Romantiche memorie beat
Mariasole Garacci
Una mostra alla Casa di Goethe racconta come gli artisti hanno raffigurato il Cimitero acattolico ai piedi della Piramide, con oltre quaranta interessanti dipinti, disegni e opere grafiche che fanno rivivere la magia di uno dei luoghi più belli e solitari di Roma.
“Recentemente ho passato un’ora pomeridiana nel piccolo Cimitero protestante vicino Porta San Paolo, dove il mondo antico e quello moderno si trovano insidiosamente a confronto. La loro unione forma uno dei luoghi solenni di Roma – anche se, certamente, quando le componenti funebri sono fuse in questo modo sembra spiacevole definirle tristi. Qui c’è una mistura di lacrime e sorrisi, di pietre e fiori, di luttuosi cipressi e cielo radioso, che ci dà l’impressione di ricordare la morte dal lato più luminoso della tomba”. In una delle sue Italian Hours fuori stagione, Henry James coglieva con queste parole la straordinaria pace e la serenità di questo luogo fitto di memorie che, come le radici sotterranee degli alberi o il loro rami al di sopra delle nostre teste, si intrecciano tra loro senza che il visitatore ne sia sempre consapevole, in quella foscoliana “corrispondenza d’amorosi sensi”, “celeste dote negli umani”, che è la facoltà di ricordare e onorare la memoria dei defunti.
Il Cimitero acattolico nacque proprio perché anche chi moriva esule in terra straniera potesse trovare riposo nella madre terra, da cui tutti veniamo. La Gloriosa Rivoluzione inglese del 1688-89 aveva deposto Giacomo II Stuart per la sua fede cattolica, costringendolo all’esilio; nel 1716 Giacomo II, dapprima esule in Francia, venne nei territori pontifici, ad Avignone, poi a Urbino e infine a Roma, portando con sé la sua composita corte, tra cui erano numerosi protestanti inglesi e scozzesi -anglicani o episcopaliani- fedeli, nonostante il diverso credo religioso, alla linea dinastica e alla politica giacobite. Una situazione che indusse papa Clemente XI a mostrare una certa indulgenza nei confronti di “eretici” che pure avevano abbandonato la loro patria per seguire un re cattolico.
Quando, lo stesso anno, morì a Roma il dottor Arthur, medico originario di Edimburgo e protestante, fedele giacobita, si pose la necessità di trovare all’esule una sepoltura degna del suo rango, nonostante fosse proibito seppellire in terra consacrata chi non era stato battezzato nel rito cattolico, così come i suicidi. In questa occasione, il papa concesse un terreno inutilizzato ai piedi della Piramide Cestia, nella zona detta “dei Prati del Popolo Romano” perché vi si pascolavano gli armenti, ma ancora dentro la cinta delle Mura Aureliane, a pochi metri dal Monte Testaccio. In una lettera inviata da un amico di Arthur ai giacobiti di Avignone si legge: “Abbiamo avuto il permesso di seppellirlo accanto al sepolcro di Cestio… all’interno delle mura. È un favore che è stato concesso a quelli come noi”.
Nel 1723, regnante papa Innocenzo XIII, la corte di Giacomo II si era stabilita in piazza Santi Apostoli e le funzioni di rito protestante al suo interno venivano tollerate e permesse. Nel gennaio di quell’anno un viaggiatore straniero, un protestante di cui non si conosce il nome, morì a Roma: per intercessione del re esiliato, il papa acconsentì a che ricevesse un funerale e venisse sepolto nel terreno concesso poco prima; nello stesso anno, morirono in città i giacobiti James Graham e James Livingston conte di Linlithgow, e anche a loro venne concesso un funerale amministrato da un pastore anglicano.
A questo punto il Cimitero può dirsi ufficialmente istituito, e diventerà l’ultima dimora dei molti stranieri non cattolici stabilitisi a Roma, o dei viaggiatori europei che nella capitale pontificia morivano nel corso del loro Grand Tour. E’ il caso del giovane George Langton, cui appartiene la tomba più antica oggi conservata nel complesso, morto il 1° agosto del 1738 a venticinque anni, e quello di George Werpup di Hannover, morto lo stesso giorno nel 1765 quando la sua carrozza si ribaltò accidentalmente sulla Via Flaminia. A George Werpup e a Friederich von Reitzenstein (morto nel 1775) appartengono le altre due tombe più antiche del primo nucleo del Cimitero, quello immediatamente ai piedi della Piramide: i loro sepolcri, che si vedono ancora oggi, si possono riconoscere nell’acquerello di Jakob Philipp Hackert del 1777 e nella magica Élegie Romaine di Jacques Sablet del 1791, ora in mostra a via del Corso.
Questi funerali non cattolici e in terra sconsacrata, seguiti da numerosi amici e parenti dei defunti, che di solito erano nobili o personaggi appartenenti alla buona società, avvenivano di notte per non destare scandalo nella città del papa: alcune di queste toccanti celebrazioni sono raffigurate in tre rare testimonianze di Jacques Sablet (1800), di Bartolomeo Pinelli (qui in un’acquaforte di Ludovico Prosseda del 1840) e di un anonimo che registrò i funerali del pittore svedese Jonas Åkerström morto a Roma, nel 1795, di tubercolosi.
“Potrebbe taluno innamorarsi della morte pensando di dover essere seppellito in così dolce luogo”, scrisse Percy Bysshe Shelley nella prefazione al suo Adonais, elegia in memoria di John Keats morto a Roma nel 1821, anche lui di tubercolosi, all’età di venticinque anni, e sepolto a pochi passi dalla Piramide nella parte più antica del Cimitero. Un destino ironico e crudele, o forse un segreto desiderio di morte, volle che lo stesso Shelley morisse poco tempo dopo, annegato nel mare di Viareggio nel luglio del 1822. Troppo tardi per trovare posto vicino a Keats, perché in seguito al divieto, emanato lo stesso anno, di occupare ulteriormente l’area ai piedi della Piramide di Cestio, a fianco del primo nucleo di tombe venne disposto il cosiddetto Cimitero nuovo, la parte oggi più consistente del Cimitero acattolico, dove trovarono posto tanti poeti, letterati e artisti a partire proprio da Percy Bysshe Shelley, che riposa sotto una lapide con incisi i versi della Tempesta di Shakespeare: “Nothing of him that doth fade, but doth suffer a sea change, into something rich and strange”. Qui, vicino alla lapide di Shelley, nel 2001 furono portate per sua volontà anche le ceneri del poeta Gregory Corso, che considerava l’inglese il primo poeta “beat”.
Le immagini-ricordo delle tombe dei due poeti inglesi diventeranno un genere con un proprio mercato tra i visitatori in pellegrinaggio in questo posto ormai denso di memorie poetiche e suggestioni romantiche e letterarie, come mostra un interessante dittico del pittore americano John Linton Chapman (1839-1905) raffigurante i due sepolcri. La tomba di Keats e la tomba di Shelley nel Cimitero nuovo compaiono anche separatamente, in due vedute che includono la Piramide con il chiaro intento di caratterizzare immediatamente il luogo agli occhi di uno straniero, dipinte da William Bell Scott. In quella dedicata a Keats si può leggere distintamente il famoso epitaffio: “This grave contains all that was mortal, of a YOUNG ENGLISH POET, who on his death bed, in the bitterness of his heart, at the malicious power of his enemies, desired these words to be engraven on his tombstone: Here lies one whose name was writ in water”.
Nel Cimitero trovò sepoltura anche il figlio di Johann Wolfgang von Goethe, la cui tomba è raffigurata in una piccola veduta di Rudolf Müller, commissionata o realizzata come regalo affettuoso in una cultura che non temeva né disprezzava la memoria dei defunti ma anzi la nutriva, per tenerezza familiare oltre che per adorazione di miti let
terari. Un’altra romantica veduta di questo tipo è quella della tomba dell’artista danese Christian Holm (1804-1846), ancora oggi appartenente ai suoi discendenti, e ora in prestito alla Casa di Goethe in occasione di questa mostra, o quella dipinta da Thorald Læssøe, commissionata dai genitori lontani per avere un’immagine della sepoltura del proprio figlio Johannes Knudsen, giovane studente di teologia morto a Roma.
Un uso, quello di realizzare o commissionare questi piccoli dipinti, destinato ad esaurirsi con il diffondersi della fotografia: l’ultima memoria di questo tipo è, infatti, un olio di Edvard Munch realizzato durante il soggiorno romano del 1927, raffigurante la tomba del nonno, e destinato alla propria famiglia. La bella mostra ospitata dalla Casa di Goethe è l’occasione per conoscere una fase della storia del Cimitero forse meno nota, quella dei secoli XVIII e XIX, punto di partenza per esplorare anche i tempi più recenti di un luogo di incredibile serenità e tenerezza umana. Qui anche italiani per motivi diversi “stranieri” in patria, come Antonio Gramsci, Antonio Labriola, Carlo Emilio Gadda, Dario Bellezza, Luce d’Eramo, troveranno pace e silenzio eterni, nella luce del tramonto romano e tra i cipressi mirabilmente raffigurati in queste vedute.
Ai piedi della piramide. Il cimitero per gli stranieri a Roma – 300 anni
Casa di Goethe, Roma, Via del Corso 18
Fino al 13 novembre 2016
Orario: tutti i giorni 10.00-18.00, chiuso il lunedì (tutte le domeniche alle 11.00 il biglietto comprende una visita guidata in italiano)
Biglietti: €5 intero, €3 ridotto
Catalogo di Nicholas Stanley-Price, Mary K. McGuigan e John F. McGuigan Jr. Ai piedi della Piramide. Il cimitero per gli stranieri a Roma – 300 anni, Edizioni AsKI e.V., €18
www.casadigoethe.it
(13 ottobre 2016)
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