’omelia
Una delle questioni che sembra essere stata più trattata al Sinodo è quella dell’omelia durante la celebrazione eucaristica. Il sinodo ha colto bene la sua centralità nella riflessione generale sulla Parola di Dio nella quotidiana vita della Chiesa. L’omelia è infatti il momento principale, e quasi sempre l’unico, nel quale la gran parte dei credenti vengono a contatto con la Bibbia. Ne parla la proposizione n. 15 ma in essa non vi si legge una disamina critica della situazione attuale, che pure è emersa con vivacità. Ci sono alcuni criteri preziosi, anche se ovvii “Bisogna che i predicatori (vescovi, sacerdoti, diaconi) si preparino nella preghiera, affinché predichino con convinzione e passione. Devono porsi tre domande : Che cosa dicono le letture proclamate? Che cosa dicono a me personalmente? Che cosa devo dire alla comunità, tenendo conto della situazione concreta? Il predicatore deve innanzitutto lasciarsi interpellare per primo dalla Parola di Dio che annuncia”. Poi però si danno indicazioni generiche o ambigue per “usare” le omelie nella direzione di un conformismo spesso poco ascoltato dal Popolo di Dio (sia l’omelia “nutrita di dottrina e trasmetta l’insegnamento della Chiesa”); nulla si dice sulla preventiva preparazione comunitaria che l’omelia esige confermando il monopolio clericale su di essa; non
si invita a una particolare attenzione alla situazione specifica in cui essa viene ascoltata (caratteristiche dell’uditorio, contesto sociale, culturale e anche geografico); non si dice che essa deve comunque essere un momento di fede e di speranza del singolo e di tutta la comunità che partecipa alla celebrazione eucaristica. Ci sembra anche ambigua la proposta di un “Direttorio sull’omelia” che sarebbe molto pericoloso se avesse solo lo scopo di uniformare dal centro la predicazione nei metodi e nei contenuti. Si può, al più, pensare a sussidi o a strumenti per la omiletica (che in molte diocesi già esistono) che siano espressione delle chiese locali. Identico ragionamento si può fare per la proposta di “direttori rituali” per la celebrazione della Parola di Dio in assenza di Eucaristia (questa è la situazione in vaste aree dell’universo cattolico).
Lettorato alle donne?
Nella proposizione n. 17 si auspica “che il ministero del lettorato sia aperto anche alle donne”. Questa indicazione ha suscitato l’interesse di una parte della stampa ma sconcerto nelle associazioni e nei movimenti, soprattutto di donne, presenti nella Chiesa. Il lettorato (come gli altri ordini minori) è stato ignorato dal Concilio e non se ne parla neanche nel Catechismo del 1992. Poi, è da circa trenta anni che, ovunque, le letture durante l’Eucaristia vengono dette molto spesso da donne. Che senso ha una tale proposta? A che serve questo ordine minore? Una inutile ratifica ecclesiastica di una consolidata situazione di fatto (eppure questa proposta è stata quella che ha avuto il maggior numero di voti contrari, 45 su 243 Padri conciliari!). In un linguaggio profano si direbbe che essa serve solo per fare immagine ma -ci sembra- con un esito controproducente. Come sempre in questi sinodi l’attenzione alla presenza e al ruolo della donna è, a quanto si è capito, rimasta marginale, benché sia stata anche sollecitata pubblicamente da una iniziativa il 15 ottobre di reti internazionali impegnate in questo senso (Future Church, Women’s Ordination Conference, Women’s Ordination Worldwide, International Movement We Are Church). Tra esperte (sei) e uditrici (diciannove) le donne presenti erano 25 (su 78 “esterni”); tra queste le suore sono in netta maggioranza. Un qualche aumento numerico c’è stato ma resta la permanente incredibile sottorappresentazione di genere che è peraltro comune alla gran parte delle istituzioni ecclesiastiche cattoliche. Oltre alla proposta del lettorato, nella proposizione n. 30, si esprime, anche se in modo un po’ paternalista, “stima e gratitudine nonché incoraggiamento per il servizio all’evangelizzazione che tanti laici, e in particolare le donne, offrono con generosità e impegno nelle comunità sparse per il mondo, sull’esempio di Maria di Magdala prima testimone della gioia pasquale”.
Nella direzione da noi auspicata possiamo ricordare quanto ha detto l’Arcivescovo di Kinshasa e Presidente internazionale di Pax Christi Mons. Laurent Monsengwo Pasinya in una intervista a “Jesus” di novembre: “Abbiamo bisogno di donne teologhe, perché le donne nell’approccio alla Scrittura hanno un’impostazione diversa da quella degli uomini. E’ indispensabile che ci siano. Siamo abituati al vocabolario maschile usato nella Bibbia e rischiamo di credere che la teologia si esaurisca nella sensibilità maschile. E invece ci sono testi nella Scrittura che mettono Dio al femminile. Bisogna tenere presente questo fatto letterario per sottolineare la trascendenza di Dio, che non è né uomo, né donna”.
Interpretazione autentica?
La proposizione n.12 propone seccamente “che la Congregazione per la Dottrina della Fede chiarifichi i concetti di ispirazione e di verità della Bibbia così come il loro rapporto reciproco”. Che significa da parte dell’ex- S.Ufficio? Non ci sono già in proposito testi esaurienti (p.e.“L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa” del 1993 ad opera della Pontificia Commissione Biblica) ? Sì, ci sono.
Legge naturale?
La proposizione n. 13, in un modo estrinseco rispetto alla riflessione sulla Parola di Dio, invita “alla riscoperta della legge naturale ed alla sua funzione nella formazione delle coscienze”. Si tratta di questione che, pur essendo oggetto del particolare magistero di Benedetto XVI, è controversa sotto molti punti di vista (la sua stessa esistenza, almeno nel senso ora proposto dal magistero, la sua immutabilità, la sua percezione in contesti e tempi differenti, il suo rapporto con la norma morale ecc…). E poi nel Sinodo non se ne è parlato!
Congresso internazionale sulla parola di Dio
Si è molto discusso nel Sinodo dell’ipotesi di un Congresso mondiale sulla Parola di Dio a cui potessero partecipare anche i mussulmani e le altre religioni. La proposta è caduta (proposizione n. 45) per l’opposizione dei conservatori, a partire da Comunione e Liberazione, che temevano il dialogo e il confronto al di fuori della propria ortodossia. Se ciò è vero non c’è che da rammaricarsi che la proposta non sia passata (per uguali motivi è stata bocciata la precedente proposta di un forum tra cristiani e mussulmani sempre sulla Parola di Dio).
Ortodossi e protestanti
La proposizione n. 36 tratta dell’unità dei cristiani usando la terminologia, ormai in uso dopo la Dominus Jesus. Per “Chiese” si intende la Chiesa ortodossa (o le Chiese ortodosse) e per “comunità ecclesiali” si intendono le Chiese protestanti. Anche il Messaggio si esprime nello stesso modo. Questa criticata differenza di approccio sui due versanti dei rapporti ecumenici si è manifestata in modo evidente durante il Sinodo da parte di chi lo ha organizzato e gestito. Invitato d’onore è stato Sua Santità Bartolomeo I, Patriarca ecumenico di Costantinopoli, che ha parlato ai Padri conciliari. E’ stato un avvenimento che va valutato in tutta la sua straordinaria importanza. Ma, a proposito di rapporti con gli ortodossi, non possiamo fare a meno di ricordare quanto ha detto al Sinodo il vescovo ucraino Mons. Dionisio Lachovicz: “ perché non si può concelebrare l’Eucaristia con gli ortodossi quando si può celebrare con loro il sacramento della Parola di Dio ed avere in comune il Battesimo ?” E c’è chi obietta che questo avvicinamento all’ortodossia significa privilegiare chi, nel mondo cristiano, è più restio al rinnovamento.
Per quanto riguarda i protestanti al Sinodo hanno avuto una accoglienza di secondo livello. Perché non è stato invitato (o non ha accettato di partecipare) il pastore Samuel Kobia, segretario generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese? Eppure gli evangelici, seguaci della Riforma, hanno titoli particolarissimi per parlare della Bibbia, mentre la maggior parte degli ortodossi si è accostata molto recentemente ad una sua lettura molto letterale.
Ci sembra comunque importante avere ribadito quanto afferma il Messaggio (con parole più efficaci della proposizione n. 36) che auspica “traduzioni bibliche comuni, la diffusione del testo sacro, la preghiera biblica ecumenica, il dialogo esegetico, lo studio ed il confronto tra le varie interpretazioni delle Sacre Scritture, lo scambio dei valori insiti nelle diverse tradizioni spirituali, l’annuncio e la testimonianza comune della Parola di Dio in un mondo secolarizzato”.
Ebrei ed islam
La proposizione n.52 conferma che
“la comprensione ebraica della Bibbia può aiutare l’intelligenza e lo studio delle Scritture da parte dei cristiani” e “suggerisce alle Conferenze Episcopali di promuovere incontri e dialoghi tra ebrei e cristiani”. E’ una linea esplicita che deve essere seguita senza timidezze o reticenze. Importante e nuovo è stato l’intervento al Sinodo di Shear Yesuv Cohen, rabbino capo di Haifa. La proposizione n. 53 invece conferma il dialogo con l’islam e ne detta i contenuti: “l’importanza del rispetto della vita, dei diritti dell’uomo e della donna, come pure la distinzione tra l’ordine socio-politico e l’ordine religioso nella promozione della giustizia e della pace nel mondo.” Ed aggiunge che “tema importante in questo dialogo sarà anche la reciprocità e la libertà di coscienza e di religione”. Sono tutte indicazioni positive salvo il riferimento alla reciprocità, che, se ha una sua logica, adombra la campagna antislam dell’area cristiana fondamentalista che la vuole porre come condizione per una doverosa libertà di culto ed una migliore accoglienza dei mussulmani nei paesi di antica civilizzazione cristiana.
Dialogo interreligioso
Sul dialogo interreligioso la proposizione 50 riprende i contenuti della Nostra Aetate ma accenti interessanti si sono sentiti negli interventi e sono stati ripresi dal Messaggio (n. 14): “il cristiano trova sintonie comuni con le grandi tradizioni religiose dell’Oriente che ci insegnano nei loro testi sacri il rispetto della vita, la contemplazione, il silenzio, la semplicità, la rinuncia, come accade nel buddismo; oppure, come nell’induismo, esaltano il senso della sacralità, il sacrificio, il pellegrinaggio, il digiuno, i simboli sacri; o , come nel confucianesimo, la sapienza ed i valori familiari e sociali; o, come nelle religioni tradizionali, i valori spirituali espressi nei riti e nelle culture orali”e inoltre: “Anche con quanti non credono in Dio ma che si sforzano di “praticare la giustizia, amare la pietà, camminare con umiltà” (Mi 6,8) bisogna lavorare per un mondo più giusto e pacificato”. Sono indicazioni preziose che testimoniano di molte riflessioni di quella parte della nostra Chiesa, soprattutto in Oriente, che si confronta quotidianamente con culture diverse e in condizione di assoluta minoranza.
Le “sette”
La proposizione n. 47 parla delle “sette”, termine equivocabile che bisognerebbe evitare di usare. Dopo aver espresso la propria forte preoccupazione ed aver dato indicazioni, piuttosto tradizionali, sul modo di rapportarsi ad esse, il Sinodo si propone di studiare il fenomeno “nella sua ampiezza anche globale e nelle sue ricadute anche locali”. Ma c’è chi ha detto di più e di meglio, per esempio Mons. Walmor Oliveira de Azevedo, vescovo di Belo Horizonte: “da notare che le persone che riempiono le varie sette nei nostri diversi contesti, sono quasi sempre originarie dal cattolicesimo. Basta che passino a queste sette, cambiano il loro modo di comportarsi. Assumono dei degni comportamenti morali, lasciando ciò che ritengono indegno della loro nuova vita da credenti. Quindi, la Parola che ascoltano diventa performativa della loro vita, alimenta la loro spiritualità e la loro scelta per una testimonianza dei valori religiosi che ora interiorizzano”. Se l’analisi è vera, essa costituisce una sferzata per quelle Chiese dove il fenomeno si sviluppa vivacemente, come in America Latina.
Riflessioni conclusive
Questo Sinodo rimarrà nella storia della Chiesa, solo come una buona occasione di discussione, ininfluente nel pigro scorrere della vita di gran parte delle Chiese locali? E con il rischio di essere poi isterilito dalla successiva Esortazione apostolica? Eppure tante cose importanti sono state dette; forse quella che è mancata è stata la proposta di una esplicita mobilitazione perché si dia la priorità assoluta in ogni comunità cristiana alla riflessione, alla preghiera e alla pratica di vita fondata sulla Parola di Dio, lasciando in secondo piano strutture ecclesiastiche, canoni, discusse norme morali, gerarchie, anche dogmi il cui vero radicamento biblico spesso è tutto da dimostrare.
Con la parole della Comunità cristiana di base di S. Paolo di Roma riproponiamo alcune nostre opinioni conclusive:
— le Scritture ebraiche e cristiane contengono un messaggio d’amore del Signore per l’umanità, tale messaggio è espresso con deboli parole umane e, spesso, quasi sepolto o nascosto da espressioni fin troppo umane, che trasudano di pregiudizi, e spesso anche di violenza, e sono gravate da insuperabili limiti culturali. E’ dunque impresa necessaria, ma ardua e delicata, distinguere tra la Parola e le parole, tra il cuore del messaggio e il suo rivestimento inevitabilmente limitato;
–lo studio delle Sacre Scritture è tanto più proficuo quanto più l’ascolto tra “docenti” e “discenti” è reciproco, ed entrambi siano attenti all’ascolto dello Spirito santo, che è sopra a tutti e si manifesta talvolta nei modi più inattesi e attraverso le persone più impensate: i piccoli, i poveri, gli emarginati (Mt 11, 25 e par.);
–chi affronta lo studio delle Sacre Scritture non può fare a meno di tenere presenti, per quanto è possibile, le precedenti interpretazioni, specialmente quelle che sono state assunte al livello “magisteriale”; ma anche che non dovrebbe sacrificare a queste la sua libertà di ricerca. Accettare, per eccesso di ubbidienza o per pigrizia, le spiegazioni date senza esserne intimamente convinti; accantonare i passi difficili; rifiutare come eretiche o pericolose certe opinioni prima di discuterle con serenità, non serve a niente, anzi diminuisce nel credente la capacità di “rendere ragione della propria speranza” (I Pt 3,15);
–Lo scarso amore e lo scarso interesse per le Scritture, lamentato qua e là nei documenti preparatori e durante il Sinodo, potrebbe essere dovuto al non convinto riconoscimento della loro ricchezza e della loro attualissima validità nonché alla sottovalutazione degli effetti che potrebbe avere sulla vita personale e comunitaria una loro lettura approfondita, senza pregiudizi e sensibile alle nuove esigenze e conoscenze antropologiche e culturali di un mondo in rapidissimo e multiforme cambiamento:
–siamo consapevoli che aprirsi senza corazze protettive alla Parola di Dio, “lasciare ogni cosa e seguirlo” come il Signore chiede, restando nel mondo, comporta inevitabilmente rischi ed emarginazioni. Si hanno “il centuplo quaggiù” in fratelli e sorelle e senso della vita, ma anche persecuzioni, come prevedeva l’evangelista (Mc 10,30; 10,16; Gv 15,18). Di fatto, come avvenne con Gesù, quando si annuncia e si testimonia con sincerità il Vangelo, si suscita la reazione dei “poteri forti” del denaro e dell’egoismo. E allora c’è il pericolo dei compromessi.
Roma, 19 novembre 2008
"Noi Siamo Chiesa"
(19 novembre 2008)
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