Riforme condivise, ovvero: qui comando io

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di Paolo Farinella, prete
 
Il discorso ecumenico di fine d’anno del Presidente della Repubblica ha dato la stura alla feccia e alle fogne. In un tempo normale, sarebbe stato un discorso sereno e di respiro pacificante con uno stimolo alla speranza. Sarebbe stato … se non fosse …! Infatti, così fu.

Il Presidente non aveva ancora chiuso la sua augusta bocca che subito cominciano i botti di capodanno, specialmente sulla sponda destra del Paese, per festeggiare il grande equilibrio, lo spirito unitario e specialmente il richiamo alle riforme che la ministra Carfagna, esperta in materia, vorrebbe anche che fossero fatte «con amore» e magari fissate su calendario finto Pirelli. Detto e fatto. Bisogna fare subito le riforme: lo dice anche il Capo dello Stato. Al convito di nozze delle riforme bisogna invitare anche l’opposizione. Quale opposizione? Non certamente quella che c’è, ma solo quella che la Destra vorrebbe e vuole, anche a costo di comprarla al mercato. Berluskonijad infatti domenica 3 gennaio, sistemate le bende, va al supermercato a comprare un par di chili di «manzo condiviso». Com’era bello il vostro presidente, con le bende del martirio!

Si dice che la cantina di Arcore sia piena di poster formare 6×6 con la sua faccia sanguinante che dai muri delle città «colpirà» a morte, ma sempre con amore, i distributori dell’odio per le prossime elezioni regionali. Una commissione sta già lavorando per le prossime politiche: invece dell’album di foto di «Una famiglia italiana», distribuirà «porta-a-porta» una reliquia fatta con le bende e specialmente con la camicia che in tutto il parapiglia non si è sporcata nemmeno di una goccia di sangue. E’ stato un miracolo! Don Verzè glielo aveva anticipato: Tu sarai miracolato sulla via del Duomo. Tocchetti di malta e silicone che ricoprivano la guancia sinistra colpita (ah! la sinistra fonte di perenne dolore!), verranno messe all’asta e il ricavato andrà in beneficienza al sereno, mitico, sano partito dell’Amore. Lui lo dice sempre: chi ama deve pagare!

Dal canto suo la sinistra – ohibò, non esageriamo! –, ma sarebbe meglio dire la destra che gira tanto su se stessa che qualche volta si trova per caso a sinistra e si confonde, fa di tutto per facilitare l’en plain. Chi fosse incredulo faccia un pellegrinaggio in Puglia o in Lazio e si accorgerà che tutto è pronto per incoronare Berluskonijad 1° presidente a vita dei resti archeologici della ex sinistra, ora riformista, forse centrista, probabilmente destra che non disdice di svoltare a sinistra quando si tratta di fare riforme condivise.

Bersani è coccolato da tutta la destra e Berluskonijad manda ogni sera Bonaiuti, Bondi e Brunetta a rimboccargli le coperte, a cantargli la ninna-nanna e a suonargli il serpente a sonagli per incantarlo. Con Bersani, sì che si può parlare: è persona seria, non disdice il salvataggio del capo da quei cattivi dei giudici, e poi anche lui vuole «più potere al premier» perché così qualche volta può andare a pescare a Piacenza tranquillo e coltivare gli affetti «condivisi» in famiglia; tanto di là c’è lui che comanda sia la maggioranza che l’opposizione. Meno male che non siamo al tempo di Troia perché allora si diceva che «Timeo Danos et dona ferentes – Temo hgli sciacalli berlusconiani anche quando portano doni». Ma no, Bersani è come il gas, «gli dà una mano».

La Moratti si chiama Letizia ed è così lieta del centenario di Bettino che ad ogni costo gli vuole intitolare una via, ma ha un problema: «Via Bettino Craxi» potrebbe essere equivocato e tutti potrebbero intendere «Fuori Bettino Craxi». Che fare? Come onorare uno «statista» che tanto fece per l’Italia e per la «Milano da bere»? Gli si potrebbe dedicare il carcere di Opera con un cartiglio: «A Bettino Craxi che questo carcere non ospitò perché da ladro di Stato, corruttore e corrotto, per il rotto della cuffia riuscì a scappare a spese degli Italiani, fregandoli anche da latitante. Al grande Ladro, donna Letizia pose in memoriam». Oppure si potrebbe optare per mettere una targa a Montecitorio: «In questa casa del popolo espresse l’arte sua migliore di politico socialista e sognatore del sol dell’avvenire: qui fu maestro di furto con destrezza, di corruttela con garbo, di politica con amore a pagamento. Monito d’esempio perenne ai nuovi inquilini. Devoti posero i figli naturali, il figlio prediletto Berluskonijad e tutti i delinquenti latitanti. Una prece».

Un mio amico prete con delicatezza mi ha fatto osservare che le mie note trasudano «astio», parola ripetuta più volte e solo due volte ha detto anche la parola «odio», dichiarandosi preoccupato di dovermi poi difendere anche di fronte a chi dà giudizi negativi. Siccome stimo questo mio amico, ho riflettuto molto sulle sue parole e ho fatto anche un radicale esame di coscienza, andando a rileggere qualche nota precedente. Mi sono detto: chissà che leggendo a freddo no venga fuori anche da me questo sentimento di «astio». Devo però dire che non ho trovato in me e nei miei scritti tracce di «astio» e tanto meno di «odio». Non conosco questi due sentimenti che non mi appartengono per natura, né per formazione né per lavoro di profondità fatto in me per anni e anni. Ho controllato di corsa anche le migliaia di e-mail ricevute da uomini, donne, anche preti, credenti e non credenti e alcuni hanno da eccepire sul «tono» (a occhio il 5%), mentre il restante 95% condivide in tutto o in parte. Solo tre lettori (un uomo e due donne) mi hanno chiesto «perché odio così tanto Berlusconi». Altre due persone mi hanno chiesto di essere depennati dalla lista che comprende circa un migliaio di nomi.

A questo punto, tiro io una conclusione. Se qualcuno percepisce sentimenti che io non nutro e non ho, vuol dire questi ha un problema che deve risolvere e forse non è un problema di astio, ma di altro genere che bisogna indagare e chiamare per nome. Voglio dire che forse sotto c’è dell’altro, situato a livello d’inconscio che non viene a galla o gli si impedisce di venire a galla. Molti mi scrivono: «lei ha coraggio». Io rispondo, ed è la verità: non è coraggio, ma solo coerenza con la propria coscienza e con la fede. La materia poi non rientra tra quelle definite della dottrina, ma deve essere illuminata dalla dottrina, altrimenti noi predichiamo in un modo e viviamo in un altro e questo non sta bene. Se criticare il governo e i comportamenti personali del presidente del consiglio e i le sue leggi che cozzano alla grande con i principi cristiani che lui dichiara «essere al centro dell’azione del suo governo» dà fastidio alla gerarchia cattolica, il vescovo mio ha un solo obbligo di coscienza: dimettermi da parroco. Lui però sa che non può fare a norma di diritto. Io penso che quando il presidente del consiglio scrive pubblicamente al papa che «i principi cristiani sono al centro del governo da me presieduto», i preti, i parroci, i vescovi, le suore, i cardinali, il papa, i santi e le sante, atei e non credenti dovrebbero sorgere come una sola cosa e rovesciare il suo palazzo come una calza e buttarlo nella spazzatura non riciclabile, magari in un inceneritore che lui stesso ha fatto finta di inaugurare. Io so e vedo che l’apparato ecclesiastico tace e disorienta il suo popolo. Voglio sapere se per interesse o per complicit&agra
ve; di altro genere.

Per gli stessi motivi che io scrivo, nel 1977 il cardinale di Milano, Giovanni Colombo, ridusse allo stato laicale un prete, Don Marco D’Elia, che criticava ferocemente la dc milanese (oggi confluita nella Lega e nel pied-à-terre berlusconiano), Comunione e Liberazione e una parte della chiesa ambrosiana per gli illeciti affari immorali «condivisi». A distanza di 33 anni, oggi quel prete viene riabilitato da un altro cardinale, Dionigi Tettamanzi, che lo ha riammesso nel clero milanese. La cosa tragica è che nella Messa di ringraziamento con lui hanno concelebrato il Decano che si è operato per riammetterlo e tre preti. Solo tre preti su circa un migliaio di preti milanesi. Hanno fatto bene perché si sarebbero sentiti a disagio (per non dire altro). E’ meglio che il mio vescovo non faccia nulla perché mi costringerebbe a vivere almeno altri 33 anni in attesa che un altro cardinale, dopo di lui, ripeta la riparazione. E’ meglio lasciare le cose come stanno.

Ai preti che mi telefonano e mi scrivono per incoraggiarmi ed esprimermi in privato la loro solidarietà, dò la mia gratitudine, nulla pretendendo da loro e niente chiedendo, nemmeno che mi difendano perché non so da cosa debbo essere difeso. Si vuole dire che sono pazzo? Lo si dica! Si vuole dire che sono strano? Non equilibrato? Poco sacerdotale? Io garantisco la libertà di pensiero e di espressione. Nessuna paura! Pongo a tutti, però, una semplice domanda che non può essere elusa: le cose che dico «sono vere o sono false»? Il resto è pula che il vento disperde.

Verrà un giorno, in cui a noi verrà chiesto conto di dove eravamo in questi tempi, in questi giorni. Ebbene, io non voglio essere nel mucchio degli ignari e degli ignavi. Sbaglio o indovino, io voglio rispondere all’appello: «Presente. Io c’ero e ho dato del mio».

(5 gennaio 2010)

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