Rilanciare le imprese pubbliche attraverso missioni strategiche nazionali
Simone Gasperin
La proposta del Forum Disuguaglianze all’interno del rapporto presentato lo scorso primo luglio con diverse interviste agli amministratori delle principali imprese controllate dallo Stato. Il punto di partenza: nei dieci anni successivi alla crisi del 2008 lo Stato è tornato a svolgere un ruolo da protagonista dello sviluppo economico, anche attraverso la gestione diretta delle imprese.
e Federico Maria Mucciarelli*
Il ritorno dell’impresa pubblica dopo la crisi
Orientare il cambiamento tecnologico verso lo sviluppo sostenibile e la giustizia sociale è un problema centrale del nostro tempo. È anche uno degli obiettivi del Forum Disuguaglianze e Diversità, che ha individuato nelle imprese pubbliche italiane un attore imprescindibile in questo processo. Da qui nasce un lavoro di studio e di proposta, svolto da una Commissione composta di studiosi, esperti e attivisti, con la quale si è dato vita al Rapporto “Missioni strategiche per le imprese pubbliche italiane”, presentato lo scorso primo luglio. Un lavoro che abbiamo realizzato anche attraverso una dozzina di interviste con gli amministratori delle principali imprese controllate dallo Stato.
Il punto di partenza del Rapporto è il seguente: nei dieci anni successivi alla crisi del 2008, in tutti i paesi a capitalismo maturo, lo Stato è tornato a svolgere un ruolo da protagonista dello sviluppo economico, anche attraverso la gestione diretta di imprese. La ricerca scientifica e i più autorevoli commentatori lo hanno ripetutamente riconosciuto: si pensi all’Economist, che nel 2012 titolava provocatoriamente “Il ritorno del Capitalismo di Stato”; oppure ad alcuni recenti lavori dell’OCSE, che affronta la diffusione e la natura delle imprese “possedute” dallo Stato, redigendo linee guida finalizzate a realizzare una gestione efficiente ed attenta ai molteplici fini delle imprese pubbliche, guardando oltre al mantra delle privatizzazioni.
Le virtù e i pregiudizi sulle imprese pubbliche
L’esistenza di imprese pubbliche solleva obiezioni ben radicate. Fra tutte, l’idea che esse sarebbero intrinsecamente inefficienti e soggette a giochi di potere e corruzione. Inoltre, gli amministratori di società pubbliche risulterebbero “servitori di più padroni”, perché chiamati a bilanciare interessi e spinte divergenti, a differenza degli amministratori di imprese “private” che avrebbero come unico obiettivo la massimizzazione del profitto.
Con il Rapporto che abbiamo elaborato, abbiamo cercato di dimostrare che queste obiezioni non bastano a rigettare in radice la funzione centrale dello Stato azionista. Le degenerazioni collusive e opache possono essere evitate, con idonei meccanismi e procedure. E la difficile posizione degli amministratori di imprese pubbliche non deve essere sopravvalutata, perché anche nelle imprese interamente “private” di grandi dimensioni gli amministratori devono tener conto di molteplici mercati, interessi e sollecitazioni, sviluppando rapporti fiduciari di lungo periodo con lo Stato (come avviene, ad esempio, in Germania e nelle economie dell’Est asiatico).
In definitiva, si possono – se esiste la volontà politica – disegnare accorgimenti che consentano di rilanciare la funzione imprenditoriale dello Stato, nei settori e per le finalità in cui essa si riveli necessaria. Questa ragione risiede essenzialmente in una constatazione: l’Italia si trova ancora di fronte alle conseguenze della crisi economica del 2008, ora terribilmente aggravate dalla pandemia Covid-19. In questo contesto drammatico, lo Stato deve svolgere un ruolo essenziale, come “creatore” di mercati in settori innovativi dominati dall’incertezza, non dal semplice rischio d’impresa, per perseguire finalità di sistema e di lungo periodo che gli attori privati, da soli, non sono in grado di realizzare.
Un rapporto sulle imprese pubbliche con la proposta per un cambio di marcia
Il punto di approdo del Rapporto è chiaro, seppure paradossale: le imprese pubbliche sono tuttora un pilastro del capitalismo italiano, ma il loro pieno potenziale sistemico è frustrato dall’assenteismo dello Stato azionista.
Guardando i dati, le imprese pubbliche italiane, nonostante le privatizzazioni degli anni ‘90, mantengono una sorprendente potenza di fuoco. Nel 2018, ad esempio, fra le 10 aziende più grandi in Italia per fatturato, 6 sono a controllo pubblico. Le 20 più grandi imprese pubbliche fatturano oltre 250 miliardi di euro all’anno, generando più di 13 miliardi di euro di utili (e si stima che di questi circa 2,7 miliardi vadano all’azionista pubblico sotto forma di dividendi). Esse impiegano oltre 500 mila dipendenti, di cui 350 mila in Italia. Ancora: le imprese “pubbliche” sono responsabili del 17% degli investimenti fissi e delle spese in Ricerca e Sviluppo del settore delle imprese e rappresentano circa il 30% della capitalizzazione di Borsa. Sono presenti con posizioni competitive di punta, spesso a livello internazionale, in settori strategici ad alto contenuto tecnico e di innovazione.
Cosa non funziona quindi? Il problema principale, che è emerso dai colloqui con i vertici delle stesse imprese, è che questo potenziale è utilizzato solo in parte. E le ragioni sono molte, ma quella più evidente è stata che queste imprese operano in maniera “atomistica”, con strategie spesso tra loro slegate se non, talvolta, in contrasto con quelle di altre imprese “sorelle”. Lo Stato, in altri termini, è un “proprietario” assenteista, che non coordina l’attività delle società controllate lungo direttrici e strategie comuni.
Missioni per le imprese pubbliche e un rafforzamento tecnico dello Stato azionista
Il tema critico è l’assenza di una strategia industriale a livello Paese, a cui faccia seguito un coordinamento degli investimenti e delle iniziative a livello di sistema. In primo luogo, lo Stato dovrebbe formulare in maniera esplicita e trasparente “missioni” strategiche di interesse nazionale. L’azionista pubblico, quindi, non deve interessarsi solo a percepire dividendi o, peggio ancora, a sfruttare le imprese controllate come fabbrica di poltrone, ma deve dotarsi di procedure trasparenti per ricondurre la definizione delle politiche industriali nell’alveo del circuito democratico.
A tale fine, la nostra proposta è di costituire strutture tecniche che siano adeguate al dialogo con i vertici delle imprese e che conformino l’azione delle amministrazioni pubbliche al soddisfacimento delle missioni. Si delinea quindi un flusso circolare, in cui siano valorizzate le esperienze e le visioni del management delle imprese pubbliche, inserendole dinamicamente entro il circuito politico attraverso il raccordo di strutture tecniche. Da quest’idea deriva la proposta di costituire un Consiglio degli Esperti delle imprese pubbliche presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, avente il compito di dialogare con le imprese pubbliche e di consentire un dialogo strutturato per obiettivi o per filiere produttive tra imprese pubbliche e lo Stato azionista, per realizzare le missioni strategiche definite a monte, ma anche per la loro continua revisione. Il tutto, ovviamente, nel rispetto pieno dell’autonomia dei consigli di amministrazione delle società partecipate dallo Stato. Questa proposta
dovrebbe essere in grado di ricreare una tecnocrazia pubblica competente in materia industriale, come avvenne in altre fasi della nostra storia, basti pensare ai collaboratori di Enrico Mattei all’Eni, o alla dirigenza post-bellica dell’IRI che guidò la ricostruzione del Paese.
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Le opportunità dell’impresa pubblica per uscire dalla crisi e rilanciare lo sviluppo
Il Rapporto “Missioni strategiche per le imprese pubbliche italiane” intende potenziare il sistema delle imprese pubbliche e ridefinire il ruolo dello Stato nell’economia, in maniera democratica e trasparente. L’obiettivo è consentire alle imprese pubbliche di avere un impatto ancor più positivo sul resto del Sistema-Paese, nella convinzione che anche le altre imprese (quelle interamente “private”) trarrebbero giovamento sul lungo periodo da un’azione forte e coordinata dello Stato.
La crisi economica e sociale che il Paese sta attraversando rende ancora più necessario attivare il pieno potenziale trasformativo delle imprese pubbliche. Non solo di quella ventina attualmente esistenti, ma anche di quelle che potrebbero nascere come conseguenza della crisi, sulle quali lo Stato italiano non può astenersi da un coordinamento strategico e dall’attribuire loro missioni di carattere industriale, ambientale e sociale.
* Gli autori sono membri della Commissione Imprese e Sviluppo che ha redatto il Rapporto “Missioni strategiche per le imprese pubbliche italiane”.
Simone Gasperin. Economista, ricercatore in Innovation Theory and Public Policy presso lo UCL Institute for Innovation and Public Purpose di Londra. Si occupa di imprese partecipate dallo Stato, economia industriale, storia economica. Nel 2019 ha pubblicato il volume Critical Economics in Times of Crisis per la casa editrice Routledge.
Federico Maria Mucciarelli. È professore ordinario di diritto commerciale presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. È stato ricercatore presso l’Università degli Studi di Bologna, research fellow presso NYU Law School e reader presso SOAS, University of London. In precedenza, ha lavorato per la Banca d’Italia e per il gruppo parlamentare della Camera dei Deputati dei Democratici di Sinistra.
(13 luglio 2020)
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