Robert Mapplethorpe, estetica e desiderio

Mariasole Garacci

A trent’anni dalla sua morte, tre mostre a Torino, Roma e Napoli celebrano il fotografo statunitense che esplorò il mondo del sesso estremo con lo sguardo dell’esteta.

Artista famoso e lanciato nel beau monde con una serie di importanti mostre negli Stati Uniti e in Europa, il 9 marzo del 1989, all’età di quarantatré anni Robert Mapplethorpe, come già il suo mentore, amante e amico Sam Wagstaff due anni prima, moriva a causa di complicanze legate all’AIDS. Una morte da personaggio di Michael Cunningham, verrebbe da dire. Siamo alla fine del mandato di Ronald Reagan, il quale, accusato di trascurare quella che nel Paese aveva assunto le sembianze di una vera epidemia, nel 1987, su sollecitazione della sua amica ed ex collega Elizabeth Taylor, aveva dato un discorso ufficiale chiamando finalmente con nome appropriato la cosiddetta “malattia dei gay” o “GRID”, gay related immune deficiency. Nel 1988, un anno prima di morire e consapevole del suo destino, Mapplethorpe aveva scattato un autoritratto in bianco e nero che ha del memento mori barocco per l’icasticità da emblema moralizzante, ma che di quel genere rovesciava ironicamente il messaggio. Dall’oscurità dello sfondo, arretrato e leggermente fuori fuoco, Mapplethorpe ci lancia un ultimo sguardo: uno sguardo che dei vent’anni non ha perduto la dolcezza e la trasparenza, ma risoluto e adulto; in primissimo piano e punto focale della composizione, la mano destra impugna come uno scettro un bastone da passeggio sormontato da un teschio. Dinanzi alla morte, a cui cede il campo, in questa immagine l’uomo afferma di non lasciarsi spaventare dallo scacco finale a cui dovrà assoggettarsi, di poter ancora esercitare sulla propria esistenza e su ciò che sta accadendogli una forma di dominio. Il dominio e il controllo degli accidenti umani –passioni del corpo e dell’anima, desideri, malattia, morte- attraverso quella forma di conoscenza resa possibile dall’ordine ricercato quasi maniacalmente nelle sue composizioni.

Mapplethorpe nasce nel 1946 a Floral Park, un piccolo village al confine con il Queens, terzo di sei fratelli in una famiglia cattolica di origine irlandese. Presto si immerge nella scena underground della Grande Mela insieme con la sua compagna e amica di una vita Patti Smith, conosciuta nel 1967 e con la quale condivide per alcuni anni una stanza dello storico Chelsea Hotel, frequentato da tanti artisti, musicisti, intellettuali di quegli anni e che dà il titolo a una nota canzone di Leonard Cohen. Sul loro intenso rapporto di amore e complicità la cantante pubblicherà, nel 2010, un libro di memorie dal titolo Just Kids. Nel corso della sua evoluzione artistica, Mapplethorpe è pioniere di un linguaggio destinato a influenzare diversi campi della fotografia, dal ritratto alla pubblicità, anticipando fin dai tempi delle sue polaroid, che hanno per soggetto se stesso e i suoi amici, il narcisismo della selfie-culture. E’ del 1973 la sua prima mostra personale intitolata, appunto, Polaroids, alla Light Gallery di New York. Nello stesso periodo conosce il curatore e collezionista Samuel Wagstaff, che gli regala la prima macchina fotografica professionale e che avrà importanza decisiva nella sua crescita. Passa così alla fotografia in studio, sviluppando quell’accuratezza compositiva e tecnica caratteristica della sua produzione.

Nel 1978 il Chrysler Museum di Norfolk, in Virginia, ospita Photographs, la prima mostra dell’artista in un museo, mentre sue opere vengono esposte al Los Angeles Institute of Contemporary Art nella mostra Bondage and Discipline, e la galleria La Remise di Parigi inaugura la sua prima personale in Europa. Il riconoscimento della sua ricerca permette all’artista di intrattenere rapporti con intellettuali, scrittori, personaggi dello spettacolo e dell’alta società, che diventano il suo pubblico di riferimento e, allo stesso tempo, soggetti e committenti di molti ritratti. Fra le mostre di questo periodo le personali al Frankfurter Kunstverein di Francoforte (1981), al Contemporary Art Center di New Orleans (1982) e al Centre Georges Pompidou di Parigi (1983). Nel 1983 inaugura al Palazzo Fortuny di Venezia la mostra Robert Mapplethorpe, fotografie, ripresa al Palazzo delle Cento Finestre di Firenze, e nel 1984 al Wadsworth Atheneum Museum of Art di Hartford, Connecticut, si tiene Matrix 80: Robert Mapplethorpe, a cui segue, due anni dopo, una mostra al Palazzo Accursio di Bologna.

Con i suoi scatti perfettamente studiati Mapplethorpe ha rivelato l’aspetto estetizzante e teatrale di un prisma di tormenti ed estasi erotici la cui rappresentazione fino a quel momento cadeva sotto il nome di “pornografia”: scene sadomaso e omoerotiche, fellatio, cunnilingus, urofagia, membri maschili in erezione, tormentati nudi scultorei che ricordano i Prigioni di Michelangelo; grazie alla patina glam, all’estrema ricercatezza e all’ascendenza classica e pittorica infusa nella tecnica e nel gusto di Mapplethorpe, questi soggetti oggi sono diventati accettabili (senza che ne sia stata mitigata la carica sessuale di cui viene, anzi, veicolato l’ingresso nel nostro immaginario), influenzando la fotografia e il consumo di immagini fino a sconfinare nel linguaggio della pubblicità e delle riviste patinate. Ma, a quei tempi, la personale The Perfect Moment, ospitata poco prima della sua morte da prestigiose istituzioni statunitensi, fu in grado di suscitare scandalo e furiose polemiche, come già era avvenuto per gli scatti confluiti anni prima in Portfolio X (una serie dedicata alle pratiche S&M, del 1978) e Portfolio Z (nudi e ritratti di afroamericani, del 1981), inframmezzate dalla meno esplicita ma potentemente allusiva serie Portfolio Y, dedicata a soggetti floreali (1981).

Nel ritratto, punto di arrivo di una tensione performativa intensa e coinvolgente culminante con il momento dello scatto, la fotografia di Mapplethorpe ha sviluppato un’erotizzazione romantica e narcisistica del soggetto dinanzi l’obiettivo. Un modo di caratterizzare il soggetto e di coinvolgere emotivamente chi guarda che ha una lunghissima storia nella ritrattistica dipinta (basti pensare a Giorgione). L’individualizzazione del soggetto non è psicologica, non è ricavata da uno scavo introspettivo. Piuttosto, dalla definizione della piena potenzialità estetica del soggetto, intesa nel duplice significato di bellezza formale e percettibilità attraverso la convergenza dei sensi nel desiderio. Fondamentale, in questo, l’incontro con la fotografia storica amata e studiata fin dall’inizio degli anni ’70 nei depositi del Metropolitan Museum of Art, e in occasione della mostra del 1973 The Painterly Photograph, 1890-1914 dedicata ad Alfred Stieglitz, Edward Steichen e altri fotografi pittorialisti. Soprattutto, la passione condivisa con Sam Wagstaff per Nadar, David Octavious Hill, Robert Adamson, Julia Margaret Cameron, di cui quegli possedeva una straordinaria collezione.

Ora, a trent’anni dalla sua scomparsa, in Italia sono tre le mostre che celebrano Mapplethorpe: presso la Galleria Franco Noero a Torino (fino al 20 aprile), e in due importanti sedi pubbliche quali il Madre a Napoli (Robert Mapplethorpe. Coreografia per una mostra / Choreography for an Exhibition, fino al 9 aprile) e la prestigiosa Galleria di Palazzo Corsini a Roma (Robert Mapplethorpe. L’obiettivo sensibile, fino al 30 giugno). Intanto, oltreoceano, il Guggenheim di New York ha inaugurato un progetto biennale intitolato Implicit Tensions: Mapplethorpe now, che in due appuntamenti (il primo in corso, il secondo in apertura a luglio) analizza la produzione di Mapplethorpe e il suo lascito alla successiva generazione di fotografi. Se, come accennato, il linguaggio pubblicitario e il ritratto di celebrità hanno fatto propri stilemi elaborati dal fotografo newyorkese, d’altro canto è importante ricordare che la sua novità è stata recepita anche a un livello più profondo offrendo modalità di espressione alle comunità S&M, LGBTI e afroamericane in cerca di rappresentazione e di riconoscimento, come si vede nel lavoro, ad esempio, di Catherine Opie e Zanele Muholi presenti, tra gli altri, nella mostra americana.

Le mostre di Roma e Napoli, curate rispettivamente da Flaminia Gennari Santori e da Andrea Viliani e Laura Valente, si sono invece concentrate su un altro versante della ricerca di Mapplethorpe, per certi versi speculare e altrettanto interessante, quello retrospettivo riguardante i rimandi culturali e le sommerse ascendenze storico-artistiche della sua poetica. Tanti sono gli esperimenti espositivi più o meno riusciti che ci hanno abituati a spericolate tenzoni tra arte contemporanea e arte antica o moderna, che sarebbe difficile enumerarli qui. Ma queste due mostre hanno il pregio di proporre una lettura sensibile e rivelatrice di un dato stilistico reale, come pochi anni fa, del resto, fece già il confronto tra Mapplethorpe e Michelangelo (Firenze, Galleria dell’Accademia, 2009) e tra Mapplethorpe e Rodin (Parigi, Musée Rodin, 2014). Al Madre, una vera e propria coreografia di ballerini e attori interagisce con le fotografie (fra queste, numerosi ritratti di Arnold Schwarzenegger; Philip Glass con Robert Wilson; David Hockney con Henry Geldzalher; Louise Bour
geois e il gallerista della Pop Art Leo Castelli; Doris Saatchi, Andy Warhol, Francesco Clemente e Lucio Amelio; Susan Sontag; Louise Nevelson; Laurie Anderson e altri, oltre alle immagini dell’NYC Ballet) rilevando la matrice performativa della pratica in studio del fotografo americano. Prestiti dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli mettono in risalto lo studio, nella definizione dei volumi e delle linee di contorno, della statuaria classica da Mapplethorpe osservata e fotografata fin dai tempi del primo viaggio in Europa nel 1970. Un elemento sempre tenuto presente, al punto da fargli dichiarare che se fosse vissuto qualche secolo prima sarebbe stato uno scultore, che la fotografia era il mezzo più veloce per scolpire, e che tutto era, per lui, scultura: le persone, gli oggetti, il nudo, gli atti sadomasochisti immortalati come tableaux vivants.

“L’origine della sua potenza derivava non tanto dallo shock del nuovo ma dallo shock dell’antico, dalla rischiosa imposizione dell’ordine sul caos, del classico su immagini impensabili. Alla fine l’oggetto del suo lavoro era quella stessa simmetria con cui disponeva ogni cosa”, scrisse di lui Joan Didion nel 1989. E proprio su questo “impensato” fa perno il confronto intenzionalmente spericolato, ma non arbitrario, proposto da Gennari Santori a Palazzo Corsini alla Lungara, la splendida residenza dove il cardinale Neri Maria visse dal 1738 all’anno della sua morte nel 1770, e dove un secolo prima aveva abitato, dopo la sua conversione al cattolicesimo, l’anticonformista Cristina di Svezia. Circa cinquanta fotografie in bianco e nero di Mapplethorpe sono inserite negli appartamenti storici, tra dipinti di Caravaggio, Reni, Ribera, Rubens, Albani, Dughet, Berentz, giocando con una diversa idea di simmetria ed euritmia, quella di una quadreria settecentesca ideata per predisporre il conoscitore alla ricerca di assonanze e differenze. L’allestimento della mostra non si limita a suggerire rimandi iconografici o ad esaltare vicendevolmente le opere, ma in qualche modo pone dei segni di interpunzione o apostrofi retoriche nel continuum di immagini prodotto dalla disposizione di una pinacoteca privata. Pause e sintesi tematiche, possibili campionamenti. Una proposta che trova eco nella testimonianza offerta da un servizio fotografico realizzato dallo stesso Mapplethorpe nel 1988 nel suo appartamento-museo, con le pareti coperte da una collezione eterogenea di fotografie, stampe, sculture, dipinti e a cui la curatrice della mostra romana dichiara di essersi ispirata. Il fotografo americano non ha mai visitato Palazzo Corsini, uno scrigno prezioso fra i pochi esempi di residenza nobiliare rimasti intatti a Roma, ma certamente sarebbe stato felice, da esteta amante della bellezza e della perfezione, di vedere le sue opere esposte in un luogo a lui così congeniale.

Torino, Galleria Franco Noero

Robert Mapplethorpe

Fino al 20 aprile 2019

www.franconoero.com

Roma, Palazzo Corsini

Robert Mapplethorpe. L’Obiettivo sensibile

Fino al 30 giugno 2019

www.barberinicorsini.org

Napoli, Madre

Coreografia per una mostra / Choreography for an Exhibition

Fino al 6 aprile 2019

www.madrenapoli.it

(29 marzo 2019)






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