“Giustizia ed eguaglianza contro il razzismo”. 21 ottobre, la società civile torna in piazza

Giacomo Russo Spena

Un cartello di associazioni ha lanciato per sabato 21 ottobre una manifestazione a Roma contro le politiche migratorie volute da Europa e governo Gentiloni e contro ogni guerra tra poveri, per riaffermare l’uguaglianza, una legge sullo ius soli e per richiedere corridoi umanitari per le persone intrappolate in Libia: "Vogliamo portare in piazza un’altra accoglienza che non si basi sul business dell’immigrazione e il confinamento dei corpi ma che, attraverso pratiche solidali e di mutualismo, promuova diritti e percorsi inclusivi".


Il giornale Libero la definirebbe in maniera sprezzante la manifestazione dei "buonisti", quella che sabato 21 ottobre sfilerà per le strade di Roma. In fondo, alcuni media lavorano da tempo per alimentare stereotipi e timori irrazionali foraggiando l’industria della paura. Anni a parlare di "invasione dei clandestini", ad associare i profughi ai terroristi dell’Isis, a trattare l’immigrazione solo come una questione di sicurezza hanno legittimato la guerra tra poveri. Il migrante visto come capro espiatorio della propria condizione di crisi. Anni bui nei quali il M5S, per bocca del suo candidato premier Luigi di Maio, attacca le Ong che lavorano nel Mediterraneo e la cosiddetta sinistra, alias Pd, per mano del ministro Minniti, vara un provvedimento improntato secondo le logiche del leghista Matteo Salvini. Mala tempora currunt.

Anni in cui però i "buonisti" si autorganizzano anche e cercano di far sentire la propria voce battendosi contro ogni forma di deriva populista/xenofoba nel Paese. Parliamo di due modelli di società contrapposti: uno includente, con tutte le sue contraddizioni, l’altro che si chiude dentro ai privilegi di pochi.

Sabato 21 ottobre, nel centro di Roma, sarà l’occasione per una grande mobilitazione nazionale, dallo slogan "Non è reato", contro il razzismo crescente nel Paese e contro il decreto Minniti/Orlando sulla sicurezza urbana, per riaffermare principi come l’uguaglianza, lo ius soli e per richiedere corridoi umanitari e canali di ingresso sicuri e regolari in Europa per chi fugge da guerre, povertà e carestie. Basta morti nel Mediterraneo.

"Vogliamo attraversare insieme le strade della Capitale per renderci visibili con una marea di uomini, donne e bambini che chiedono giustizia sociale e che rifiutano ogni forma di discriminazione", si legge nell’appello di convocazione scritto da realtà sociali che costruiscono, ogni giorno e dal basso, percorsi di accoglienza e inclusione e praticano solidarietà insieme a migranti e richiedenti asilo, convinti che muri e confini di ogni tipo siano la negazione del futuro. Tra gli aderenti ci sono l’ong Medici Senza Frontiere, Amnesty International, Emergency, CNCA, Gruppo Abele, Libera, Arci, Lunaria, Legacoopsociali e organizzazioni note di una società impegnata che invita a scendere in piazza per ribadire che migrare, accogliere, essere solidali o poveri, dissentire "non è reato". Stupisce, ma forse neanche troppo, l’assenza della Cgil nazionale (in piazza ci saranno solo Fiom e Flc) che non ha aderito alla manifestazione ufficialmente perché impegnata a costruire altre giornate di mobilitazione. Versione ufficiosa: la Cgil, a pochi mesi dal voto del 2018, preferisce stare alla larga da ogni mobilitazione più "radicale" e conflittuale nei confronti del governo e del Pd. Oltre a non voler rompere l’unità sindacale ritrovata con Cisl e Uil.

Nella piazza di sabato, come primo passaggio, si affermerà una nuova narrazione pubblica per decostruire la psicosi di massa che vuole un’invasione dei migranti in Italia. I numeri dicono altro. Secondo i dati del ministero dell’Interno quest’anno il numero dei migranti giunto in Italia è diminuito del 24%. Dal primo gennaio al 15 ottobre, nel 2016, gli ingressi erano stati 145mila. Nel 2017, sino ad oggi, la cifra è intorno 100mila persone. Mentre per le Nazioni Unite i migranti sono in aumento dal 1990, anche se sono solo il 3 per cento della popolazione mondiale: “Non siamo in una situazione di emergenza, è difficile, ma strutturale”. Insomma, il problema della diseguaglianza e delle privazioni materiali è dell’austerity, non del migrante.

Eppure in un recente sondaggio Ipsos emerge che l’immigrazione sia sovrastimata (1/4 del campione ritiene che 1 cittadino su 2 in Italia sia di origine straniera) e considerata un costo per i contribuenti (quasi il 70% del campione). Una differenza abissale tra percezione e realtà. Tra i numeri reali e la propaganda razzista.

Alle forme della paura e alla discriminazione razzista vanno attribuite una specifica densità politica, necessaria alla governance per gestire la crisi, e sociale, costitutiva dei rapporti di produzione: non è un mistero che, soprattutto, la Lega parli alla pancia del Paese foraggiando la guerra tra poveri.

Sembriamo condannati a vivere in una società basata su una solitudine incattivita e rancorosa, in cui prendersela con chi vive nelle nostre stesse condizioni, se non peggiori, prevale sulla necessità di opporsi a chi di tale infelicità è causa. Una società che pretende di spazzare via i soggetti più fragili a partire da chi ha la colpa di provenire da un altro Paese rievocando un nazionalismo regressivo ed erigendo muri culturali, normativi e materiali. Per questo gli organizzatori della manifestazione si prefiggono di ridurre le diseguaglianze rivendicando, insieme ai migranti e ai rifugiati, politiche fiscali, sociali e abitative diverse che garantiscano per tutti i bisogni primari: "Il superamento delle disuguaglianze parte dal riconoscimento dei diritti universali, a partire dal lavoro, a cui va restituito valore e dignità, perché sia condizione primaria di emancipazione e libertà".

Poi si guarda all’Europa e alle sue responsabilità in materia. Bloccare i flussi è un’illusione ipocrita, politicamente insensata, venduta in maniera propagandistica dalle destre xenofobe, e non solo. Oltre a venire meno ai principi di solidarietà e ai diritti umani sanciti dalla nostra Costituzione è impossibile la paralisi delle migrazioni frutto di guerre e persecuzioni. Di questo l’Europa ne è consapevole. E mostrando il volto più cinico e crudele, ha deciso di spostare le frontiere, stabilite a Schengen, più in là: prima in Turchia e ora in Libia. Il flusso, che ha portato al famoso milione di profughi in Europa nel 2015, si è interrotto infatti a marzo 2016, quando l’Unione Europea ha stretto un accordo con la Turchia del sultano Erdogan, delocalizzando sostanzialmente la gestione dei profughi in arrivo in cambio di sei miliardi di euro.

Adesso, invece, l’esternalizzazione delle frontiere, sostenuta dal governo Gentiloni con l’avallo di tutte le principali forze politiche compreso il M5S, sta portando a veri e propri lager in Libia dove la realtà è terrificante. L’obiettivo prioritario è bloccare migliaia di persone in un inferno disumano. Bloccarle a qualsiasi costo. Con le buone o con le cattive maniere.

Un reportage, girato per l’Unicef dalla giornalista Francesca Mannocchi, illustra l’orrore delle gabbie libiche. Istantanee strazianti. "Queste immagini provengono da centri di detenzione ufficiali riconosciuti dal governo libico, che è nostro interlocutore – precisa la reporter – Ma ci sono decine di centri di detenzione non ufficiali, gestiti dalle milizie e inaccessibili anche al ministero dell’Interno libico. E lì le condizioni sono ancora peggiori. Solo a Tripoli ci sono 13 centri di detenzione non ufficiali”. Negli hangar ci sono perso
ne  stipate che fanno a turno per dormire non riuscendo tutte a sdraiarsi contemporaneamente. Senza acqua né cibo a sufficienza, numerosi sono i casi denunciati di violenza e soprusi.

"Negando l’uguaglianza e la libertà delle persone, diventando discriminanti di fronte alla diversità e alla povertà, rischiamo di distruggere quei valori che i nostri padri hanno difeso creando l’Europa patria dei diritti", è scritto in una lettera a sostegno della mobilitazione di sabato che vede tra i primi firmatari monsignor Raffaele Nogaro, don Luigi Ciotti, Andrea Camilleri, Moni Ovadia, Toni Servillo, Giuseppe Massafra, Luciana Castellina e Carlo Petrini. "Il danno – continua la lettera – potrebbe essere enorme ed imprevedibile, e potrebbe ricadere anche su di noi. Non siamo di fronte a nessuna invasione, invenzione mediatica, e di altro invece ci si dovrebbe preoccupare. Non solo le nascite sono scarse, ma l’Italia è tornata ad essere un paese di emigranti: giovani soprattutto che espatriano deprivando il paese di energie vitali. Per il momento, ancora nessuno osa dirgli che vanno a rubare il lavoro all’estero”.

In piazza a Roma ci sarà anche uno spezzone più vicino ai movimenti dietro lo striscione No one is illegal, uno "spezzone meticcio" costruito in queste settimane con un percorso largo e pubblico a partire dalle pratiche mutualistiche  delle cosiddette città solidali. "Ci sono momenti – dicono – in cui non si può rimanere a casa, in cui scendere in piazza è un’urgenza non rimandabile. Quest’estate, governo, giornali e gruppi di estrema destra hanno dichiarato guerra all’umano. Di fronte a questa barbarie non si è mosso quasi niente. Se non delle voci, spesso solitarie, di denuncia e testimonianza". Ora, secondo loro, è il momento di dire stop. E di unire quel mondo democratico che senza ideologismi vuole sperimentare politiche di integrazione ponendo la questione a Bruxelles, invocando in primis la modifica del Trattato di Dublino e un nuovo meccanismo di quote nell’accoglienza dei migranti. "Vogliamo portare in piazza un’altra accoglienza che non si basi sul business dell’immigrazione, il confinamento dei corpi e lo sfruttamento di chi vi lavora, ma che, attraverso pratiche solidali e di mutualismo, promuova diritti e percorsi inclusivi". L’unico modo, questo, per arginare il vento xenofobo che soffia in Europa. Costruire modelli alternativi, non inseguire i populisti sul loro terreno.

(18 ottobre 2017)



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