Roma, una nuova area archeologica
Mariasole Garacci
Dopo sei anni di scavi e restauri è stata inaugurata la nuova area archeologica del Circo Massimo, uno dei luoghi più simbolici di Roma legato ai miti di fondazione della città.
I Romani, si sa, non sono di Roma. Sono, invece, una stirpe di esuli in fuga da guerre o persecuzioni, eroi solitari nei guai con la giustizia o inseguiti da un passato pericoloso. E’ il caso di Saturno, scacciato dal figlio Giove e accolto da Giano nel suo insediamento sul Tevere, dei coloni greci guidati da Ercole, di Enea e di Evandro scampati alla distruzione di Troia, di Romolo figlio illegittimo allevato da un lupa (o forse da una prostituta sacra). Se gli antichi Ateniesi orgogliosamente si dicevano autoctoni, generati dal suolo stesso su cui vivevano e prosperavano, i miti della fondazione di Roma ci raccontano di una terra approdo per migranti, tra i colli Capitolino e Palatino, culla di una nuova civiltà allogena e multietnica. Un asylum per le genti, una zona franca dove chiunque, libero o schiavo, potesse trovare una nuova vita e lasciarsi alle spalle quella precedente.
Proprio nella valle Murcia, dove fu eretto il Circo Massimo, ebbe luogo un episodio saliente della tormentata storia della nascita di Roma: qui, in occasione dei giochi in onore del dio Conso organizzati da Romolo per attrarre con l’inganno gli abitanti degli insediamenti circostanti, i Romani rapirono alle loro famiglie le vergini Ceninensi, Antemnate, Crustumine e Sabine dopo che i tentativi del nuovo popolo di stipulare pacificamente alleanze e patti matrimoniali era stato accolto con disprezzo e diffidenza da parte dei vicini. In questo stesso luogo i Tarquini, ultimi re di Roma, costruirono i primi spalti lignei del Circo, dove si tenevano tra l’altro i Ludi Romani, le antiche festività annuali con corse di carri e combattimenti istituite forse da Tarquinio Prisco.
In età repubblicana quest’area fu sistemata con costruzioni e attrezzature stabili, che servivano per le competizioni sportive ma anche per le processioni religiose e trionfali e le grandi rappresentazioni pubbliche destinate all’intrattenimento del popolo. Nel 329 a.C. furono costruiti i primi stalli da cui partivano le quadrighe (carceres), e nel 170 a.C. alle due estremità della spina centrale del Circo furono poste le metae, ossia i segnacoli attorno ai quali i carri in corsa svoltavano al compimento di un giro (segnato consecutivamente dalle sette ova della spina che ricordavano un altro mito caro ai Romani, quello dei Càstori). Fu Giulio Cesare a far ricostruire in muratura il grandioso edificio, la cui pianta fu sostanzialmente rispettata negli interventi successivi e che nel I sec. d.C. era in grado di ospitare circa 250.000 spettatori, lungo circa 600 metri e largo 140. Nella spina furono aggiunti nel tempo sacelli e tempietti per le divinità che sovrintendevano ai giochi, e fu collocato il grande e antico obelisco egiziano proveniente da Eliopoli, portato qui da Augusto nel 10 a.C., a cui si aggiunse l’altro magnifico obelisco di Karnak fatto erigere nel circo da Costanzo II nel 357 d.C. (nel 1587 i due obelischi furono recuperati da Sisto V e spostati rispettivamente in Piazza del Popolo e in Piazza di san Giovanni in Laterano, dove tuttora si trovano).
La grande pista longitudinale del Circo era delimitata dalle alte gradinate che costituivano la cavea (ancora oggi, specialmente affacciandosi dalla parte di Via del Circo Massimo, si distingue chiaramente il dislivello ad essa corrispondente) chiusa ad ovest, dalla parte del Tevere, dalla fila degli stalli e, dalla parte opposta, dall’emiciclo oggi visibile da Piazza di Porta Capena. Quest’ultimo è il settore in cui è stata aperta la nuova area archeologica, dove gli scavi hanno messo in evidenza un insieme di passaggi su più livelli e di botteghe che ospitavano i fortunati esercizi commerciali nati intorno alle attività del grande impianto sportivo. Racconta Tacito che fu proprio dai negozi in questo punto del Circo, tra il Palatino e il Celio, che la notte del 18 luglio divampò il disastroso incendio del 64 d.C.
Nel corso della prima età imperiale il Circo Massimo subì ripetuti danneggiamenti dovuti agli incendi, motivo per cui nel 103 d.C., durante l’impero di Traiano, fu ricostruito quasi integralmente (a questa fase appartiene la maggior parte delle strutture attualmente visibili) per restare in parziale attività fino ai primi decenni del VI secolo. Tutta l’area del grande impianto fu poi abbandonata e in parte interrata; nel XII secolo divenne proprietà dei Frangipane (l’antica famiglia romana la cui roccaforte nel medioevo includeva anche il vicino Arco di Tito) e fu trasformata in campi agricoli. In questo periodo Roma fu dotata di un nuovo acquedotto, voluto da papa Callisto II (1119-1124), il cui percorso proveniente dai Colli Albani passava per Porta Metronia ed entrava nel Circo Massimo attraverso le vestigia di un magnifico arco trionfale nell’emiciclo orientale che, in tempi più gloriosi, era stato dedicato a Tito per celebrare la vittoria di Gerusalemme del 70 d.C. (da non confondere con quello alle pendici settentrionali del Palatino tuttora in piedi). L’acquedotto, che sfociava poi nel fiume accanto alla Cloaca Massima, era chiamato Aqua Mariana: il termine distorto dalla parlata romana in Marrana o Marana ben presto passò a designare tutti i fossi e piccoli corsi d’acqua che tuttora sopravvivono nelle zone periferiche della città.
Tra il XV e il XVIII secolo, lungo il percorso della Marana furono impiantati numerosi mulini: nella pianta di Mario Cartaro del 1576 all’interno del Circo se ne riconosce chiaramente uno, di cui si distingue anche la ruota, da considerare all’origine della successiva riconversione industriale della valle Murcia (nel mulino era incorporata, come si vede nella pianta, quella Turris in capite circi citata nei documenti del XII secolo e oggi aperta al pubblico grazie ai lavori di riqualificazione dell’area). Nel 1854, infatti, la Compagnia Anglo-Romana dell’Illuminazione a Gas realizzò proprio qui il suo primo stabilimento, allargandosi negli anni successivi e favorendo il sorgere di capannoni, opifici di vario tipo, magazzini e fabbriche: non a caso, nella stessa area, fu aperto nel 1870 lo storico Pastificio Pantanella, poi spostato in via Casilina. All’inizio del XX secolo i gasometri furono spostati nella nuova area industriale lungo la via Ostiense; la Marana fu coperta, e iniziarono i lavori per sgombrare le fabbriche, i casali, gli orti e recuperare parte dei resti di epoca imperiale. Sotto la direzione di Antonio Munoz, nel 1934, fu aperta Via del Circo Massimo e isolato il monumento permettendo, tra l’altro, la visione della cupola di San Pietro da questo punto.
Gli scavi eseguiti a partire dai primi decenni del secolo scorso, dunque, avevano già portato alla luce parte degli ambienti esterni dell’emiciclo orientale della struttura: i pilastri in peperino della facciata, le murature in mattoni a sostegno delle gradinate e la strada basolata che correva esternamente al circo, corredata da una grande fontana pubblica. Nel 2011 nuovi scavi hanno parzialmente scoperto, nella stessa area, un ulteriore edificio, forse un magazzino collegato ad alcune tabernae che affacciavano sulla via. Agli ambienti visitabili si sono aggiunti ora i passaggi tra i diversi livelli della cavea e numerosi locali dove si svolgevano tutte le attività normalmente connesse a un luogo frequentato da un pubblico molto numeroso: negozi per la vendita e il consumo di generi alimentari, horrea, lupanari, uffici di cambiavalute dove si poteva anche scommettere sulle
corse dei cavalli. Gli scavi sono oggi fruibili attraverso un percorso comodo e panoramico, corredato da utili pannelli con testi didascalici.
Nel corso delle indagini archeologiche sono stati rinvenuti diversi reperti, tra cui i frammenti di una grande iscrizione a lettere bronzee incisa sull’attico dell’Arco di Tito, il cui testo completo è stato possibile ricostruire grazie alla trascrizione che ne fece nel IX secolo l’Anonimo di Einsiedeln. In un settore dell’area sono state disposte una serie di colonne in marmi colorati rinvenute negli scavi che testimoniano la ricchezza della decorazione dell’edificio; di particolare interesse è il cosiddetto Fornice XII, utilizzato per attività commerciali e vicino a un condotto fognario a sua volta collegato a una piccola latrina nella galleria superiore tramite un canale verticale; in questo condotto sono state recuperate oltre un migliaio di monete in bronzo, databili tra il III e il IV secolo d.C., e alcuni reperti tra cui il fondo di una coppa di vetro con decorazione a filo d’oro rappresentante un cavallo di nome “Numitor” con la palma della vittoria in bocca, raffigurazione che è stata scelta per diventare il logo ufficiale della nuova Area Archeologica del Circo Massimo.
I lavori di riqualificazione dell’area sono stati condotti dall’assessorato capitolino alla Crescita culturale e dalla Sovrintendenza capitolina ai Beni Culturali in collaborazione con l’Ufficio Città Storica, con il contributo di Zètema Progetto cultura. L’apertura di questi scavi dopo sei anni di lavori è significativa non solo per il suo interesse archeologico, ma perché contribuisce a far riemergere un piccolo brano di quel tessuto oggi in parte sommerso che collega episodi di varia entità della storia urbanistica e sociale di Roma, in quella rete fittamente interconnessa di relazioni tra momenti diversi, usi e percezioni della città di cui la stratificazione materiale e immateriale depositata nel corso dei secoli nella valle Murcia è un importante frammento.
Area Archeologica del Circo Massimo
Ingresso da piazza di Porta Capena, Roma
Orario: fino all’11 dicembre, da martedì a domenica 10.00-16.00 (ultimo ingresso 15.00); dal 12 dicembre, sabato e domenica 10.00-16.00 (ultimo ingresso 15.00) e da martedì a venerdì su prenotazione al numero 060608
Biglietti: intero € 4, ridotto € 3
(18 novembre 2016)
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