Romarama, un’opportunità per ripensare una nuova Estate Romana

Stefano Catucci

Cara Ottavia,

ho letto con molto piacere e un po’ di commozione . Non ci conosciamo, tuo padre raccontava che sei nata la notte in cui si inaugurava la prima rassegna del cinema alla Basilica di Massenzio, per lui doveva essere stata una vera notte di miracoli, e se non posso dire di essergli stato amico ci ho passato comunque insieme del tempo significativo, indimenticabile e divertente. Ti scrivo perché credo che la vicenda di Romarama, esemplare per molti aspetti, possa essere letta in un modo diverso da come fai tu, più positivo, come un’opportunità che ci è data per ripensare l’eredità del “meraviglioso urbano” e per riavere presto un’Estate Romana degna di questo nome.

Che infatti fosse diventata tutt’altro da ciò che era stata, che fosse ormai solo un altro segno del degrado della città, è sotto gli occhi di tutti: tu stessa lo riconosci e Luca Bergamo non ha fatto male a voler archiviare quel declino, per quanto sia poi da verificare se ci si riuscirà.
Sull’insignificanza del nome Romarama hai già detto quel che c’era da dire, sulla bruttezza imbarazzante e rivelatrice della grafica anche. Eppure l’avere deciso una rottura con il nome tradizionale di quell’Estate ha un valore che non si deve sottovalutare, perché ha il potere di restituircelo pulito e permette di farne un obiettivo per il domani. Tornare ad avere un’Estate Romana vera, nuova, più vicina all’esempio di Renato e più attenta alla città attuale, diventa da oggi un obiettivo politico, parte essenziale di un programma ancora da scrivere per la città ma di cui ora ci è stato offerto un capitolo cruciale.
La discontinuità introdotta da Romarama è tanto radicale, e tanto poco felice, da avere l’effetto collaterale di dare nuova vita a quello che si è cancellato. Chi mai avrebbe pensato che l’Estate Romana, come tale, avrebbe potuto ridiventare oggi un oggetto del desiderio collettivo?
Non era lì da anni, un’abitudine indebolita e svuotata, con quel nome un tempo pieno di proiezioni fantastiche e ora ridotto a ombrello per il bric-à-brac di una città incapace di immaginazione? Non voglio esagerare dicendo che sia stato il miglior omaggio possibile alla memoria di Renato, un modo di dimostrare quanto quel titolo fosse diventato ormai abusivo. Ma questa scelta dà forza rinnovata alla sua idea, ne esalta la differenza rispetto a ciò che è venuto dopo e la trasforma in un compito culturale e politico per il presente, qualcosa da reinventare e da rivendicare mostrando quanto ne abbiamo sentito la mancanza.
Romarama non durerà molto se sapremo unire le forze nel ricominciare da capo un’Estate Romana nuova facendone il perno di una visione della città. Non sarà stato allora niente più che il gatto di Troia con cui, saltando a pié pari gli anni del degrado, ci saremo ricongiunti all’originale e imparato a guardarci intorno con occhi più curiosi, pensando al “meraviglioso urbano” non come all’ennesimo reperto della nostra archeologia, ma come a una promessa per il futuro di Roma.
(7 giugno 2020)




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