Rivolta o ideologia

MicroMega

Ripubblichiamo l’editoriale di apertura del di MicroMega dedicato al movimento degli studenti, in edicola.

di Paolo Flores d’Arcais

La diseguaglianza, il conformismo, la paura, sono i vettori socio-psicologici attraverso cui il potere degli establishment nega nella vita quotidiana l’effettiva autonomia di ciascuno, solennemente sbandierata e analiticamente ricamata negli articoli delle Costituzioni democratiche. Con ciò viene vanificata a retorica (e infine soppressa anche nel discorso) quella eguale dignità dei cittadini (e ancor prima perfino dei sudditi) che è all’origine della modernità e che da tutti viene confessata apertis verbis come valore fondante, per essere immediatamente immolata attraverso un vaso di pandora di ‘restrizioni mentali’ che, nella produzione di leggi ordinarie e di pratiche di potere, anziché realizzarla (approssimarla asintoticamente) la rovescia nel doppio binario: un ‘loro’ di privilegiati e un ‘noi’ di ‘cittadini’ senza potere (per non parlare dei ‘paria’ del nostro vivere ‘civile’: sans papier e altri emarginati, veri e propri iloti del turbocapitalismo).
L’Onda, il movimento di contestazione e proposta che ha investito l’università e le scuole di ogni ordine e grado, avrà la capacità di esprimere una resistenza e anzi produrre un’offensiva contro i tre killer della libertà/potere di ciascuno – diseguaglianza, conformismo, paura – citati all’inizio? O si cheterà progressivamente, infine estinguendosi, nell’oscillazione fra sirene di mera espressività ideologica e arroccamenti nella problematica interna e ‘riformista’? Il secondo pericolo sembra per fortuna remoto, ma potrebbe trovare presto ampi spazi e nuovo ascolto se nel movimento prevarrà l’egemonia della chiacchiera ‘iper-rivoluzionaria’ innocua, che nella produzione di documenti chiliastico-eversivi trova spesso un consolante surrogato alla carenza di azione, cioè alla capacità effettiva di intaccare i rapporti di potere. Il governo infatti, dopo le rodomontate del premier sul bastone-senza-se-e-senza-ma, ha fin qui seguito la strategia della carota, nella speranza che l’Onda, sublimando la lotta in surenchère ideologica, ed estenuando le sue forze per mancanza di obiettivi, dia nuovamente fiato agli ‘studenti che vogliono studiare’.
Tutto si giocherà a cavallo delle vacanze invernali. Se il movimento avrà energie sufficienti per tornare in piazza anche dopo l’epifania, e rinnovare occupazioni ‘creative’ e altre innovative forme di lotta, diventerà un fattore cruciale dello scontro sociale e di potere che si svolge in Italia, questa ‘periferia sperimentale’ del liberismo selvaggio, all’avanguardia nel realizzare un modello di putinismo occidentale, un capitalismo di oligarchi trionfalmente sottratti ai lacci e lacciuoli della legge, nell’orizzonte di uno Stato patrimoniale anziché costituzionale, concimato nel suo pil da un dispiegato intreccio di mafie e corruzioni, in un crescere esponenziale di diseguaglianza e vorticoso tracollo di diritti e di protezioni sociali.
Il carattere periferico della ‘azienda Italia’ (così ormai la Repubblica nata dalla Resistenza, nella vulgata embedded) non deve far sottovalutare il ruolo di battistrada per il resto dell’Occidente che può avere questa sperimentazione di estinzione della democrazia in versione di populismo postmoderno (del resto tale ruolo lo Stivale coprì già con il mussolinismo, aprendo la via al male assoluto del nazismo e al perdurare post-bellico dei fascismi – franchismo e salazarismo).
Ma l’Onda potrà scavalcare le feste solo espandendosi a movimento catalizzatore di altri movimenti sociali, di altre espressioni di rivolta civile di massa e di passione repubblicana per l’eguaglianza, intercettando e piegando a questi valori il diffuso (e sacrosanto) bisogno di efficienza, altrimenti ambiguo.
Rivolta o ideologia, dunque.
Si è detto che l’Onda non ha nulla in comune con l’ondata di lotte studentesche del ’68. È vero. Anzi è quasi vero. Un unico tratto, infatti, rischia di accomunare questi due episodi, a distanza di due generazioni: l’ideologia che rapidamente prende il sopravvento sulla rivolta, e la spegne. La contorta e fumosa ‘analisi rivoluzionaria’ che congela lo spirito libertario e rinuncia ad alterare subito i rapporti di potere a danno dell’establishment, in nome di un ‘vogliamo tutto’ politicamente intraducibile e dunque innocuo.
L’ideologia di ieri e di oggi non è la stessa, ma la sua funzione di avvilimento del movimento rischia di essere identica. Due generazioni fa l’ideologia era quella delle ‘eresie’ del movimento operaio (ma l’unica eresia vera e potenzialmente feconda, la tradizione di Rosa Luxemburg e dei ‘consigli’, resto marginalissima). Maoismi da una parte e operaismi dall’altra (in Francia anche le diverse ortodossie di trozkismo) rapidamente divennero i ‘groupuscules’ egemoni di un movimento in risacca. Oggi le élite dirigenti di una terza generazione della ‘autonomia’ potrebbero costituire analoga forza paralizzante per l’autonomia reale della rivolta.
Qualche sintomo. Idealizzare (anche nel senso hegeliano) la condizione effettiva dello studente – che è provvisoria, variegata, magmatica – nella figura sociale del lavoratore postmoderno potenziale affossatore del sistema (lo studente già ‘a tutti gli effetti lavoratore dentro i nodi produttivi della metropoli’), può regalare brividi di esaltazione autocelebrativa, figurandosi un ruolo storico-mondiale (hegeliano, appunto) in realtà puramente immaginario, ma, come sempre avviene con l’ideologia, prepara l’eclisse delle lotte reali, della concretezza della rivolta.
La concretezza dice che, socialmente parlando, ci sono studenti e studenti (tanto rispetto alle origini quanto soprattutto rispetto alle prospettive di lavoro futuro). Quello che un tempo si banalizzava come ‘figlio di papà’, ma che in realtà è da prendere estremamente sul serio perché ‘establishment in formazione’, nel liberismo senza regole del putinismo occidentale, versione esponenziale del ‘familismo amorale’, è figura sempre più rilevante della divisione di classe nel periodo formativo dell’università. Non conosce incubi di precariato, ma la certezza di prebende anche a mediocrità di risultati scolastici: è la immeritocrazia vivente di chi ha ‘santi in paradiso’. Le fumose teorizzazioni di un ‘general intellect’ e della «fine delle distinzioni fra luoghi produttivi e luoghi della riproduzione sociale e fra università e metropoli [egualmente] “investite dal lavoro materiale e cognitivo’’» (cfr. saggio di Carnevali e Sciuto in questo stesso numero) occultano perciò la realtà segmentata, mutevole e soprattutto conflittuale del magma studentesco.
Questa strutturale differenza di interessi futuri si manifesta qui-e-ora come differenza di valori rispetto alla lotta, alla rivolta. Tra chi vi partecipa attivamente, saltuariamente, non vi partecipa ancora (ma potrebbe esservi coinvolto), non può esservi trascinato, la detesta e combatte, silenziosamente o apertamente. Ridurre tutto
ciò a ‘forza-lavoro cognitiva’ o altre escogitazioni ideologiche, significa annegare la realtà sociale caleidoscopica dello studente in una ipostasi, nella famosa notte dell’Assoluto in cui ‘tutte le vacche sono nere’ che Hegel rimproverava a Schelling (salvo sviluppare una filosofia altrettanto santificatrice dell’esistente).
L’ideologia che egemonizza la rivolta può spingere un movimento all’autismo, alla incapacità di collegarsi con gli altri movimenti reali, che oggi esistono anche (e spesso soprattutto) come movimenti di opinione, o in forma carsica. Il rifiuto di agire anche sul versante politico generale (e istituzionale) rischia infine di trasformare un movimento di lotta in una mera variabile – del resto sempre più flebile – interna al ‘gioco’ politico, che resta saldamente in mano all’establishment che può davvero metabolizzarlo con fastidi minimi.
Oggi è parte della rivolta anti-establishment ogni movimento per la legalità repubblicana, vero e proprio potere dei senza potere che non a caso il putinismo occidentale cerca di smantellare, ogni movimento per la trasparenza dei mercati, che sempre più invece esigono e ottengono privacy, ogni movimento per l’allargamento dei diritti civili alle minoranze, che si scontra con un vero e proprio tentativo di ‘reconquista’ clerico-reazionaria, e soprattutto può diventare rivolta la critica e il rifiuto (che ancora non trova espressioni politiche neppure embrionali) del sabba di diseguaglianze crescenti e indecenti che caratterizza questa fase politica.
Saprà l’Onda farsi catalizzatore e levatrice di tutto ciò, o si farà irretire nella facile autogratificazione ideologica che le fa temere la parola stessa ‘riformismo’ in nome di una ‘purezza’ antagonista? Sarebbe in tal modo di fatto subalterna al Partito democratico e alla sua autodefinizione, del tutto abusiva data la catatonicità del partito di Veltroni. Sarà invece capace di fare della rivolta l’onda d’urto per riforme che sovvertano i rapporti di privilegio e di forza a danno dell’establishment e a vantaggio dei senza potere?

(29 dicembre 2008)



MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.